3 dicembre 2008. Il primo giorno di saldi.
Ci vestiamo. Ci guardiamo. Io dico ” …Gabry… ma te lo sai cosa sono i saldi? sai cosa t’aspetta?”.
Il nano mi fissa, come Luke Skywalker prima dell’attacco alla Morte nera.
L’obiettivo è, per ragioni metereologiche, il centro commerciale. Idee chiare, in ordine di importanza. La scelta dell’orario, strategica: l’una. Niente ressa d’apertura, niente tilt da metà pomeriggio. Sfruttiamo l’ora d’aria.
Primi mozzichi in giro, commesse appena assunte che NON SANNO cosa le aspetta (“è il giorno sbagliato per fare la commessa”).
Padri e madri di famiglia, SORRIDENTI. Bimbi che giocano coi palloncini, si fanno provare maglioncini e giacconi invernali. E’ noto come, sotto i saldi, la temperatura dei negozi sia di 37 gradi centigradi (oltre 40 nei camerini), e il capo d’abbigliamento che andrà a comprare sarà proporzionale agli strati di vestiti da dover togliere (ma ho visto gonne provate sopra i jeans, maglioni sopra i piumini, mutande sopra i piumini e le gonne e i jeans, del marito).
C’è l’incubo della taglia, e il tipico “guardi…. mia morosa è circa come lei…” e un massiccio acquisto di taglie 40 che causeranno una moltitudine di single da post-saldo.
Il nostro primo acquisto, quello fortunato: i piumini. Entriamo all’adidas, e di culo troviamo quelli prediletti da me e dal nano. Spendiamo il giusto, diamo un’ulteriore botta con le scarpe, uno stivaletto trendy per mamma e l’immancabile scarpa da ginnastica per il nano, più borsettina per mamma, massì, costa niente, eh. Ci sentiamo grandiosi. Tre quarti d’ora, e già abbiamo fatto quasi tutto.
Inizia vagamente la bolgia. Il negozietto per il quale abbiamo ulteriore sconti, inizia ad essere pieno. Recuperiamo scarpine per il mio figlioccio, jeans e cintura per il nano. La commessa mi implora con gli occhi di far da me… mi passo pure la visa sul lettore, mi firmo lo scontrino, mi dico “grazie e arrivederci”.
Ormai sono le tre e mezzo. E’ l’apocalisse.
E il nano dice “voglio fare un regalo ad Amanda”.
Chi è Amanda??
Amanda è la storica amichetta del nano. Quella a cui, a un anno, ha dato il primo bacio. Quella che anni fa gli ha detto che aveva, oltre a lui, altri 11 morosi. Quella che poi, anni dopo, ha detto siamo solo amici. Quella che poi ha cambiato idea, e era di nuovo suo moroso. Assieme agli altri 11. Quella che, carattere di merda, mi fa ricordare che avere un figlio maschio è una bellezza. Quella che, comunque, mi ha rapito il cuore, quando poi le ho comprato il necessaire per le meches colorate, e dicendomi “ma sai che sei davvero bellissima?”… ruffiane bastarde di bimbe.
E comunque. Il nano dice ciò entrando da Zara. Zara che ha aperto a Mestre da pochi mesi. Zara che è un ammasso cumuliforme di gente, maglioni che volano, donne che si accapigliano per un golf, mariti che si provano cappotti informi e vagano con occhio vacuo nella folla, in cerca della moglie, chiedendo a chiunque “scusi, secondo lei mi ingrossa?”.
Eh, te piacerebbe.
Il nano vede una borsettina. Una CAZZO di borsettina con un cavallino stilizzato, euro 9.90, scontato 5.90. Ci mettiamo in coda.
Davanti a me una tipa, che è entrata con l’amica. Una in coda alla cassa dall’inizio, l’altra a sceglier gli acquisti. Mano a mano passava, mostrava all’amica e decidevano. Alla fine tutta la fila partecipava alla scelta, suggerimenti di colore e di abbinamento.
Una famiglia, con marito alla cassa e due cognate in collegamento telefonico (giuro, con auricolare, vedi te, i professionisti) erano provvisti di carrello, lista dei parenti con conseguenti indicazioni, e un’anda organizzativa ammirevole.
