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Eh?

Eh?

Rimango attonita.

Rileggo la domanda del mio compagno di corso, nella finestra della chat, e mi domando come possa aver travisato. Mi dico, son io che do’ quest’impressione. Eppure, sorrido.

-…pensi di mollare la musica per scrivere?

Mollare la musica? Obbella. Non ci ho mai pensato in vita mia.

Smettere di mangiare, bere, dormire, camminare, vedere, e suonare… è tutto sullo stesso piano. Come potrei esser flauta, senza la musica.

Che poi, scrivere, non scrivo così bene da poterci pensare. Oddio, non penso nemmeno di essere quest’immane musicista, forse una come tanti, ma la musica è nel sangue che ho nelle vene. Globuli rossi, globuli bianchi, piastrine, e semicrome.

Avrei voluto dirglielo, al mio amico. Essere più chiara. Ma son rimasta…attonita. E preoccupata, forse. Io suono. E’ li che ci metto del mio. Scrivere (non è una cosa seria) è un passatempo (la magia di chi ha un blog, quando chiunque può aprire un blog, chiunque). E’ un mezzo, senza avere un fine.

E’ come mettere in ordine il salotto, anche se non aspetti nessuno.

sono una figlia orgogliona

sono una figlia orgogliona

flute

– Sono qua, ciao, (gabry, vestiti che andiamo, saluta i nonni…) ah papà, senti, sabato inauguriamo la nuova sede dell’Accademia…

Si, va ben, ma…

– Tutti gli insegnanti suonano, un concertino, poi il rinfresco..

– ti vòl do polpette, te le incarto…

si va ben, comunque suono anch’io, col collega di piano jazz, c’è anche quella di lirico, e il direttore che accompagna…

te metto do fette de polentina, dai..

– tanto son le nove e mezzo,non ho nemmeno fame ormai, poi c’è il coro, è una cosa carina… è alle sei, non è di sera tardi, vi porto io…

eh ma non è proprio possibile. sabato manca anche IL DIACONO, non posso proprio.

– senti, per una volta anche la parrocchia può aspettare, no? venir a sentire tua figlia una volta ogni tanto…

– oh senti, non posso, non c’è il diacono e la messa….

– non mi hai mai sentita suonare una nota di jazz in dodic’anni. per una volta potresti anche venire a sentirmi. ogni volta, ogni volta salti fuori con una scusa nuova.

ma non è una scusa, Anna, no ghe xe el diacono, non posso..

Mio padre è un accolito. Dopo la pensione da un posto di responsabilità e discreta importanza, ha trovato una sua dimensione in una fervente vocazione cattolica, al servizio della parrocchia. Talmente a servizio che non viene ad un mio concerto da diec’anni, eccezion fatta di uno giusto nella chiesa parrocchiale. Ma in sostanza, io da dodic’anni faccio quasi solo jazz. E lui non mi ha mai sentito suonare, jazz. Non è venuto nemmeno al mio diploma, come se non approvasse il mio cambio di genere. Ancor adesso si ostina a dirmi di fare “qualche audizione in teatro”. Come se fossi lesbica dichiarata e mi volesse far uscire con i california dream men.

Ultimamente mi ribello. I miei stanno invecchiando, non lo so quante occasioni avranno per sentirmi ancora, ed egoisticamente quante occasioni avrò io di avere i miei cari in platea.
Mia madre mi ha sentita cantare un’unica volta, ma ormai era già sorda quasi completamente. Una mamma soprano, una figlia che insegna canto, un passaggio di testimone che non apprezzerà mai.

Che l’orgoglio di dimostrare ai propri genitori quanto si vale, sembra non mi sia più concesso.
Sarà idiota, ma io ci soffro. E’ più importante un diacono, e una messa del sabato sera, di una figlia. O meglio, di una bambina offesa, che solo a rileggermi mi sento ridicola da me.

mamma… mammaaaaaaaa sabato inaugurano la mia scuola

– inondazione?…

– nonnaaaaa INAUGURAZIONE della scuola della mia mammaaaaa

– ecco, bravo gabry… che a te ti sente sempre…

-nonnaaaaa vieni a sentire la mamma? vieni con meeeee? ci porta la mammaaa…. SABATOOOOO

sabato? ah si, va bene. devo mettermi in ghingheri? o da pomeriggio? però no sento niente….

