Giovedì e venerdì

Giovedì e venerdì

Mi metto in macchina, stomaco vuoto che non mi riesce mai di pranzare, giovedì e venerdì.

Ho ancora la testa nelle mie scartoffie, mentre esco dal parcheggio dell’ufficio e mi incastro nella lunga fila camionistica della tangenziale. Mestre non sarebbe tale, senza l’incastro nella tangenziale. La radio con Fiorello, altra routine di questi due giorni a settimana, da anni. E canto, e rido, a prescindere. Il solito parcheggio, i soliti duecento metri a piedi, col portatile sulla spalla, che pesa. Le scale, di un palazzo storico di San Donà, e i suoni di pianoforti e chitarre che pigolano dalle altre stanze. Ogni tanto però ci sono più scalini, secondo me nascono dal nulla quando son più stanca. Arrivo, alzo le tapparelle, la mia aula se ne sta li ad aspettarmi. Accendo tutto, due note sul piano (come se pure lui dovesse accendersi), attacco cassa, mic, stereo, pc, e tiro fuori  i libri, i testi, le varie menate.

Il telefono sul leggio del piano, modalità "lezione", s’illuminerà se lui manda un sms. Una volta ne mandava mille, quando non c’era il gelo. Una volta li mandava anche l’architetto, prima di andarsene al creatore. E il cuore mi si stringe ancora, e ancora. Che le cose le capisco sempre troppo tardi.

Oggi sono sei allievi. La prima è una palermitana, che abitava a firenze, che adesso sta qui e viene a lezione da me. Ha la faccia pulita della brava mogliettina, vorrebbe fare pianobar. Ha per ora l’opinione buona, su di me, le sembro una pazza che la fa ridere a crepapelle. Ma deve aver capito che è una manesca tattica per farle fare ciò che voglio io. Vane arriva dopo, vane mi conosce. Si incastra con un pezzo di L’aura, proprio lei che ha la pecca dell’intonazione. Ci vado giù cattiva, me ne rendo conto, ma solo se si martella la testa riesce a non steccare ogni nota. Con lei è tutto più difficile, anche se ci mette il cuore.

E ci penso. Io che posso. Io che sto qui dietro al piano, e ho sta voce che esce perfetta, si siede precisa sul semitono giusto, sul comma giusto. Io, che butto via la dote di mammà. Michele, devo chiamare Michele.

Arriva la terza ora, entra la sedicenne, una voce dolce e piccola…e io a chiamarla Mariele Ventre. Si farà, anche lei, col tempo. Mi dice che fuori la porta han messo un cartello, "manicomio". Si immagina mi offenda. Macchè…rido. Saranno stati i miei colleghi. Quel "manicomio" è un vanto.

Arriva Roberta. Roberta quattro anni fa è entrata qui senza un sorriso. Mi uccideva farle lezione, io che condisco i miei discorsi con battutine idiote…e lei…niente. Manco un ghigno. Adesso sta lì a cantare, sculettando, ammiccando. Ho creato un mostro.

Monica, ecco, è Monica che mi fa pensare. Lei dice che è "premestruo". Macchè, è triste, triste dentro. Non so cosa diamine le pigli, e mi cruccio tanto di non riuscire a sbloccarla. Stiamo studiando un pezzo degli extreme, entrambe le voci, ma è fredda come il ghiaccio. Appena tocco la corda giusta, le cade qualche lacrima, proprio lei che è tutta d’un pezzo, la rocker della classe. Io ascolto, faccio la predica della brava maestra, consiglio, snocciolo retorica e grandi principi. So che mi ascoltano, manco fossi il loro guru, e allora ci provo, ad aiutarle. Senza la presunzione che alla fine serva.

Ormai è passata l’ora di cena, e io ancora qui dentro a cantare con Andrea. Sta facendo un progettone, un concerto di brani di De André, con tanto di fiati. Ma stasera tocca il rap, mi invento cose per fargli fare esercizi ritmici attraverso i pezzi. Ce lo studiamo insieme, dopo un po’ vien così male che cambio ritmo e cantiamo frankie Hi Energi modello valzer. E’ un raggio di sole a fine giornata, il mio Andrea, son anni che arriva trovandomi uno straccio…e ridiamo come due pirla per metà lezione.

