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Aspettative mancate

Aspettative mancate

Danzavamo piano.
Avevo un caminetto acceso che illuminava la stanza, un tappeto sotto i piedi, la mia piccola creatura fra le braccia. Una solitudine attorno che ci stringeva, la calma che assorbiva un mondo che stava scivolando via, come se quel velo di illusioni che “tutto sarebbe andato bene” fosse diventato troppo trasparente, troppo inutile.

Dondolavamo, cullandoci lentamente, per inerzia, con una ballata rock con un flauto un po’ stonato ad accarezzarci, in eterna ripetizione per chissà quanto tempo. Faceva freddo, faceva sempre tanto freddo in quella casa, e non c’era mai abbastanza legna per scaldarci, e abbastanza soldi  per poter dormire la notte, e abbastanza lucidità per poter comprendere l’inutilità di credere ancora nella favola della famiglia felice.

Una ninna nanna bizzarra, la preferita di un neonato che rimaneva con gli occhi semiaperti, come ad ascoltare quella musica e forse i pensieri della mamma. E mamma cantava, a fil di voce, e le parole prendevano sempre il verso giusto per disegnare la nostra vita, sembravano scritte apposta per noi.  E il cuore che sembrava bruciare. Forse sì, brucia per incenerire le aspettative e l’affetto. Certi dolori servono, e bisogna viverli fino in fondo per eliminare ogni traccia d’amore.

Certe malattie non si superano mai, lasciano cicatrici che col cambio di stagione si fanno sentire. E ti torna tutto alla mente, la sofferenza sottopelle, e forse ancor più forte di prima.
Le aspettative. Quelle cazzo di aspettative che ti inculcano quando sei bambina, quell’essere due tutta la vita, la famigliola felice, qualcuno che si occupa di te e che ti vuole anche quando non sei più così perfetta.

Ma questa è un’altra storia. Si parlava di una danza, con l’unico amore che non ha mai tradito le mie aspettative. Forse una delle poche motivazioni che rimangono per cercare, ancora una volta, di inventarmi una strada da percorrere.  Perché davvero, non so mica dove andare, adesso.

 

 

Copia Privata? Equo compenso?

Copia Privata? Equo compenso?

Sono così stanca di parlare di Siae. Così stanca.
Ma in settimana ci son stati due avvenimenti: il resoconto semestrale, con cui ci mangio una pizza, e una zelante mail della sede centrale.
Quando mai Siae ci ha mandato una mail? Incredibile.

Forse vuole dirci che…

d’ora in poi comunicheremo così. Niente autorizzazioni, programmi musicali, modelli da ritirare in sede provinciale, ora è tutto online, basta con i mandatari (a volte truffaldini), basta con i depositi fatti per posta su modelli firmati in calce e scritti a mano, da adesso tutto viaggerà per email.

i borderò saranno online, compilati in parte prima in parte dopo in concerto. I controlli vengon fatti con programmini stile Shazaam o Soundhound. Tabelle precise e uguali per tutt’Italia. Ricezione senza errori del programma musicale e distribuzione dei diritti in modo analitico, quindi tutti, proprio tutti, specificatamente.

– sezione online in cui gli autori segnalano l’uso dei propri brani (trasmissioni radio, tv, spot..), così ne beneficiamo sia noi autori che la casamadre.

– libertà dell’autore di decidere per il common creative, qualora ne sentisse la necessità (beneficienza, eccetera).

– istituzione del diritto di improvvisazione e di arrangiamento, figata, come in Francia! Se incido un arrangiamento  e improvviso su “La Gatta” di G. Paoli, ora 1/12 è destinato a me!

– …. han deciso di equilibrare la tassa di iscrizione in base al “giro d’affari” di ogni autore… Quindi io che prendo meno di 50 euro l’anno pago meno di chi ne prende 500mila.

 

….ah no. Mi chiedono di aderire ad una petizione. Guarda, l’ha già firmata Baglioni, Gualazzi, Elisa, Pausini, Verdone (Verdone??), … manco solo io.
Spe’… è la petizione che “aumenta” la quota sulla copia privata? Quindi la pagherò pure io, o meglio, già la pago, semmai la pagherò di più, in quanto consumatore.  Sul telefono, sul tablet, sulla chiavetta USB.