Le commesse, qui, con le mani sanguinanti (e dispensa di cerotti aziendali) per il callo da “togli-tallone-antitaccheggio”, occhio vacuo, movimenti da robot della fiat, disperate. Appena qualcuno chiedeva “non trovo una 46…ce l’ha la 46? può guardare in magazzino? però rossa sa, non beige, perchè il beige mi spegne… ma verde va anche bene, ma non verde oliva, quindi okay rossa o verde, ma non verde smeraldo eh, che ho una sciarpa bluette che ci andrebbe a pugni”, partivano con lo sguardo con sottotitoli “NON ROM PE RE I CO GLI O NI AR RAN GIA TI”.
Ad un certo punto, il punto più alto di pathos del pomeriggio: un bambino inizia a piangere. Gli parte appresso un altro bambino, poi un terzo, arriva la madre “tesoro sta buono ora abbiamo finito”, dall’altra parte idem un padre, guardando con odio la moglie ancora intenta a spulciare in uno stand di camicie. Tutti si voltano a guardare i genitori bastardi, che fanno piangere i bambini. E rompono i maroni a tutti, eh si, eh cavolo, ma fateli uscire. La commessa toglie il rotolo dello scontrino di cassa e prova ad impiccarcisi.
Dopo venti minuti, ecco il nano arrivare alla cassa. I sui 6 euro, i 5 cent di resto. “Buon lavoro”, gli dice, quest’anima santa. La cassiera nemmeno reagisce, lo guarda e inizia, silenziosamente, a piangere. Lei che voleva far la velina, lei.
Dopo Zara, un paio di maglioni (ignobilmente nuova collezione, indi prezzo pieno, indi.. identico a quelli a saldo, solo più decenti. mah) e una gonna scandalosamente corta (che anche il saldo ha bisogno del suo perchè), vado alla ricerca di due paia di jeans.
Uno a Zampa di Elefante. Ovvero, ti strizzano chiappe e cosce, fanno effetto trabocco con la pancia (ebbene si, vostro onore, io ho una pancia!) e si slabbrano in fondo, e la tradizione vuole che tocchino in terra e si infradicino con le pozzanghere.
L’altro, stretto. C’è un argano apposta per infilartici dentro (“ma non si preoccupi, poi si “mollano””, sti cazzi) e la taglia 42 non ti va, che non passa dalle cosce. Ma la 44 nemmeno, ti stringe come fossi un cotechino . Passa però la 46, però con la cintura ci fai l’hooola hop. Per confonderti, mettono le taglie in 28, 30, 31. Li mortacci tuoi. Ti fanno sentire in colpa se, porca miseria, hai un minimo di curve. Curve, non ho detto ciccia. Cazzo.
Sto dicendo troppe parolacce? Sarà che sto spendendo. Troppo. E c’è troppa gente. E puzzo di sudore, e non so se son io o son gli altri. Che quando vai a far spese, sei sempre bruttissima e vestita ignobilmente, e hai il capello smorto, l’occhio incavato, la pelle olivastra. E c’è sempre quella in fianco più figa di te, più giovane, più stronza (è stronza per giocoforza. se la metta via, mia cara).
In tutto questo, il nano mi guarda forte dell’abitudine, attende paziente accovacciato nell’angolo del camerino, lanciando commenti a caso, forse suggeriti da una sua formula algebrica (si si, no, è brutto, ti sta bene, bon andiamo) che mi fa tagliar corto con l’acquisto. Il nano la sa lunga, eh.
Usciamo. Poche borse (per averle depositate a più riprese già in bagagliaio).
Intorno, il marasma d’auto di famiglie ignare di ciò che li aspetta. Di lato, la famiglia organizzata, la moglie auricolar-dotata, dà istruzioni alle due auto ricolme di sacchetti d’ogni foggia e colore, e porta all’uscita i parenti, consapevole che d’ora in poi spetterà a lei la fetta più grande delle torte di compleanno.
Ecco. Siamo a casa. Ho solo un paio di dubbi. Il primo, cosa cavolo ho comprato. Due. Oddio. Ma quanto cazzo ho speso?
E vabbè. Ma il momento in cui sei a casa, e ti provi tutte le tue cosucce, e esci la sera tutta vestita di nuovo (come le bocce di un barboncino) (come le sbronze del mio vicino) (come le brocche del cotechino) (ma com’era, ostia!), ecco, è qualcosa di bellissimo.
Ah ecco. Come le brocche di un biancospino.
Chissà che animale è il biancospino. E perchè debba sbroccare sempre. Mah.