– te vieni che la mia mamma è contenta.

– cosa è spenta? si, va bene, vengo col mio nipotino allora.. che mi farà da cavaliere…

Avrei voluto darle un bacio, alla mia mamma.
Per la prima volta. In 35 anni.

Giant Steps

Giant Steps

Si, lo so, ho latitato enormemente. Una certa noia di lettura, una certa incapacità di scrittura, o semplicemente inibizione, qua ci si aspetta un po’ troppo da me… come se dovessi scrivere solo perle. Le perle non le puoi mettere sul vestito di tutti i giorni.

Sto bene, si, benissimo. Periodo dedicato, noiosamente per chi mi vive intorno, solo per la musica, il mio corso, le lezioni, i crediti, gli esami, le armonizzazioni da fare, i pezzi da provare, gli appunti da sistemare.

Essendo una specialistica, non sono nemmeno una matricola.. sebbene mi senta incredibilmente tale.

Ho addosso quel manto di stanchezza che rasserena, ti fa sentire in pace, stai “costruendo”, stai investendo tempo ed energie per dei risultati piccini ma continuativi, che fanno bene.

Come la lezione di pratica pianistica. Il mio docente ha un’anda vagamente misogina, ero seriamente preoccupata, soprattutto perchè dopo le poche lezioni quando avevo quattro anni con la mia nonna austroungarica (bacchettate sulle dita etc) avevo rigettato ogni tentativo di studio sul piano che non fosse il vago zumpapa per accompagnare le allieve di canto, o per pescare il giro armonico di un pezzo. Ho studiato come una scema per dare una “prima impressione”, conscia della tradizione del “più studio-più andrà di merda”, e con immane stupore è andata bene. “Hai delle mani bellissime”, ha detto, commentando l’esecuzione del mio scarno arrangiamento dello standard. Sto ancora gongolando.

Si, scemenze. Piccole scemenze.

Me ne sto nel mio angolino a godermele, senza riuscire a condividerle. Mi sento scema, solo a raccontarle…Gli amici non musicisti mi guardano con affetto, annoiati ma fingendo interesse per cose lontane da loro mille liglia. Gli amici musicisti invece mi ripetono “ma cosa studi ancora a fare”, con una sincera incredulità nei confronti del mio entusiasmo “adolescenziale” per poter studiare ancora sempre le “stesse cose”. Come se si potesse “esaurire” le cose da imparare. 
Sarà che mi ostino a pensarmi ancora una flautawork’nprogress, o forse sono un’egocentrica che pensa di poter migliorare ancora, in un’età in cui si dovrebbe essere già “sistemate”.

Io ero pur sistemata, eh. E’ sta cazzo di idea del jazz che mi son messa in testa diec’anni fa che ha scombinato tutto… Complicandomi la vita.

Ecco qui, passo le mie giornate a pensare a quello, a organizzarmi lo studio, con libri in borsa, ipod con le registrazioni delle lezioni, fogliettini di “cose da ricordarsi di studiare”. Anche perchè la mole di lavoro implementa ad ogni nuova lezione, per ogni materia.

Penso sia giusto, una volta ogni tanto, pensare a se’ stessi. C’è chi si da allo shopping, comprando scarpe improbabili magari, io invece amo complicarmi la vita con avventure nuove.

Forse perchè riempiono altri vuoti? Mah. Non so.

Alla mia vita, ora come ora, darei un 8. Complessa, stressantissima, intricata di troppi impegni. Ma adoro poter appoggiare la testa al cuscino, la sera, e crollare nel sonno immediatamente, sapendo che ho “costruito” il mio pezzo di strada anche oggi.

Suppongo di avervi annoiato…  ma ripeto, oggi niente perle, solo i jeans di tutti i giorni, quelli che accompagnano i miei passi.

I miei passi in salita, col fiatone, eppure ostinandomi a fischiettare una musichina che fa così….

Incredibile.

