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Avevo 15 anni. Ero passata in teatro nel primo pomeriggio, per il sound check, il mio primo sound check con un microfono. Avevo un walkman con la cassetta della sagra della primavera di Strawinskij, e mi ritrovavo in mezzo a metallari e punkabestia. Io e i miei libri di armonia, la mia serietà di matricola di conservatorio, chissà come e chissà perchè ero chiamata a fare la Vocalist, c’era scritto così sul pass, Vocalist.

Avevo una camiciola bianca con uno jabeau, un mix tra Prince in Purple Rain e Lady Oscar. C’entrava come i cavoli a merenda. Avevo un gruppo di pop melodico dietro, e il foglietto col testo attaccato al microfono. Non c’è niente da fa’, i testi non m’entrano in testa.

Appena ci chiamano in palco, vedo i due ragazzini tutti emozionati, e il fratello maggiore di uno dei due(autore del testo impegnato..) seduto in prima fila. Io ero in fondo, un’aggiunta. Avevo la mia immagine da bella fanciulla, la voce usciva da sola, era facilissimo cantare, nulla a che vedere con le paranoie del futuro. Tutto era semplice, spontaneo, non c’erano limiti, non c’era nulla da modificare o correggere, alle mie orecchie era come guidare una bici in una dolce discesa.

Quella sensazione mi manca. La mia voce che non fa quel che vorrei, e le insicurezze di un tempo che tornano addosso. Mi ripeto che l’ho già vissuta questa cosa, che prima di sentirmi flauta ho passato le pene dell’inferno, e che quando sarà ci sarà un altro Persichilli a sciogliermi dalle paranoie, a liberarmi dai limiti, dai confronti, dalla paura del ridicolo.

Ho questo peso sullo stomaco, da mesi. Attorno pacche sulle spalle, o facce ignoranti a fissarmi. Io, mio unico implacabile giudice, e la preparazione non mi soddisfa mai. Vorrei fermarmi, dirmi che insegnare mi basta, posso accontentarmi di ciò che ho fatto, di ciò che faccio poco ma bene.
Mi ricordo che sono madre, che dovrei trovarmi un uomo serio e fare famiglia.

Ma proprio non mi riesce. Star lì sopra, a giocar le note, è l’ossigeno.

Ecco. Ho messo quella camiciola da lady oscar, o da prince in purple rain. E le idee nella mia testa tornano a bussare per poter prender forma. Incredibile, la camicia poi, mi va perfettamente. Come se non avessi mai smesso di crederci.

7 pensieri riguardo “nessun titolo

  1. Che bella, che bellissima foto.

    Che bella, che bellissima passione.

    Vorrei tanto sentirti, prima o poi. Magari anche vederti. Ah, già, che magari anche altro.

    piesse: i pensieri sulla famiglia, il “mettere la testa a posto”, ma poi questo posto qual è? okay, tu tieni un figlio, ma quello che traspare da qui mi rende fiduciosa, sono certa che non gli stia mancando niente di più di ciò che manca a un bambino con una vera famiglia. Credimi, ci sono passata. Io avrei voluto che mia madre mi dimostrasse il suo amore, se avesse fatto questo sarei stata felice di saperla su un palco piuttosto che a casa con me, se questo l’avesse resa felice. Coltiva l’amore, coltiva la passione: è di questo che lui si nutrirà.

    Ju.

  2. Che poi quel pezzo finale dell’asta che regge il microfono sembra una mano, giuro che mi sto facendo tutto un viaggio.

  3. La foto l’ho fatta io, con la mia digitale del cavolo, a ferragosto, in un mitico concerto a Cattolica, in riva al mare. Il soundcheck fatto al tramonto, un’emozione da paura.

    Insomma ho un futuro come fotografa?…Se potessi, mi prenderei una macchina seria. Magari quando invecchio un altro po’.

    @cinas, si inizia sempre sotto la doccia.

    @judi, è che a me una famigliola farebbe comodo. Riempre l’altra parte del letto, sarebbe bello. Ma trovare un uomo che rispetti la mia vita è praticamente impossibile… meglio sola. Molto meglio, sola.

  4. nostalgia del walkman a parte: ma quando ti si può sentire?

    mi piacerebbe proprio ascoltare la flauta on the stage.

  5. beh…venerdì dopo le dieci di sera, via streamin’ su radiosherwood.it, se vuoi.

    Altrimenti, devi organizzarmi un concerto dove sei te adesso (trentino? messico? patagonia??)…

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