Però ne guadagnerò io come autAH NO, guadagnerei solo se fossi tra i più “trasmessi” autori d’Italia.
Dicono che magari penseranno ad una quota per i giovani autori. Dicono, così, per fare bella figura.

Ma io non sono giovane. E faccio jazz. E mi trasmettono ogni tanto, ma boh, sul resoconto non c’è traccia. Ed il brano più trasmesso in radio è “Get Lucky”, ecco, i soldi andranno a Get Lucky, mica a Music Power.

Lo so che siamo una rogna, noi piccoli autori. La Siae dovrebbe esser fatta solo da loro vip, noi siamo inutili (fino a che non serva la nostra firma…). Il problema è che non ci è concesso fare una succursaleSiae-per-sfigati, abbiamo una unica opzione, per legge.

Quindi? …  Non so voi. Ma io non firmo. Ma col cavolo proprio.

Anzi: firmo contro. Fatelo anche voi (a questo link, metà pagina) . La campagna la promuove Altroconsumo, ha già presentato le firme al Ministro Bray, che aveva sospeso infatti l’approvazione a tale aumento… Mo’ si ricomincia con Franceschini. Facciamoci sentire.

…amici Siae, lo so che vi state dannando per far passare questa legge (articoli, riunioni coi ministri, …addirittura mail nominali agli associati..), sarebbe tanto bello impiegaste tutte queste energie in altro verso:  i problemi sono altri.

 

 

Duri&Forty – A Birthday Jam – Ven. 11 Ottobre 2013‏‏

Duri&Forty – A Birthday Jam – Ven. 11 Ottobre 2013‏‏

 (PHOTO @alessioveronesi)
My Dear,
In occasione dell’acquisizione dei miei primi anta (manco fossi un armadio a muro) sono ORGOGLIONA di esortarti a partecipare alla mia

Birthday Jam Session 

 
programmata per
 
Venerdì 11 ottobre prossimo
nella Sala Eventi dell’Officina del Gusto 
(si apre alle 20.45 e si chiude a mezzanotte)
 
(Mestre centrissimo, via Sarpi 18/22, ovvero nella galleria tra via Mestrina e il Centro Le Barche, http://www.officinadelgustovenezia.it/dove-siamo/ )
(Ocio, è zona pedonale, parcheggia in centro e fai due passi).
La Jam è aperta a tutti, anche agli amici degli amici degli amici, fino al terzo grado (di giudizio); i non musicisti sono graditi ed auspicati, le cantanti ammesse solo in quanto portatrici di f… felicità.
Se volete, all’Officina si mangia da (inserire divinità a piacimento), se volete arrivare prima e non mangiati. Ma ve rangé co’ l’oste. 
 
Resident band: 
 
La Flauta (al flauto) (finché è lucida)
Paolo Corsini, Piano
Marco Privato, DoubleBass
Marco Campigotto, Drums
Abbracci e cose belle, ci si vede lì.
Flauta

 

L’amica in carriera

L’amica in carriera

Lo disse sincera, cercando di non sembrare ruffiana. Ma lo vedeva, lo sguardo sospettoso, sprezzante, un po’ borioso.Mentre usciva dal bar ci pensava, guardando a terra, a disagio, in un mondo (oddio, un mondo forse no, diciamo il microcosmo di quel paio d’ore) in cui un complimento è sempre merce di scambio, quando non addirittura un velato insulto.
Era un bel lavoro, le era sbocciato puro e pulito l’entusiasmo, le sembrava carino e “ovvio” riferirlo.  La sua amica (oddio, quando gli amici fanno carriera bisognerebbe trovargli un altro nome comune di persona) la guardava minacciosa. “In che senso”, le aveva detto, e okay, iniziò a spiegarglielo. Tabula rasa di aggettivi e parole azzeccate, ogni descrizione le usciva male, con mille interpretazioni e gaffe. Si ingamberava su vari “non nel senso… con questo non voglio dire che… però, cioè…. no ma comunque… ecco intendo dire…” ed a ogni parola l’amica alzava sempre più il sopracciglio.
Sua madre non aveva sopracciglia, le disegnava. Un segno nero, poco naturale. Quando si insospettiva, corrucciava gli occhi, e quelle finte sopracciglia si incurvavano, due accenti minacciosi che precludevano ogni discussione positiva.  La sua amica, uguale. Un’ansia. Ma un’ansia.

