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m’intristisco.

m’intristisco.

Ci stiamo rincoglionendo. Sta cosa degli amici, del linkarsi, del taggarsi, dell’offrirsi uno spritz virtuale. Proprio a me, che da anni faccio la battaglia anti-SmsPerNatale (che cazzo, telefonami, vediamoci per un caffè, una biRa, una vasca in piassa Fero), mi son pure arrivati gli auguri di buon compleanno “virtuali”.

Insomma. Non solo non mi fai un regalo, non solo non mi passi a dar due baci sulle guancie, non solo non ti preoccupi se son viva o morta. Che nemmeno leggi il mio blog!

Non spendi in una telefonata, e nemmeno in un sms. Mi lasci un “messaggio in bacheca”. Ma che cazzo. Che tanto lo so, è tutto falso, è il Sistema ad averti suggerito il mio compleanno, e meccanicamente, come quando svuoti la cartella posta-eliminata, come quando aggiorni le informazioni su Itunes, come quando chiudi i popup di contoarancio, ecco, mandi gli auguri a me.

E pazienza. Ma ora.

Noto che gli amici, quelli veri, nemmeno ti mettono sui link. Tanto “siamo amici”. Scrivi di merda e non ti linko, fla, però sei taggata nel mio album.  E questi son gli amici veri.

Insomma. Amicizia è anche quello. Ti linko anche se scrivi di merda. Perchè al blog ci teniamo (ci tenevamo), è il nostro bambino, e non diremmo mai che il figlio della nostra amica sembra un gremlins. Diremmo che è “adorabile, simpatico, proprio caruccio”. Ecco. E allora dovremmo linkare anche l’amico che scrive di merda. Se non leggerlo, come facevamo tempo fa (che era tutta campagna 1.0), e ci si leggeva anche le lagne, perchè si era amiciamici.  Adesso, manco i twit, manco su friendfeed. Come se bastasse “averti sottoscritto” per legittimarsi a farsi i cavoli propri. Ma che indomita tristezza.

Insomma. Sono frustratissima. Io, e il mio avatar, in mezzo agli amici, mi sento tanto tanto sola.

tu tum.

tu tum.


Come quei giorni in cui tutto si incastra, perfettamente.
Finisco il masterclass, piena di riflessioni, che non vedo l’ora di raccontare (chissà, magari stasera a cena). Le strade di Verona mi lanciano occhiate languide, la movida attorno all’Arena, lo shopping del sabato, le ragazzine in minigonna e scarponcini indirizzite dal freddo, ma convinte del giusto. Ma ho un appuntamento.

Entro nello scompartimento del mio treno, ignoro gli altri convenuti, mi metto comoda. Apro il mac, attacco ogni cazzillo, e ti cerco. Mancano dieci minuti, e ci sarai.

Cazzo, non ho il plugin.

Scema, magari provare prima no? Potevo pensarci, l’ho settato con tutto, magari un prova per lo streamin’….

Non ho il plugin, lo cerco. Okay. Eccolo. Scarico. Come? Venticinque minuti? Ma sarà già finito, dopo venticinque minuti.
Non lo prendo, cazzo, possibile non ci sia modo… apro tutti i programmi possibili, tutti i link. No cazzo. Possibile? Ci sarà un modo più veloce. Ma ti pare possibile che.

Clicco tutto. “…per utenti mac premere…”…. okay.
Si apre Vlc, o cosa diamine è.

E sento la tua musica. E mi fermo, mi blocco. Me la assaporo, come un vento d’aria calda.
Guardo il finire di un tramonto, mentre il treno mi porta a casa, e la tizia di fronte mi fissa come fossi una posseduta.
Mi ascolto le tue parole, le domande insulse che ti fanno. Che già mi vengono in mente per prenderti in giro. E di nuovo la tua musica. Lontana mille miglia, eppure nelle mie orecchie, dentro un treno, nell’istante stesso in cui la suoni.

E d’un tratto, tum. Tum tum. Tu tum, tutum, tutum tutum, tutum tutum…. oddio. S’è acceso il cuore. Ha ripreso a battere.

Stasera te lo dico. E se riderai, riderò con te…

Che io ….ormai pensavo di rottamarlo.

io ce l’ho d’oro.

io ce l’ho d’oro.

 

Ogni tanto apro la custodia, in ciliegio, e lo guardo.
Mi viene naturale il rimando a quando avevo sette anni, e il mio papà mi comprò il mio primo, per seicento mila lire. Era sopra il carrello liberty che stava in salotto. Entravo quando nessuno mi vedeva, che mi vergognavo forse, e aprivo la custodia, lo guardavo, tutto luccicante, meraviglioso. E nemmeno sapevo come si montava, avevo fatto due note su quello del mio maestro e basta.