Esco nella nebbia. Mio figlio mi ha chiamato mezzora fa, dice che mi prepara la cena, e che mi vuole tanto bene. Com’è difficile credergli, ora. Accendo la macchina, e chiudo la parentesi fatta di note, di vocalizzi, di spiegazioni su diaframma, glottide, intervalli e storia della musica per aneddoti. Sono di nuovo alla mia vita.

Mi chiedo chi me lo fa fare. Decido che domattina lo scriverò sul blog. Che è una parte del mio quotidiano di cui non parlo mai con nessuno. Dico sempre che no, non mi piace insegnare. Mentre invece, son piena di allievi, che non mi mollano da anni. E io mi sento sempre un po’ mamma, anche se più di qualcuno ha diec’anni almeno più di me. Penso a tutti i volti, le storie, le crisi passate, di ognuno di quelli che son passati nelle mie classi. Il rapporto stretto che hai, facendo lezione uno alla volta, un’ora di full immersion e poi sconosciuti, fino alla prossima volta. E penso a quante volte mi han presa troppo sul serio. Quella volta che mi ha detto "ho mollato il moroso, non viviamo più insieme" "perchè mai??" "mi hai detto che dovevo essere più blue. adesso sono blue." O un’altra in cui si è ascoltato tutta la notte un cinque quarti sul walkman per poterlo suonare bene. E adesso non riusciva nemmeno a suonare più una marcetta, in quattro.

Mi chiedo che impressione farò a tutti loro. Mi chiedo perchè non ho chiamato Michele. Perchè ignoro che son mesi che mi insegue, ma io non ho mai trovato tempo per provare. Dobbiamo diventare gli eurithmics del jazz, mi ha detto. O forse, i Jalisse. Domani vado?..
Che vita che ho. Si apre una porta, si richiude, un momento sono un tecnico, dopo un’ora sono la prof. Adesso vado a fare la mamma, finchè si addormenterà il pupo e tirerò le somme.

Confusa?…no, solo stanca. Ho scelto una vita complicata.

Mi arriva un sms, mentre attraverso di nuovo la tangenziale. Monica mi chiede scusa… che secondo lei ho una classe di matti, ma daltronde son più matta di tutti. Secondo lei son sempre allegra e sorridente (aaaaaaaaaaaa si, come non esser d’accordo!) e le dispiace avermi rotto oggi.

Rotto. Macchè. Sono il mio caricabatterie d’autostima. Mi sento…utile.

Ora vado, è venerdì, devo tornare lì, ad accendere il pianoforte. C’è eli, che non molla un compagno stronzo, e non canterà mai bene finchè non si mette il cuore in modo Happyness. E poi ci sono gli altri, le loro storie, le loro voci.

E dopo, dopo passo da Michele. Promesso.

 

7 pensieri riguardo “Giovedì e venerdì

  1. Se fossi un po’ più vicina verrei anch’io a imparare a cantare! Sogno da sempre di assomigliare ai Jalisse.

  2. Anch’io canto… son bravissima. Specialmente sotto la doccia.

    Ho imparato da Julie Andrews!!!

    Se vuoi t do qualche lezione… dunque iniziamo con:

    Se nel primo giorno di scuola,

    a legger vuoi provar

    tu dovrai incominciar con A B C.

    Per cantare hai le note DO RE MI (DO RE MI)

    DO RE MI

    le prime tre son sempre così

    DO RE MI (DO RE MI)

    DO RE MI FA SOL LA SI

    DO se do qualcosa a te

    RE è il re che c’era un dì

    MI è il mi per dire a me

    FA la nota dopo il MI.

    SOL è il sole in fronte a me

    LA se proprio non è qua

    SI se non ti dico no

    e così ritorno al DO-O-O-O

    DO RE MI FA SOL LA SI DO SOL DO

    SOL DO LA FA MI DO RE (SOL DO LA FA MI DO RE)

    SOL DO LA SI DO RE DO (SOL DO LA SI DO RE DO)

    SOL DO LA FA MI DO RE

    SOL DO LA SI DO RE DO

    Se tu vuoi cantar così

    usa queste note qui

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