Le bruciava la sedia, giocava nervosa con la tazza del caffé, implorando un evento qualsiasi che la togliesse da quell’imbarazzo: spiegare all’amica in carriera che era un bel progetto, eh, e che non voleva nulla in cambio, non c’era polemica o schernimento. Insomma, era idiota mettersi nella difensiva. Ma ci aveva provato, a spiegarle, dosando le parole, pensando ingenuamente che poteva farle piacere. Ma de che. Era meglio, tanto meglio parlare del tempo, e piove sempre, e non si sa come vestirsi, e via così. O anche meglio: ciao. Fine. Senza nemmeno troppo entusiasmo.
Eppure era convinta che, anche se “arrivata”, poteva essere sempre la sua amica, con cui chiacchierare a proprio agio. Senza dover dosare le parole. Senza passare per un’opportunista, o peggio, per una groupie fastidiosa, o una stalker.

Senza dover accettare che, anche questa, ormai se la tirava come una fionda.
Quasi, quasi quanto me.

 

Tengo le unghie corte.

Tengo le unghie corte.

Tengo sempre le unghie corte. Voglio evitare la tentazione di arrampicarmi sugli specchi per giustificare i miei errori.
Non ci metto lo smalto. Non mi piacerebbe vedere del colore sulle mani, con sotto la tastiera del pianoforte, potrei confondere la dinamica.

Ci metto la crema, sulle mani. Sono sempre molto grata al loro lavoro, allora le spalmo con affetto e riconoscenza.

Mi è capitato di avere tagli profondi, o brutte storte, o contratture pericolose dopo cadute da cavallo. Le ho viste rosse di geloni, blu di ematomi, bianche ed indirizzite, abbronzate col segno degli anelli. Anelli che non porto più.

Le guardo, ora che saltellano sulla tastiera sopra le lettere, ci rivedo tutte le coccole date, gli schiaffi repressi. Le mani strette, i saluti da lontano. Il mignolo poi, in cui vedo ancora la mano di un neonato  che lo stringe forte.

Oggi queste mani le userò bene. Per farne solo carezze.

 

 

 

Beta Perpetuo

Beta Perpetuo

Ho tralasciato molte cose, in questi mesi. E’ uscito A Casa Mi Veniva, mi sono concentrata sui contenuti del sito, sui concerti e la promozione. Sono stanca, molto, e con ancora molte cose in sospeso, tutte mediamente urgenti.

Però sono contenta. Ho costruito qualcosa di onesto, sincero, niente musica ruffiana o tagliata per vendere. Sono cresciuta, mi sono “evoluta”, ho inciso un disco per dire la mia, senza mediare con altri.
Tutto quello che ho fatto prima, incisioni, progetti, collaborazioni varie, nulla era davvero così, nulla era “come voglio, come sento io”.

Il mio socio, musicista straordinario e uomo di enorme cultura e sensibilità, è stato un alter ego ideale, incredibilmente affine alle mie idee e alle mie note. Un’esperienza personale che non riesco a spiegare a nessuno.
Forse un qualcosa che a fatica riesco a spiegare anche a me stessa.
E’ diventato uno spartiacque, dalla musicista che ero prima e quella che sono ora, pur sempre in cammino e in eterna fase di studio, di beta perpetuo: mai come ora penso di aver amato tanto il mio mestiere.

copertina

 

Alla fine, reggi.

Alla fine, reggi.

Avevo un amico, anni fa. Scherzando, diceva che era il mio alter ego, spiritoso, dissacrante, dongiovanni, le nostre telefonate erano spesso puro cabaret, anche se a mozzichi, per motivi di conoscenze comuni, trattavano di cose più serie e personali.
Poi una sera, uscendo da una cena con amici, ricevo una serie di sms fuori dal mondo, da gelare il sangue. Con freddo calcolo di mezzi e tempi, aveva deciso di far scendere un bel game over sulla sua vita.
Era un uomo di carattere, eh, non era un depresso, non era un debole, non era un frustrato o un codardo. S’era, e scusate il termine tecnico, rotto il cazzo. Sia della vita, che della famiglia, delle sue donne, del lavoro, chissà cos’altro. Di base, ne aveva le palle piene, ecco tutto.