Il terzo post per Grazia (qui) è piaciuto. Che dite, bisognava conquistarsi credibilità, o forse han capito che non mi si deve prendere sul serio? 😀

 

Ad ogni modo, se gradite, la lettura è scanzonata. Sulla falsariga di un post di “successo” di tempo fa.

i miei 5 minuti di celebrità

i miei 5 minuti di celebrità

la flauta è ospite per una settimana su grazia-blog… qui il primo post

dell’ex e del pianto greco

prometto che seguirò i due filoni, o miei amati, il “cazzaro” e il racconto. ho chiesto a lei e a lui e date le opinioni opposte (gli amici, ah, gli amici) ho prodotto del mio meglio per soddisfare qualsivoglia palato.

suggerimenti e pacche sulle spalle son graditi.

vi amo tutti. Gigi ti amo.

 

(ehm… mi son confusa, scusate).

buoni propositi

buoni propositi

Uno si lamenta, si lamenta sempre, ma poi, poi dovrebbe guardarsi indietro, ogni tanto, e dirsi…cazzo, sono una grande, sono arrivata già fin qui.

Insomma, tre anni fa i miei buoni propositi erano questi. E in questo odiatissimo anno bisestile appena trascorso, ho chiuso la partita con sei punti su sette. E in omaggio, anche altre belle cose.

Ho iniziato un percorso nuovo, con fatica e egoismo, eccezion fatta ovviamente per il nano. Riprendere a far esami, con il mio trantran quotidiano, è stata quasi una follia. Una follia che mi premierà, anzi, mi sta già premiando.
Ringrazio il cielo di poter avere un amore così enorme per questa musica, dove non riuscirai mai a saper tutto, a studiar tutto, ad esser appagata del tutto, sempre affamata di informazioni, assetata di conoscenze, drogata di voglia di suonare.

Eppoi, esser tornata nella “mia” città, sebbene mi sia costata una causa penale, mi ha ridato la mia vita, la mia libertà, e un abbraccio del mio dialetto. Un nido in cui potersi rifugiare, strade dove non saper perdersi se non per volontà, gente con cui sentirsi parte della stessa “razza”.

Il mio flauto, il mio pazzesco flauto nuovo. Lunedì, finalmente, ho sentito una nota vibrare come volevo, come so, come mia, la mia nota, il mio suono, il mio pensiero che finalmente ne esce. Ci son voluti mesi, prima di trovarci, di non sentirlo estraneo. E so solo io quanto mi ha messo in discussione cambiare tutto, tornare in gioco ripartendo daccapo dopo 28 anni in cui suonavo sempre uguale.

Ah, le cose buttate… i contratti cocopro, i curriculum, le selezioni. Finalmente assunta, finalmente malattia e buonipasto, finalmente produttività, finalmente rispetto. Due soldi, ma sicuri.  E tra le cose buttate, uomini sbagliati, solitudini sbagliate, ipotesi future stupide. E insieme foto, vestiti, ricordi,  scemenze.  Ho gettato tutto, ho tenuto solo la mia carne e le mie volontà.

In sostanza, non ho più buoni propositi.

Oddio. Si potrebbero riciclare i buoni propositi delle medie. Potrei provare a smettere con le parolacce.

(tenetevi) saldi

(tenetevi) saldi

3 dicembre 2008. Il primo giorno di saldi.

Ci vestiamo. Ci guardiamo. Io dico ” …Gabry… ma te lo sai cosa sono i saldi? sai cosa t’aspetta?”.
Il nano mi fissa, come Luke Skywalker prima dell’attacco alla Morte nera.

L’obiettivo è, per ragioni metereologiche, il centro commerciale. Idee chiare, in ordine di importanza. La scelta dell’orario, strategica: l’una. Niente ressa d’apertura, niente tilt da metà pomeriggio. Sfruttiamo l’ora d’aria.

Primi mozzichi in giro, commesse appena assunte che NON SANNO cosa le aspetta (“è il giorno sbagliato per fare la commessa”).
Padri e madri di famiglia, SORRIDENTI. Bimbi che giocano coi palloncini, si fanno provare maglioncini e giacconi invernali. E’ noto come, sotto i saldi, la temperatura dei negozi sia di 37 gradi centigradi (oltre 40 nei camerini), e il capo d’abbigliamento che andrà a comprare sarà proporzionale agli strati di vestiti da dover togliere (ma ho visto gonne provate sopra i jeans, maglioni sopra i piumini, mutande sopra i piumini e le gonne e i jeans, del marito). 
C’è l’incubo della taglia, e il tipico “guardi…. mia morosa è circa come lei…” e un massiccio acquisto di taglie 40 che causeranno una moltitudine di single da post-saldo.

