a prescindere.

a prescindere.

Una nube di polvere rossa si alza ai lati della macchina, mentre proseguiamo per la strada sterrata, in mezzo al bosco. Controllo di non prendere troppe buche, piano piano, i finestrini aperti per concederci i profumi del bosco attorno. Non un’anima viva, eppure alla sorgente avevan detto "son sette chilometri, li poi c’è il villaggio nuragico".
Ostia, non so nemmeno cosa sia un villaggio nuragico. Potrebbe essere anche una setta nudista di Hell’s Angels. O una comunità di vegani in crisi etilica. O un centro commerciale a tre piani.

Mica gliel’ho chiesto, sai che figura, io so BENISSIMO cosa cazzo sia il villaggio nuragico.

Intanto la nube rossa ci invade, mentre passiamo sopra una sorta di ponte di sassi, dove passano appena le ruote dell’auto. Prima o poi si arriverà, mi dico. Una discesa paurosa, ci porta all’apertura della vallata: colori intensi, rossi accesi, verdi smeraldo, giallo e rosso dei fiori. Tutta questa natura che sta li a dirti, a prescindere.
Ah si, lei sta li a prescindere. Le baie celesti, la sabbia bianca, come queste vallate di pura poesia, stano li a prescindere da me.
Arriviamo. L’archeologa ha una maglietta sinistroide e la bandana in testa, esempio bizzarro di par condicio. Mi dice, certo che vi porto, se volete di là (per loro è tutto "di là", ma non ti fanno un cenno con la mano, una piantina, o la mera indicazione "destra-sinistra", penso sia un test d’ammissione, o sadismo allo stato puro) c’è la grotta.
Sembra di esser ai Murassi del Lido. Ci arrampichiamo tra le rocce, mi capacito che le passeggiate sugli scogli hanno temprato le capacità del nano, e arriviamo ad una fessura enorme nella roccia.  Visitiamo la grotta da soli, giochiamo agli esploratori.

La nostra guida al villaggio nuragico è ciò che nel mio immaginario dev’essere un pastore sardo. Ci mostra, ci spiega, sopporta i nostri tempi e le nostre domande. Siamo solo noi e lui.

– ma questo profumo che sento ovunque… cos’è? dolciastro,… buonissimo.
E mi viene in mente che da me, i profumi dolci son sinonimo di perdita di gas da Marghera.

L’omino mi parla delle piante. Il finocchietto selvatico, che qui i pescatori lo mettono pure in foglie sull’agnello. E i fiori, quei cespugli… In realtà lo so che vuol dirmi, è natura mia cara, ha questo profumo qui sai.

E penso a quanto mi mancano gli odori. Il prezzemolo appena tagliato. Le mele sull’albero. I cespugli di rosmarino del vicino di casa, da cui rubare i rametti per l’arrosto. E le piante dei pomodori.
Mentre faccio la mia lista mentale, il tizio mi guarda e ridacchia, dobbiamo sembrare due imbeccilli cittadini.

Torniamo per la stessa strada sterrata (altri sette chilometri, infiniti), ad ogni curva un paesaggio diverso. Gabry canta sopra il cd che suona in macchina, cantiamo insieme, e la sua vocina intonata si arrotola alla mia con una dolcezza infinita.

8 pensieri riguardo “a prescindere.

  1. “esempio bizzarro di par condicio” è notevole, mia cara. bel racconto, come sempre. anche a me è venuta una lancinante nostalgia degli alberi, delle piante, del riconoscerne nomi e soprattutto profumi…buon proseguimento di vacanza e baci.

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