L’educazione alla buona musica (come provare a cambiare il mondo)
Sto raccogliendo idee e spunti per proseguire il discorso iniziato (con una eco mica male) nel precedente post, sono stata rimpinzata di commenti e ottime ipotesi… Bello. Chissà se in parlamento funziona così.
(pausa attonita di riflessione)
Ehm. Dicevo.
Nei tanti discorsi ho colto tanto, tantissimo sconforto. Colleghi, amici, rassegnati, nauseati da una realtà musicale in Italia che fa venir voglia solo di fuggire all’estero. Certo, mica è solo la musica, è tutto il panorama etico che è crollato, un becero quotidiano fatto di scemenze, volgarità inutili, valori da dittatura. E così abbiamo ragazzine di 12 anni che si vedono grasse, giovani che non studiano ne’ lavorano, mondi che passano attraverso schermi touch, come se tutto, anche un amore sbagliato fosse possibile bannarlo, o cambiarlo con un lieve gesto d’indice nell’aria.
Volendo metterci del nostro, come possiamo cambiare le cose? Come cercare di cambiare il mondo musicale, il “pubblico” stesso, le nuove generazioni, i nuovi musicisti? Come rialzare la nostra arte, rieducando il mondo ad un livello più alto e differenziato della musica?
Ho (ormai l’avete capito) qualche idea (che vi snocciolo con la solita storia dei punti programmatici).
1. Si parla spesso delle “scuole medie coi flautini dolci”, come se ci fosse una delega totale all’educazione dell’orecchio alla scuola dell’obbligo. Ma quando mai. La musica si impara, come la parola, come la pipì sul vasino, come la forchettina e il bicchiere con due manine, da mamma e papà .
Pensateci: la quantità di musica che ascoltano i bimbi è di dubbia qualità. Spot televisivi, sigle, gingle. La caratteristica principale di questa musica è commerciale: ripetitiva, semplice, non orientata alla ricchezza di armonia o di suoni, bensì concentrata sulla memorizzazione del prodotto, sul ritmo. Musiche preparate spesso in fretta, con una tastiera, nella stanza del pubblicitario, o ritagliate da cose più complesse che perdono il significato complessivo. La musica diventa un sottofondo, l’attenzione è rivolta a parole o immagini, non ai suoni.
Poniamoci l’obiettivo di far ascoltare, solo ascoltare, la musica. Quella che a noi piace, perché no. Stimoliamo il bimbo a ballarla, a battere il tempo, a muoversi secondo il fraseggio della melodia, facendogli riconoscere i passaggi armonici (eccerto) suggerendogli che sono, semplicemente, suoni diversi. Canticchiamo le parti degli altri strumenti, le linee melodiche secondarie.
Tutto questo perché? Beh, amplieremo la sua attenzione sonora, svilupperà un’intelligenza musicale, utile nell’identificare meglio una voce o un suono nel caos. Lo agevoleremo nell’essere intonato, come nell’avere senso del ritmo, con evidenti facilitazioni nella sua vita sociale (chitarrista=donneapalate, quellocheportaidischi=sfigato=speriamoabbiajudo).
Ma soprattutto, cresceremo una generazione che non si accontenta delle melodie tutte uguali, o di un tamburo che pesta e ciccia. Cresceremo figli che ameranno un gruppo musicale per la musica, non solo per la pettinatura o i video trash.
Lo so che vorreste che io facessi esempi. Naaaa. Non ci casco. Tanto avete capito.
2. Come insegnanti di musica si ha, ovviamente, un ruolo privilegiato. Il Maestro è un guru. Peccato che spesso ci dimentichiamo che non dobbiamo solo insegnargli le scale e i pezzi, abbiamo/possiamo avere un ruolo straordinario nel crescere i giovani musicisti. Prima di tutto, insegnargli la storia della musica. Appassionarli con qualche aneddoto, con indicazioni precise sui brani, sia di classica che di pop. Dargli due indicazioni armoniche (basterebbe solo fargli capire i “colore” di un accordo, di una cadenza, di un giro), ragionare sulle strutture, spiegargli i particolari a prescindere dal fatto che li possano riprodurre.
Ma ocio. La chiave è una sola. L’entusiasmo. Dobbiamo trasmettere la nostra passione, la nostra cultura, a prescindere dal fatto che forse, all’inizio, un po’ si annoieranno e ci snobberanno. Capiterà che la ragazzina innamorata degli OneDirection (ok, l’ho detto) vi arriverà un giorno con un brano di Nina Simone. Dobbiamo dare l’acqua migliore ai nostri fiori, concimando con le nostre conoscenze. Più siamo noi ad averne, più le potremo trasmettere.
Non si dovrebbe mai screditare i loro gusti, semmai aver pazienza di far comprendere loro quali musiche sono “cloni” le une delle altre e quali invece possono aprirgli le orecchie, e il cuore. Dobbiamo educarli al gusto, a riconoscere la bella musica nelle caratteristiche più profonde. E magari dargli un po’ di fiducia e ascolto, analizzando con loro i brani preferiti.
Cresceremo una generazione migliore.
3. Vi capita mai di avere amici che vi fanno domande musicali? Da musicisti ci sentiamo sempre delle fighette, ce la tiriamo come una fionda e rispondiamo con altezzosità. Ecco, penso si possa migliorare il gusto del mondo proprio partendo dagli amici. Io ne ho molti che, ai miei concerti, mi dicono “mi è piaciuto tanto ..ma io di musica non capisco nulla”. Eppure io chiedo, stimolo all’analisi, mi interesso sinceramente alle loro impressioni. A volte sono strabilianti.
Parlarne, spiegare in termini semplici, accettare anche qualche uscita infelice, senza incazzarsi come una iena uscendo con bestemmie se uno confessa di apprezzare All… Albano. Spieghiamo, proponiamo un’alternativa.
Tante volte mi capita di parlare di musica con gli amici, a volte di cose complicate, da tecnici. Ne parlo loro come fossero musicisti, a volte mi dicono “oh non capisco niente ma ti ascolto lo stesso”: è un pregiudizio, quello che chi non suona non può capire. La musica è una cosa semplicissima, basta chiudere gli occhi e sgomberare la testa.
Siamo capaci tutti. Poi se impariamo ad ascoltarla, ascoltarla tutta, dalla prima nota al colpo di rullante, allora è ancora più figo.
Anche perché la Siae si paga uguale, per la musica bella e per quella brutta. Almeno proviamo a far apprezzare di più quella bella, no?
P.S.
Nella foto, Gabriele, un decennio fa, con la sua prima batteria (orgoglio di mamma flauta)
Un pensiero su “L’educazione alla buona musica (come provare a cambiare il mondo)”