La calma di stelle disegnate pungendo il cielo, e l’afa intorno, come non fosse notte.
Il trucco spento dalla stanchezza, il vestito di un concerto estivo che stona, ora, con questo silenzio, e questo balcone solitario. Tutto dorme, e io sveglia a guardare i tetti, con la voglia di allungare la mano in cerca di qualcuno. Ma non è ora, non è tempo, non è ancora mattina.
Le orecchie rimbombano ancora di note euforiche, ritornelli cantati, woofer che tuonavano di bassi. I piedi son scesi dai tacchi, e fanno male di troppe danze sul palco, un male dolce, che ricorda ogni nota cantata. Ed esser svuotata, di troppe energie, di troppe note che tenevo in serbo per stasera, le idee, le melodie, tutto nella memoria breve, ormai legate a questa serata, e già scordate.
Una felicità malinconica, mista alle parole, alle facce, ai discorsi, al resoconto che stampa i commenti positivi su un foglio excel della mente. Traccio una linea, e cerchio in rosso quelli più importanti. Sospiro, soddisfatta, mentre soffoco l’autocritica che mi sale per la schiena, mai contenta sono.
Chiudo gli occhi, ritrovo scampoli delle luci, della maschera messa li sopra, della recita dello spettacolo, come se fossi convinta di quel che ero, come se sapessi dividermi tra li sopra e qui dentro.
Mi parte l’angoscia. Puntuale, a colmare il vuoto di energie e entusiasmo. E’ l’onda di ritorno, la malinconia dell’essere tornata "uguale agli altri", parentesi alla solitudine.
Ho bisogno di droga, droga, droga. Scavo nella mente, dove, dove ne ho ancora. Devo sentirla nelle vene, pompare nelle tempie, aumentare l’acido nel cuore, per farmi volare ancora.
E in un’angolo della mente eccola. Muovo la testa, batto il tallone sul due e sul quattro. Una melodia che nel silenzio suona regina sopra le case. La sussurro con la stessa energia che ci metterei gridandola. Le note s’arrampicano sui tetti, giocano con le tegole e i camini, e mi abbracciano, mi cullano, mi fanno vibrare, ebbra di suoni, e una nota alla volta fa un’armonia intera.
E via andare, col prossimo.