Il nostro primo acquisto, quello fortunato: i piumini. Entriamo all’adidas, e di culo troviamo quelli prediletti da me e dal nano. Spendiamo il giusto, diamo un’ulteriore botta con le scarpe, uno stivaletto trendy per mamma e l’immancabile scarpa da ginnastica per il nano, più borsettina per mamma, massì, costa niente, eh. Ci sentiamo grandiosi. Tre quarti d’ora, e già abbiamo fatto quasi tutto.

Inizia vagamente la bolgia. Il negozietto per il quale abbiamo ulteriore sconti, inizia ad essere pieno. Recuperiamo scarpine per il mio figlioccio, jeans e cintura per il nano. La commessa mi implora con gli occhi di far da me… mi passo pure la visa sul lettore, mi firmo lo scontrino, mi dico “grazie e arrivederci”.

Ormai sono le tre e mezzo. E’ l’apocalisse. 

E il nano dice “voglio fare un regalo ad Amanda”.

Chi è Amanda??
Amanda è la storica amichetta del nano. Quella a cui, a un anno, ha dato il primo bacio. Quella che anni fa gli ha detto che aveva, oltre a lui, altri 11 morosi. Quella che poi, anni dopo, ha detto siamo solo amici. Quella che poi ha cambiato idea, e era di nuovo suo moroso. Assieme agli altri 11. Quella che, carattere di merda, mi fa ricordare che avere un figlio maschio è una bellezza. Quella che, comunque, mi ha rapito il cuore, quando poi le ho comprato il necessaire per le meches colorate, e dicendomi “ma sai che sei davvero bellissima?”… ruffiane bastarde di bimbe.

E comunque. Il nano dice ciò entrando da Zara. Zara che ha aperto a Mestre da pochi mesi. Zara che è un ammasso cumuliforme di gente, maglioni che volano, donne che si accapigliano per un golf, mariti che si provano cappotti informi e vagano con occhio vacuo nella folla, in cerca della moglie, chiedendo a chiunque “scusi, secondo lei mi ingrossa?”. 
Eh, te piacerebbe.

Il nano vede una borsettina. Una CAZZO di borsettina con un cavallino stilizzato, euro 9.90, scontato 5.90.  Ci mettiamo in coda. 

Davanti a me una tipa, che è entrata con l’amica. Una in coda alla cassa dall’inizio, l’altra a sceglier gli acquisti. Mano a mano passava, mostrava all’amica e decidevano. Alla fine tutta la fila partecipava alla scelta, suggerimenti di colore e di abbinamento.

Una famiglia, con marito alla cassa e due cognate in collegamento telefonico (giuro, con auricolare, vedi te, i professionisti) erano provvisti di carrello, lista dei parenti con conseguenti indicazioni, e un’anda organizzativa ammirevole.

Le commesse, qui, con le mani sanguinanti (e dispensa di cerotti aziendali) per il callo da “togli-tallone-antitaccheggio”, occhio vacuo, movimenti da robot della fiat, disperate. Appena qualcuno chiedeva “non trovo una 46…ce l’ha la 46? può guardare in magazzino? però rossa sa, non beige, perchè il beige mi spegne… ma verde va anche bene, ma non verde oliva, quindi okay rossa o verde, ma non verde smeraldo eh, che ho una sciarpa bluette che ci andrebbe a pugni”, partivano con lo sguardo con sottotitoli “NON ROM PE RE I CO GLI O NI AR RAN GIA TI”.

Ad un certo punto, il punto più alto di pathos del pomeriggio: un bambino inizia a piangere. Gli parte appresso un altro bambino, poi un terzo, arriva la madre “tesoro sta buono ora abbiamo finito”, dall’altra parte idem un padre, guardando con odio la moglie ancora intenta a spulciare in uno stand di camicie. Tutti si voltano a guardare i genitori bastardi, che fanno piangere i bambini. E rompono i maroni a tutti, eh si, eh cavolo, ma fateli uscire. La commessa toglie il rotolo dello scontrino di cassa e prova ad impiccarcisi.