E dopo… dopo 28 anni, eccomi lì, il sogno della mia vita, davanti a me. Senza preavviso, senza che mi ci fossi preparata. Ma sapevo, sapevo che era arrivato il momento che.

Un coup de foudre. Tra i dieci che avrò avuto davanti, ognuno con caratteristiche diverse, colore, meccanica, stile, c’era lui. O forse, lei. Eh si, una lei, è femmina, è davvero femmina, ruffiana, intrigante, delicata e decisa, fragile e d’acciaio.

Ecco, d’acciaio magari no. E’ molto di più. Più di quanto potessi aver desiderato. Da quanto sono innamorata, studio davanti allo specchio.

Eh si, devo prendere occhiali nuovi, orecchini, e cambiare taglio di capelli, diamine. Devo essere intonata.

E com’è? …. ha il suono di un raggio di luce tra i balconi, con tutti i colori dell’alba, del mezzogiorno, del tramonto. D’estate, d’inverno. Da soli, in compagnia del mio innamorato, o di mio figlio, o di un’universo di amici. E’ il suono di tutte le cose, è il suono di una sola.

Le note scivolano via. Basta pensarle, e suonano. Senza premere, senza muovere le dita, loro arrivano, e cantano già giuste così. I ricami su ogni tasto, come un prezioso anello di un’amante pretenziosa, il colore del platino sopra quello dell’oro, e vedermi sparire mentre suono, che nemmeno una bionda come me riesce a risaltare a suo confronto.

Il sogno di tutta la mia vita.

E adesso? ……….Ho bisogno di un sogno nuovo.

Piove.

Cioè, no, non piove, diluvia.

Per una malsana legge di Murphy-desinenza veneziana, le passerelle dell’acqua alta sono posizionate in modo inversamente proporzionale al percorso che ti porta al dovedeviandare. Indi, ci sarà sempre una calle, la calle che TU devi attraversare (che non porta a musei, chiese, mostre, e roba da turisti) che sarà invasa dalla laguna. Ovviamente, nel momento di picco della marea. La calle sarà sufficientemente stretta da non farti passare con l’ombrello, e ci saranno i masegni sufficientemente scivolosi da farti ripetere tutte le preghierine che le suore all’asilo ti hanno insegnato. Anche “angelo custode”, per dire, l’atto di dolore e l’eterno riposo. Li si dice tutti, che non mi si tacci (o mort-tacci) di preferenze alcune.

A prescindere da ciò. Da noi si dice “scravàssa”. Intraducibile. Sebbene, se foste qui, comprendereste perfettamente la traduzione onomatopeica.

Ecco. E dal mio ufficietto, contemplando il sito del meteo regionale, sentendo tòni e saète al di fuori (e al di dentro), penso che tra qualche ora dovrò farmi i 50 km per andare ad insegnare. E mi dico: eh no. Oggi no. Come il comunale (di una volta, ecco) che vedeva fuori il tempo e si dava malato.

Oggi mi fermo. Piove fuori e dentro me (ostia che umido).

E mi riposo. E “fare manca” è una sensazione insolita, ma bellissima.

eclissi
eclissi

Il passato smette di far male quando gli consenti d’esser passato.

Il passato sta in agguato dietro mille particolari, dimenticati nella vita. Di solito, mai dietro a cose ovvie. Semmai, salta fuori in un luogo, un cibo, un’abitudine, un’analogia, o propriamente per sfiga.

Bisogna scremare: tenere ciò che quel passato ha insegnato, per non ricadere nei medesimi errori, ed eliminare il resto.

Il passato non si elimina facilmente, bisogna avere un ottimo passato prossimo da incollarci sopra, che il presente è ancora fresco di stampa.

E soprattutto, avere ottime pastiglie per il mal di stomaco.

 

Oppure, mettere in sella al proprio cavallo, una ragazzina di tredic’anni, sperando di piacerle. E scoprire che bastava dirle prima che sapevo benissimo chi fosse il cantante dei Jona’s Brothers, per farmi dire “ma io ti adoro!”… E render tutto più facile.

una flauta in pretura (sottozero)

una flauta in pretura (sottozero)

Faceva la curva, sul cavalcavia, con grossi lacrimoni isterici addosso. Si ripeteva, ma cosa devo ancora espiare? Cosa ho fatto di tanto malvagio per meritarmi queste colpe?

La solitudine di quel banco dell’imputata, con un PM addosso, la volontà di voler spiegare, stretta da baggianate burocratiche, date, fax o raccomandate, tutto meno importante di un bambino, il suo bambino. Non aveva mica più voglia di combattere, eh.

Non ce la faceva mica, a tornare in ufficio, ma doveva. Si va avanti, sempre, che qui si è d’acciaio, eh. Che poi, dover spiegare, dover rivangare quelle ultime tre ore, no, non ce la faceva proprio. Aveva solo voglia di superare quelle ore, e dimenticare.

