La sabbia nelle mutande
Tagliava le olive senza nocciolo. Le tagliava a metà per la circonferenza, così ne uscivano due tondini, uno col cerchio e uno con la crocetta al centro.
Il suo amico lo fissava, parlandogli, vedendolo come sempre, un marziano, maneggiando una bottiglia di rosso.
– Vedi Giulio, cose buone come questo vino, eh, questa è la bella vita. Sapere che puoi tornare a casa ed aprirti una bottiglia con un amico. O anche da solo, eh, ogni tanto torno a casa e mi apro una bottiglia da solo, il bicchiere largo, faccio decantare, mi godo il profumo, un sorso per volta, eh, le bellezze della vita son nelle piccole cose.
L’amico osservava la dovizia con cui Giulio spadellava gli spaghetti. Spadellava, oddio, diciamo che era un pauroso equilibrista troppo intento a non schizzare il pomodoro in giro, e ne perdeva in coreografia.
Stessa sceneggiata per girare lo spaghetto. Intento a fare un’aggrovigliata sulla forchetta bella regolare. Non c’era uno spaghetto che scendeva più di un altro.
– Giulio, buonissima. Son certo che mi mancherà mangiar spaghetti, di certo.
Era una richiesta. Si diceva, adesso me lo chiede. Lo sapeva benissimo. Era lì per quello, ormai erano al caffè. Bisognava iniziare il discorso. Non era un buon segno che Giulio non volesse iniziare, eh no. E infatti, subito girò male.
– Senti, è dal liceo che ne parliamo. Se non si fa ora, non si farà più. Ho già fatto un programma, ho predisposto tutti i dettagli accuratamente, apposta per la tua pignoleria. Non puoi attaccarti a niente stavolta. Guarda.
Tirò fuori una cartellina. Tutto organizzato, obiettivi, tempi, appoggi. Il viaggio di una vita. Una cartina e il percorso disegnato, le ricerche su wikipedia, le indicazioni turistiche, gli amici di web da incontrare, le spiagge, le donne. Che poi, non era affatto quello il loro viaggio. Loro volevan perdersi.
Seduti sui motorini, fuori dalla palestra dell’Itis, se lo dicevano. Si va in Brasile. Si prende e ci si perde. Le braghe arrotolate sulle caviglie, la sabbia nelle mutande, torso nudo ad oltranza. Appena ci si fa due soldi, si finisce questa merda di scuola, si parte e si va. Due mesi, e se ci va restiamo lì.
-Giulio, ‘ca puttana, non puoi mollarmi adesso. Non hai legami, i tuoi vecchi stanno apposto, molla tutto adesso e andiamo. Cosa ti ferma, mi chiedo, cosa ti inventi adesso per mollarmi?
Riponeva i piatti nella lavastoviglie. Un perfetto puzzle di stoviglie e pentole, ci stava tutto. Orca, no, una tazzina. Una tazzina non ci stava.
– Non puoi dirmi che vivi bene così. Stai in un ufficio senza uno straccio di finestra, controlli pacchi di cartame e ascolti le lagne di qualche industriale frustrato che vuol tirar sui costi. E non trombi da quanto? Sei mesi?
Sperava in una reazione. Macchè. Si voltò giusto a guardarlo, come se avesse da dir qualcosa, ma poi continuò a cercar un posto a quella dannata tazzina.
– Okay, hai il posto fisso. Adesso non dirmi la solita fregnaccia che è raro trovarlo, che hai una sicurezza per il futuro e la pensione. Che vuoi fare, trovarti una donnetta bruttina e rompiballe e fare odiosi mocciosi, perdere capelli e metter su panza, e finir la tua vita così, senza aver mai vissuto? Perché così, è come non aver vissuto. Rompere sta routine del cazzo, Giu’, lasciar perder ste cose che dovevano servirci solo a far soldi per andarcene. Mica possiamo rimaner legati qui a un lavoro statale per aver “la pensioooone”, diamine, “la pensiooone”…. Per poi andarci in pensione, coi rimpianti di non esserci mai stato, con le mutande piene di sabbia, sulla spiaggia di Bahia!
Okay, la tazzina non ci sta. Attacca la lavastoviglie, e lava la tazzina a mano. Con cura, quasi con affetto, la sua bella tazzina da single, ne ha sei ma usa sempre e solo quella. Sta nei suoi equilibri, la sua tazzina.
– Giulio. Cazzo. Giulio. Io parto. Io parto uguale. Ti mollo qui, capisci? Ti mollo qui tra le tue carte, sei schiavo del sistema, ti sei piegato a diventare un impiegatino banale come gli altri. Perché, dico, perché non trovi il coraggio e ti prendi due mesi di aspettativa? Cos’è, hai paura che ti tolgano una delle pratiche pulciose che ti ritrovi? Che ti spostino la scrivania? Ti rubino la graffettatrice? Giu’, Dio bono, ma cosa sei diventato?
Lo fissa. Perché Giulio non sa cosa dire. Il suo amico lì davanti dà in escandescenze. A qualsiasi cosa avrebbe da controbattere abilmente, che la dialettica non gli manca.
Ma ora, ormai sfinito, lo saluta. Freddo, incazzato, lo abbraccia pure, lo manca affanculo con gli occhi pieni di odio, o no, non odio, delusione. Madonna se è deluso di Giulio, enormemente.
La porta si chiude. Rimane un silenzio, pieno di parole. Pieno di un’immagine di se’ che ne vien fuori, e quell’altra che se ne và in Brasile col suo amico.
Un tonfo, sordo. Un rumore di cocci, in terra.
La tazzina, la sua tazzina, è volata giù dallo scolapiatti. S’era rotta di stare in quell’equilibrio.
5 pensieri riguardo “La sabbia nelle mutande”
che fatica questo rincorrersi. pero', che bello ritrovarti su un pezzo cosi'.
e son contenta di riaverti.
Ciao bionda, hai visto?, sono venuto a trovarti. Mi è piaciuto il racconto della tazzina. Anche se…
Eh, il Brasile! è tutta un’altra cosa! Lì c’è sempre caldo… Io preferisco le stagioni, però. Le mezze e le intere. Mi piace anche il freddo. La zuppa e il vino rosso (un po’ come a Giu’). Mica puoi mangiare la vellutata calda di porri in Brasile! Oddio, tutto si può, ma, per esempio, io ad agosto non me la faccio mai la zuppa.
Ciao cara.
Enrico
Io mica ci son mai stata in Brasile. Si e no suono le Bossa (e svuoto le bosse).
Povero Giulio.
povero Giulio… e poveri anche noi che non ci perderemo mai, coi pantaloni arrotolati e la sabbia nelle mutande… magari a Gabicce.