Mediamente contenta
Vagava nella nebbia dei pensieri, continuando a fare le sette cose insieme, organizzata, programmata, complicando per rendere tutto un po’ più perfetto. Io non sono perfetta, si diceva, ma devo fare tutto perfetto, perché son femmina, perché son bionda, perché devo essere credibile. Doveva crollare nel cuscino, la sera, affondandosi nella soffice convinzione di aver “combinato qualcosa” durante il giorno, senza averne mai abbastanza.
Confondeva i giorni, andava a tiro di sguardo sulle ore che aveva davanti, prendendo una cosa alla volta, apatica sebbene sempre prestante, ferma ma in continuo movimento d’inerzia.
A volte il fiato si fermava per un istante.
Le domande, l’autopsicanalisi, il guardarsi da fuori. Le appariva se stessa a vent’anni, seduta sul bordo del letto, a fissarla, a chiederle se tutto ciò che avesse fatto si sarebbe concluso nei compromessi. Dopo tutte le battaglie, le lacrime e le urla, i proclami di donna libera e sfacciata, la cattiva ragazza. Un po’ si vergognava a farsi vedere così, da quella ragazzetta imbronciata, forse non era quel che avrebbe sperato di diventare, eppure ne aveva raggiunti di risultati, ah sapessi, sapessi. Eppoi sti anni non li dimostro.
La ragazzetta storceva il volto di fianco, incazzata ed incredula. Non aveva parole, solo rabbia, forse vergogna, di certo delusione. Vedeva attraverso la carne, entrava in un labirinto di specchi e scuse, facendosi largo nelle scuse e motivazioni di carriera, di conoscenza, di virtù.
E la gioia? La gioia, l’ebrezza di un amore che ti infiamma la testa, il caldo del sangue che scorre troppo forte, l’ubriachezza di passione? Quelle cose in cui la ragazzina sguazzava, costruendosi ogni giorno un nuovo straordinario guaio, con la liquida sensazione di essere viva. Qual è il rischio di vivere, ora, in mezzo alle 7 cose fatte insieme, senza dover pensare al resto, senza guardarsi in faccia e smettere di non amare più il contenitore di se’. Come fosse l’unica condizione per uscirne, e allora okay, rimango qui al sicuro, e non penso.
Guarda che ci ho provato, ma è complicato, io non ce la faccio più con le complicazioni. Sapessi gli amici che ti tradiranno, sapessi, e le delusioni che ti squarteranno, sapessi. Meglio il profilo basso, meglio ricordarsi i tempi andati e non rischiare più. Perché mica vale la pena, quando diventerai grande lo capirai. Si può essere costantemente mediamente contenti, invece che in quel luna park di dolci e pugnali.
Che poi, basta riprendersi e riprendere a respirare, l’istante passa e si riprende il treno del giorno. E riempirà la mente di cose che soffocheranno tutto il resto, l’azzardo di essere sconvolgentemente felice, l’ardire di sconfiggere la pigrizia del cambiare le cose.
Mediamente contenta, sufficientemente soddisfatta.
Senza pensare. Assolutamente senza pensare.