che..
" Che mi racconti di bello allora?"
"…..che mi sei mancato"
" si, okay, il resto? lavoro, lezioni? Quando ci vediamo con calma?"
Ah, la calma. Io che non ho mai tempo, vorrei comprarlo. Un chilo di tempo, una cassetta di ore, qual’è il numero per prezzarlo sulla bilancia? Ma che sia col bollino riflettente, che non ci si debba assolutamente pensare di usarlo per lavorare. Che sennò io ci piazzo lezione, su tutte le ore che mi avanzano.
Vorrei aver avuto un po’ di tempo per regalarlo a te, per passarlo con me. Vorrei averne avuto io, per non rimandare sempre.
Ti avrei portato sopra un cavallo malato d’allegria, che cambia idea come passa una nuvola, che si spaventa per le foglie cadute, e che non teme le foreste più buie.
Che stamattina zoppico, mi sa che stanotte mi è cresciuta più una gamba dell’altra.
Ti avrei portato tra i nostri monti, e ti sarebbe piaciuto. Avresti detto una delle tue perversioni, e forse non mi avresti spaventata, non mi sarei offesa, forse l’avrei interpretata con affetto. Per una volta.
Ti avrei fatto tacere come al solito. Che te parli troppo. Come i ragazzini sulle panchine, diamine, a me i baci sulle panchine sanno di buono, di promesse, di sparire…sparire dal mondo che ti vive intorno, mentre tu fermi l’istante, mentre tu mi rubi sogni dalle labbra..
Mi aggrappo al tuo braccio, nel gesto d’affetto più vecchio del mondo, e tu sei sempre concreto, un piede a terra e uno a battere il tempo. Hai la giacca di due taglie più grande, che non importa come sei fuori. Che poi, me lo devi spiegare come sei dentro, e come vedi me dentro.
Te che godi a fantasticarmi con un altro, te che bruci di gelosia; i giorni pari sono l’anima delle tue fantasie, i giorni dispari mi getti addosso tenerezza. Che forse te ne avanza, ogni tanto. Che non t’ho mica capito, ma mi manchi. Mi sei sempre mancato.
(e ti guardo negli occhi, che hai due occhi che mi stendono. e mi sorridi, e io adoro quando sorridi.)
Scendo le scale, guardo sotto al portico…mi sembra di vederti. Ogni volta mi trovi bella, o forse son io che mi sento bella quando posso vederti. Che quando succede non lo sa mai nessuno, nessuno ci conosce, tu non ci sei nella mia vita, io non ci sono nella tua. "..a me basta essere l’uomo del mercoledì, allora…". Che son parole che sappiamo decifrare solo in base al nostro trascorso, te che ricordi tutto di me, ogni parola, ogni gesto, ogni mia cretinata tu…la ricordi. Io incespico nelle parole. E aggiungo le tue alle mie. Parlo…parlo come parli tu.
E adesso di te vorrei parlare, vorrei elaborare. Ma nessuno ci conosce. Per vent’anni abbiamo vissuto lo stesso luogo, senza conoscere nessuno che ci colleghi… sembri mai esistito, sembri un miraggio. Eppoi annoierei il mondo, con qualcosa di cui non avevo parlato mai. Che sei stato l’amore più cerebrale che abbia avuto, senza nemmeno aver bisogno d’altro.
Che sei stato un’amico prezioso, che avevi dentro un pezzo di me, che eri del mio mondo, del mio passato, della mia lingua, del mio paese.
Mi siedo sulla panchina, stringo le ciglia l’una sull’altra, forte. Cerco le immagini, cerco il braccio che mi stringe. E per ora, ti vedo ancora, poco sfocato per ora, sostituito dall’immagine più fresca, la tua foto. Non che fossi proprio "amore"….ma eri una "cosa bella", che mi manca da morire. Non eri ma proprio per niente l’uomo per me. Sarà proprio per questo che…perso te, il principe delle mie relazioni sbagliate, mi son stancata di cercarne altre.
E assieme allo stomaco che di tanto in tanto si ritorce, quando ti rivedo nelle mie cose, sorrido. Che sei un ricordo bellissimo.
Che sei dei ricordi bellissimi.
Un pensiero su “che..”
bello, un po’ triste come piace a me 😉