quelli che come lei
Il leggio, accogliendo i suoi fogli, sta’ lì in attesa, in Pause. E lei lo guarda, e se lo chiede, quanto spazio sta dando alle cose che meritano, in questa sua vita. Perchè nemmeno oggi c’è riuscita, a togliere il Pause, anche se ci ha pensato, ci ha ragionato, su quel bel libro che le ha regalato Max, che lontano chilometri condivideva forse le stesse ansie da insoddisfatto perenne. L’insoddisfazione che è la spinta a studiare, ricercare, smontare e rimontare mille volte.
Ma la stanchezza. La stanchezza della noia obbligata, quella che non sai come toglierti di dosso. Che ti costringe a vivere quella vita che non è la tua.
E così si ferma a pensare, a quanti come lei stasera guardano un leggio, o un copione, o il cavalletto coi pennelli, o le scarpette da ballo. A quanti come lei debbono perder tempo in facezie come dover mangiare e pagarsi una casa. A quanti non hanno nemmeno forza e voglia di lamentarsi, di prendersela col governo, o di discutere di come vada in rovina il mondo. A quanti ogni mattina si alzano, spengono la radio, e guardandosi allo specchio si confondono. Entrano nel medesimo ufficio, la medesima scrivania, un caffè dalla macchinetta e la banalità dei discorsi tra sconosciuti con cui, per ore, si passa ogni giornata.
E pensa che non è così sola, in quel lungo respiro che le parte dallo stomaco, piegato da un dolore reale, e la testa che fa male, e gli occhi che bruciano, senza motivo apparente. Sapendo che ogni giorno passato, non si è costruito nulla. Nulla.
Chiude gli occhi, e pensa al giorno della settimana, che tanto è uguale, lunedì, martedì, è tutto uguale. Si torna sempre al punto di partenza.
La luce si spegne, e la postazione della sua arte si addormenta, lo sgabello, il leggio grande ad abbracciare le sue note, il metronomo appeso come se dovesse servire tra poco, e una matita appuntita, lì, che attende con affetto di tradurre le idee in musica.
Forse è giunta l’ora di pensare di farla, la pazzia.