Dopo venti minuti, ecco il nano arrivare alla cassa. I sui 6 euro, i 5 cent di resto. “Buon lavoro”, gli dice, quest’anima santa. La cassiera nemmeno reagisce, lo guarda e inizia, silenziosamente, a piangere. Lei che voleva far la velina, lei.

Dopo Zara, un paio di maglioni (ignobilmente nuova collezione, indi prezzo pieno, indi.. identico a quelli a saldo, solo più decenti. mah) e una gonna scandalosamente corta (che anche il saldo ha bisogno del suo perchè), vado alla ricerca di due paia di jeans.

Uno a Zampa di Elefante. Ovvero, ti strizzano chiappe e cosce, fanno effetto trabocco con la pancia (ebbene si, vostro onore, io ho una pancia!) e si slabbrano in fondo, e la tradizione vuole che tocchino in terra e si infradicino con le pozzanghere. 

L’altro, stretto. C’è un argano apposta per infilartici dentro (“ma non si preoccupi, poi si “mollano””, sti cazzi) e la taglia 42 non ti va, che non passa dalle cosce. Ma la 44 nemmeno, ti stringe come fossi un cotechino . Passa però la 46, però con la cintura ci fai l’hooola hop. Per confonderti, mettono le taglie in 28, 30, 31. Li mortacci tuoi. Ti fanno sentire in colpa se, porca miseria, hai un minimo di curve. Curve, non ho detto ciccia. Cazzo.

Sto dicendo troppe parolacce? Sarà che sto spendendo. Troppo. E c’è troppa gente. E puzzo di sudore, e non so se son io o son gli altri. Che quando vai a far spese, sei sempre bruttissima e vestita ignobilmente, e hai il capello smorto, l’occhio incavato, la pelle olivastra. E c’è sempre quella in fianco più figa di te, più giovane, più stronza (è stronza per giocoforza. se la metta via, mia cara).

In tutto questo, il nano mi guarda forte dell’abitudine, attende paziente accovacciato nell’angolo del camerino, lanciando commenti a caso, forse suggeriti da una sua formula algebrica (si si, no, è brutto, ti sta bene, bon andiamo) che mi fa tagliar corto con l’acquisto. Il nano la sa lunga, eh. 

Usciamo. Poche borse (per averle depositate a più riprese già in bagagliaio). 

Intorno, il marasma d’auto di famiglie ignare di ciò che li aspetta. Di lato, la famiglia organizzata, la moglie auricolar-dotata, dà istruzioni alle due auto ricolme di sacchetti d’ogni foggia e colore, e porta all’uscita i parenti, consapevole che d’ora in poi spetterà a lei la fetta più grande delle torte di compleanno. 

Ecco. Siamo a casa. Ho solo un paio di dubbi. Il primo, cosa cavolo ho comprato. Due. Oddio. Ma quanto cazzo ho speso?

E vabbè. Ma il momento in cui sei a casa, e ti provi tutte le tue cosucce, e esci la sera tutta vestita di nuovo (come le bocce di un barboncino) (come le sbronze del mio vicino) (come le brocche del cotechino) (ma com’era, ostia!), ecco, è qualcosa di bellissimo.

 

Ah ecco. Come le brocche di un biancospino.

Chissà che animale è il biancospino. E perchè debba sbroccare sempre. Mah.

un libro. un maglione. una sciarpa.
un telefonino, un paio d’orecchini. un navigatore satellitare.
un pacco di pentagrammi. una borsa per il mac.
un set di matite. uno spazzolino elettrico.
una macchina per fare il pane. una magnum di un rosso d’annata.
una lampada da tavolo. un tavolo.
una pianta. andava bene anche una pianta.

macchè.

A natale, mi han regalato un beauty. il sesto beauty CONSECUTIVO, da mia madre, con le cremine per la pelle grassa (la mia è secca), un astuccetto trasparente “da viaggio”. Identico a quello regalatomi a ottobre, per il mio compleanno.
E basta. Niente altro.

Io non lo dico a nessuno eh. E non ditelo nemmeno voi.
Ma sono tanto. Tanto depressa per questo.

Chiudo la porta di casa, e la trovo vuota. O meglio, piena. Piena di me, come se mi dicesse “finalmente sole!”.

