Se me lo dicevi prima
Giulia camminava su un lungomare sconosciuto, una sera di tarda estate. La gente le passava accanto senza vederla, era un trionfo di tristezza trasparente.
Era corsa via, era scappata da lì. Sarebbe scappata anche oltre, sarebbe venuta via subito, voleva tornare a casa, rivoleva la sua vita. Perché tutto quello non se lo meritava.
Camminava, senza meta, a telefono spento, a connessione col mondo interrotta. Il mondo ad una velocità, intorno, e lei immobile e trasparente, a passo lento.
In testa aveva vergogna, vergogna di essersi cacciata in quell’inganno, cosciente e svestita di ogni armatura, facendo da bersaglio, da vittima sacrificale. E la menzogna, il raggiro, e in tutto ciò la vergogna di non essersene accorta in tempo. Adesso non aveva più le forze nemmeno di pensare, voleva solo scappare il più lontano possibile, dimenticare tutto, azzerare tutto. Avrebbe voluto dire al suo cuore che non era un motivo abbastanza importante per spezzarsi. Avrebbe voluto dirsi da dove ripartire. Mesi dopo si sarebbe detta che era la cosa migliore che potesse capitarla. Perché a volte serve farsi male, frantumarsi, per poi capire che bisogna andare oltre, riprendere la propria strada senza cambiarla solo per far felici gli altri. Sti cazzo di altri, per cui era sempre così preoccupata, per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa, a voler pagare pegno per chissà quali crudeltà avesse mai fatto nella vita.
Un pezzo di Giulia continuerà a camminare, invisibile, su quel lungomare, a contare i pezzi, e quell’altra prenderà la nuova strada, la nuova consapevolezza, a tratti la serenità di abbandonare il vecchio io. Forse. Perché ciclicamente tornerà, e brucerà tanto. Soprattutto quando avrà di nuovo quella sensazione lì, di non essere abbastanza.
Che se me lo dicevi prima, io stavo anche a casa. Stavo a casa.