Tante volte gli avevo confidato i miei guai, quelli di cui ogni tanto ora mi dimentico d’aver vissuto, ma che spesso gli amici mi ricordano, con orgoglio, d’avermi visto affrontare e superare. Cosucce pesanti, che probabilmente ero in grado di sopportare, ma che mi han portato più volte in uno stato di disperazione totale. E’ quel punto del tuo percorso in cui ti svegli e ti accorgi dello stato della tua vita, delle cose e delle persone che ci sono o non ci sono più, di cosa stai rischiando, dell’angoscia che ti toglie il respiro. Ed è uno schifo, perché non trovi uno straccio di soluzione, sembra una bolla indistruttibile ed eterna che ti toglie pian piano l’aria, la voglia di andare avanti. Ma alla fine reggi. Non vedi ne’ soluzioni ne’ futuro, ma reggi, confidi nel tempo e nella tua testardaggine.

Lo ripeto, a volte dimentico quel lungo periodo della mia vita, durato anni, non settimane; sarà che il mio attuale presente è una svolta talmente incredibile, frutto della mia caparbietà e di una buona incoscienza, che mi scordo il tragitto percorso. Non ho raggiunto fama e successo, ma ho una buona fetta di felicità di cui cibarmi, finalmente, ogni giorno.

Stasera non posso fare a meno di pensarci.

Le regole di Robert Schumann

Le regole di Robert Schumann

(Le avevo perdute. Oggi le ho ritrovate, quasi per caso, sul blog di Heinrich von Trotta, e le riporto qui. E’ l’idea di esser musicista con cui sono cresciuta, assolutamente attuali).

 

La formazione dell’orecchio è la cosa più importante. Esercitati sin dall’inizio a riconoscere note e tonalità. La campana, i vetri delle finestre, il cuculo – tenta di cogliere quali suoni producono.

Suona con diligenza le scale e gli studi di meccanismo. Ma ci sono molti che sono convinti di poter giungere ai più alti risultati solo perché, quotidianamente, per anni, passano ore a esercitarsi negli studi per le dita. Questo è un po’ come se ci sforzassimo ogni giorno di recitare l’alfabeto il più veloce possibile, e tentando ogni volta di aumentare la velocità. Impiega pure il tuo tempo in modo migliore.

Sono state inventate le cosiddette “tastiere mute”; usale pure per un po’, quanto basta per accorgerti che non servono a nulla. Dai muti non si può imparare a parlare.

Suona a tempo! La maniera di suonare di certi virtuosi è come l’andatura di un ubriaco. Non sono questi i modelli per te.

Impara prima che puoi le leggi fondamentali dell’armonia.

Non avere paura di certe parole come teoria, basso continuo, contrappunto,ecc… ti verranno incontro amichevolmente se tu fai lo stesso con loro.

Non strimpellare mai! Suona sempre con tutta la tua attenzione e non interrompere mai un pezzo a metà.

Andar lenti e correre sono errori di pari gravità.

Sforzati di suonare bene i pezzi facili; è molto meglio che eseguire in modo mediocre i pezzi difficili.

Devi preoccuparti che il tuo strumento sia sempre perfettamente accordato.

I tuoi pezzi non soltanto devi conoscerli con le dita, ma devi saperli cantare dentro di te, senza tastiera. Devi acuire la tua immaginazione sino al punto di poter fissare nella memoria non solo la melodia di una composizione, ma anche la sua armonia.

Sforzati, anche se non hai molta voce, di cantare leggendo a prima vista, senza l’aiuto dello strumento; così la precisione del tuo orecchio diventerà sempre maggiore. Ma se hai una bella voce sonora, non perdere un solo momento e coltivala, considerandola il più bel dono che il cielo ti ha dato.

Devi arrivare al punto di poter capire una musica alla sola lettura.

Quando suoni, non preoccuparti di chi ti sta a sentire. Suona sempre come se ci fosse un maestro, ad ascoltarti.

Se qualcuno ti presenta una composizione che non hai mai visto per fartela suonare, per prima cosa percorrila tutta con lo sguardo.

Se hai finito la tua giornata di lavoro musicale e ti senti esausto, non costringerti a lavorare ancora. Meglio riposarsi che lavorare senza piacere e senza freschezza.

Quando sarai più maturo, non suonare pezzi alla moda. Il tempo è prezioso. Già si dovrebbe disporre di cento vite, se solo si volesse imparare tutto quel che di buono c’è già.

