Le valli vuote
D’un tratto, un panorama. Anche il vento si spense, anche il sole rimase muto. Tutta una valle, fuori dall’auto, le si presentava davanti ad accogliere tutti i suoi pensieri. Stava voltando la pagina, lo sapeva, lo sentiva; si stava crogiolando negli addii, cercando di imparare a farne a meno, andando un poco più avanti. Si era appoggiata per tanto tempo, per sopravvivere, per ripararsi dalla tempesta, ma ora era pronta per proseguire.
Era forte. Fece molta strada, armata di tenacia, di fiducia in quel karma che doveva restituirle ciò che era stato versato, in lacrime e ostinata inerzia di proseguire. Sistemata con ordine la vita, aveva preso l’equilibrio. Era tutto a posto.
Poi, poi un’altra vallata. Un altro spazio immenso in cui versare i suoi traguardi, i suoi nuovi bagagli. E lì, lì pianse. Come una bimba abbandonata.
La vallata era di nuovo vuota, silenziosa, trasparente. Aveva messo tutto in ordine, eppure quelle mani erano piene di tagli e sofferenze, senza carezze a proteggerle, quegli occhi avevano visto troppo a fondo nelle cose e nelle persone, da non credere più. Quand’era ragazza pensava fosse tutto più facile, pensava che qualcuno avrebbe sempre pensato a lei. Non immaginava di dover arrampicarsi sola, per quella dannata vallata, cacciata giù da chi aveva amato. Aveva lottato tanto. Lei lo sapeva. Gli altri, gli altri no.
Aveva raggiunto tutto quello che aveva desiderato, ma era sola.
Si sedette sul bordo della strada, abbracciando le ginocchia. “Noi non esiste”, si ripeteva, “esisto solo io, io sola”. Voleva riuscire a metterselo in testa, una volta per tutte.
Aveva dato a tutti, occupandosi di tutti, amandoli tutti. Amandoli in quel modo in cui nessuno l’aveva mai amata.
Raccolse i pensieri, li rimise in tasca, accese la macchina e proseguì. La vita sembrerà ancora così felice, i sorrisi saranno così leggeri. Peccato che il vuoto, ogni tanto, ucciderà.