Alla fine, reggi.
Avevo un amico, anni fa. Scherzando, diceva che era il mio alter ego, spiritoso, dissacrante, dongiovanni, le nostre telefonate erano spesso puro cabaret, anche se a mozzichi, per motivi di conoscenze comuni, trattavano di cose più serie e personali.
Poi una sera, uscendo da una cena con amici, ricevo una serie di sms fuori dal mondo, da gelare il sangue. Con freddo calcolo di mezzi e tempi, aveva deciso di far scendere un bel game over sulla sua vita.
Era un uomo di carattere, eh, non era un depresso, non era un debole, non era un frustrato o un codardo. S’era, e scusate il termine tecnico, rotto il cazzo. Sia della vita, che della famiglia, delle sue donne, del lavoro, chissà cos’altro. Di base, ne aveva le palle piene, ecco tutto.
Tante volte gli avevo confidato i miei guai, quelli di cui ogni tanto ora mi dimentico d’aver vissuto, ma che spesso gli amici mi ricordano, con orgoglio, d’avermi visto affrontare e superare. Cosucce pesanti, che probabilmente ero in grado di sopportare, ma che mi han portato più volte in uno stato di disperazione totale. E’ quel punto del tuo percorso in cui ti svegli e ti accorgi dello stato della tua vita, delle cose e delle persone che ci sono o non ci sono più, di cosa stai rischiando, dell’angoscia che ti toglie il respiro. Ed è uno schifo, perché non trovi uno straccio di soluzione, sembra una bolla indistruttibile ed eterna che ti toglie pian piano l’aria, la voglia di andare avanti. Ma alla fine reggi. Non vedi ne’ soluzioni ne’ futuro, ma reggi, confidi nel tempo e nella tua testardaggine.
Lo ripeto, a volte dimentico quel lungo periodo della mia vita, durato anni, non settimane; sarà che il mio attuale presente è una svolta talmente incredibile, frutto della mia caparbietà e di una buona incoscienza, che mi scordo il tragitto percorso. Non ho raggiunto fama e successo, ma ho una buona fetta di felicità di cui cibarmi, finalmente, ogni giorno.
Stasera non posso fare a meno di pensarci.