– ……tra mezzora sono li.

E lei si disse, ringraziando il cielo, adesso ci sei tu, vicino a me.

la jam letteraria

la jam letteraria

…stasera a Piove Un di Sacco, in un locale, dove ogni mercoledì si lanciano in jam, organizzano la prima (oh, per me almeno) jam letteraria, celesuoniamo e celeleggiamo. Che qui si è musicanti ma non solo.

Posso far la figa e dire che mi hanno invitata?… si dai.

Peccato che, rileggendo il blog per cercare qualcosa di incisivo da leggere stasera, mi son sentita una nausea da passato prossimo che mi ha offuscato un poco. Quasi quasi cancello tutto.

Comunque, se vi passa in mente, attendo segnalazioni, grassie.

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..che Facebook è piccolo….

..che Facebook è piccolo….

….e la gente mormora.

Ricevo (per la seconda volta) una richiesta d’amicizia, da parte di un recente ex. E mi dico: è il caso che abuso del tasto “ignora”.  Poi, curiosamente, appare tra i miei amici. E ri-curiosamente, risparisce.

Poi, a causa di amici comuni, becco pure la dilui moglie (con foto col marito, per dire, cornuta e orgogliona di esserlo), e mi giustifico tali apparizioni-sparizioni.

A occhio e croce, mi ha tentato di aggiungere (ma devo averlo già aggiunto in tempi non sospetti..) senza pensare che la frusta della moglie arrivava fin qua. Zac. Tirata al guinzaglio, e via.

Tempi duri per i puttanieri, mi dico.

Il caso vuole che serva un aggiornamento della categoria “come avere l’amante e non farsi beccare”… non dite a vostra moglie che avete un account facebook. O almeno, fatevene un secondo fasullo. Perchè è tanto facile cuccare, quanto farsi cogliere in fraGRanza di reato dalla consorte, che a suon di macete informatico tenterà (inutilmente) di tarpare le vostre attitudini al tradimento cronico.

Facebook, il Meetic gratuito, è in agguato. Ocio.

(noi musicanti ci siam già fatti le ossa con myspace, ma questa è un’altra storia…..)

Lele

Lele

La Stefi mi ha detto che siamo proprio perfetti insieme. E io alla Stefi credo, che siamo compagne di scuola dalle medie.

Sabato, alla festa dell’università, abbiamo ballato insieme, scherzato, mi ha preso in braccio, mi ha abbracciato giocando. E ogni volta facevo finta che eravamo solo amici, fratelli. Ma non è vero. Ogni volta che mi si avvicina, io sento un brivido, mi esce il cuore da quanto batte. E mi si stringe facendomi male, quando lo vedo parlare con quella della quinta effe, come con qualsiasi altra della scuola. Che fa sempre lo scemo, perchè è tanto carino, ma poi mica esagera.

Siamo amici. Ah si. Io scherzo sempre dicendogli che è il più bello di tutti, …ma invece no che non scherzo. Ieri poi che eravamo soli, gli ho detto che con l’Ale non funziona mica, che ci sto insieme per uscire la sera, perchè mi sento sola. E gli ho detto che non è quello giusto, è troppo tranquillo, io voglio uno allegro, simpatico, che gioca e scherza, e lui mi ha detto che è vero, avrei bisogno di uno che assomigli a me. E io pensavo, a te. Volevo dirgli, io voglio te, cioè, vorrei, cioè, mi piaci tu. Ma poi, non lo so.

Perchè neanche alla Stefi lo dico. Magari mi prende in giro.

Poi lui con me si confida, mi racconta di chi vede, e io sono contenta perchè su tutte trova un difetto. E io gli dico “io invece, vedi, sono perfetta!” e ridiamo. Ma io mica rido, io dico sul serio.

E allora ieri mi ha detto “io e te abbiamo bisogno di persone allegre, divertenti, estroverse, abbiamo bisogno di uno uguale a noi per stare bene”, e io mi son detta, adesso me lo dice, che siamo noi.

Se A ha bisogno di B, e lui è A e io B, allora mettiamoci insieme. Perchè lo so che per lui sono speciale, mi scarica gli mp3, mi passa i programmi e mi sistema il computer quando faccio casino. Eppoi, si capisce quando c’è qualcosa di speciale.  Ecco.

Ma non ho coraggio. Poi magari si rovina l’amicizia. E io lo vedo tutti i giorni a lezione, e poi come faccio. E magari se mi metto con lui, che imbarazzo a baciarlo. Magari mi dice che bacio male. O magari vuole farlo. E se mi lascia, poi non mi saluta più a lezione, e perdo anche il brivido se mi abbraccia e mi fa gli scherzi quando siamo in corridoio. 

E a me, forse, basta quello.