Giro per le stanze senza la voglia di metterle in ordine. In ogni angolo c’è traccia del mio passato prossimo, i regali di natale, la valigia semiaperta del mio weekend alle terme, il suo maglione lasciato sulla sedia, il libro di gabry sulla scrivania, messo a testa in giù aperto, per non perdere il segno.

E dovrei, dovrei, dovrei. Eppure sto così bene a sentirla in silenzio respirare, la mia tana. Le mie cose, i miei vizi, i miei lussi, le mie comodità, il mio onesto disordine.

Mi siedo sulla sedia della cucina, punto d’osservazione per tutte le stanze, e mi sento bene. E’ tutto mio, vorrei dire. E io son parte del tutto.

pony express

pony express

Prima lo facevo per comprarmi le sigarette, che ero ancora ai geometri. Adesso, ci ho messo sette anni però ho finito, e non so nemmeno come. E anche se lo sono, geometra, non saprei fare altro che il pony.

Siamo cinque fratelli, una madre e una nonna, che non vive con noi ma sta in fianco, ci fa da mangiare e cose così. 
Io sarei il secondo. Sarei, perchè la prima non la si vede mai, fa la dottoranda in inghilterra, che poi…. secondo me sta li a far bàgolo con i ragazzetti nei locali, mantenuta da mamma, altro che dottoranda…Poi ho altre due sorelle, una fa pattinaggio e l’altra studia il basso elettrico. Pensare che sono sorelle vere vere, loro, hanno lo stesso papà. Eppure sono una così e l’altra colà. Io le porto a lezione, alle prove, alle gare o i concerti, ma solo se sono prima delle sei.

Alle sei io non sono più un fratello, sono un pony express. Porto le pizze fino a oltre la ferrovia, conosco la mia città come casa mia. Tutte le strade, i numeri civici, quanto ci metto col motorino e che percorso mi conviene. Ormai chi ordina la pizza li conosco, o gruppi di amici o single, che le famiglie vanno direttamente in negozio. E’ certo che con la crisi non vanno nemmeno più in pizzeria, e prendono la pizza a casa più spesso.

La prima consegna è divertente, arriva alle sette. Spesso è quello dell’urbanistica, che poi va in consiglio comunale. Pizza con il gorgonzola e birra rossa. Mi da i soldi contati, è gentile, è quasi… felice di questo rito. A volte mi domando perchè diamine non mangia un panino al bar, o perchè non torna a casa dai suoi, e mi dico che forse sceglie così apposta. E’ un rito.

L’ultima consegna invece è alle dieci e mezzo, e varia sempre. Ma con la mia legge di Murphy, è sempre il posto più lontano possibile, soprattutto se c’è nebbia, o piove, o nevica. Regolarmente.

Poi ci son le sere d’estate, e torno col motorino dall’ultima, tardi. La capa lo sa, che tardo sempre un po’. Vado piano, i pistoni della mia motoretta che strillano e rimbalzano sulle case, e dentro tutti mangiano le mie pizze, belle calde. Mi penso che porto loro qualcosa di davvero bello. Non è una lettera o un pacco, o una torta, o dei fiori. E’ cibo, il miglior cibo che la storia ricordi, ed è immediato, ha un profumo che ti ammalia, un gusto che ti soddisfa subito, ti sazia anche i sensi. Se ci sono bambini, poi, sembra di essere babbo natale… stanno sul balcone ad aspettarmi, e gridano “è arrivato! è arrivato!”.

Gli altri pony non lo capiscono. Sono intenti a far le penne col motorino e a fare i galletti in giro. Arrivano, stanno qualche mese, scombinano i turni, poi spariscono. Io no, son sei anni che faccio il pony. Forse non saprei fare altro, però sono bravo. 

Ieri sono andato dalla signora bionda. Suo figlio viene giù per le scale sempre, e lei lo controlla senza farsi vedere. Mi porta i soldi giusti, ma quando non ho il resto mi dice di lasciare li. Avrà otto, nove anni. Ogni volta mi saluta e corre su come un ometto con ste pizze in mano, e mi dice “buon lavoro!”. E io ci rimango come un pero, perchè come me lo dice io sono orgoglioso del mio lavoro. E mi sembra come se lui apprezzasse che gli porto la pizza, e anche un po’ di festa.