Con dolci, biscotti e leccornie non si fanno crescer uomini sani. Il cibo spirituale, come quello materiale, deve essere semplice e corroborante. I maestri ce ne hanno provvisto in quantità sufficiente: attieniti a ciò che da loro ti viene.

I pezzi virtuosistici mutano con il tempo; l’agilità ha valore soltanto quando serve a fini superiori.

Non devi in alcun modo diffondere le composizioni brutte, anzi devi contribuire con tutte le tue forze a tenerle fuori dalla circolazione.

Le composizioni brutte non devi suonarle affatto, e neppure ascoltarle, a meno che ti costringano a farlo.

Non puntare mai sull’agilità, sul cosiddetto virtuosismo. In ogni pezzo tenta di produrre l’effetto che il compositore aveva in mente; di più non si deve fare; tutto ciò che va più in là è una deformazione.

Devi giungere a sentire una vera ripugnanza per qualsiasi cambiamento apportato ai pezzi dei buoni musicisti, come anche ogni omissione o qualsiasi abbellimento alla moda. Sono questi il più grande oltraggio che puoi fare all’arte.

Se devi scegliere quali pezzi studiare, chiedi il parere di chi ha più anni di te, così risparmierai molto tempo.

A poco a poco devi arrivare a conoscere tutte le opere più importanti di tutti i maestri importanti.

Non ti far trarre in inganno dagli applausi che i cosiddetti grandi virtuosi spesso riscuotono. Aver l’applauso degli artisti deve avere per te più importanza dell¹applauso del grande pubblico.

Tutto ciò che è di moda passa di moda, e se continui a coltivarlo negli anni diventerai un bellimbusto che nessuno tiene in considerazione.

Suonare molto in società porta più danno che vantaggio. Studiati bene chi ti trovi intorno; ma non suonare mai qualcosa di cui nell’intimo tu abbia a vergognarti.

Non perdere mai un’occasione di suonare insieme con altri, in duo, in trio, ecc… Servirà a darti scioltezza e slancio nel tuo modo di suonare. Tenta di accompagnare spesso dei cantanti.

Se tutti volessero essere primi violini, non riusciremmo mai a mettere insieme un’orchestra. Giudica perciò ogni musicista in rapporto al posto che occupa.

Ama il tuo strumento, ma non cedere alla vanità nel considerarlo lo strumento supremo e unico. Ricorda che ve ne sono altri, e altrettanto belli. Ricordati anche che vi sono i cantanti e che nel coro e nell’orchestra si manifesta l’aspetto più alto della musica.

Man mano che cresci, frequenta sempre più le partiture e sempre meno i virtuosi.

Suona con tutto il tuo impegno le fughe dei vecchi maestri, soprattutto quelle di J.S.Bach. Il Clavicembalo ben temperato dovrebbe essere il tuo pane quotidiano. Allora diventerai senz’altro un bravo musicista.

Fra i tuoi compagni cerca sempre quelli che sanno qualcosa più di te.

Riposati dai tuoi studi musicali leggendo con attenzione buona lettura. Vai all’aria aperta appena puoi!

Dai cantanti, uomini e donne, si possono imparare parecchie cose, ma non credere a tutto quel che ti dicono.

Anche al di là delle montagne ci sono persone che vivono. Sii modesto! Ancora non hai inventato o pensato nulla che non abbiano già inventato o pensato altri prima di te. E, se così invece fosse, lo dovresti considerare un dono del cielo, che devi condividere con altri.

Per guarirti da ogni boria e vanità, non c’è cura più rapida che studiare la storia della musica, aiutandosi con l’ascolto dal vivo dei capolavori delle varie epoche.

Un bel libro sulla musica è “Sulla purezza dell’arte musicale” di Thibaut. Leggilo spesso, negli anni che ti aspettano.

Se passi davanti a una chiesa e senti suonare un organo, entra e mettiti ad ascoltare. Se poi hai la fortuna di poterti tu stesso sedere a un organo, prova la tastiera con le tue piccole dita e rimarrai stupito dinanzi a quell’immane potenza della musica.

Non perdere mai l’occasione di esercitarti sull’organo; non c’è strumento che sappia vendicarsi con tanta prontezza di tutto quel che può esserci di impuro e impreciso sia nella musica stessa sia nel modo di eseguirla.

Cerca di cantare in coro, soprattutto le parti interne. Questo ti renderà musicale.

Ma che cosa significa essere musicali? Non lo sarai certamente, se tieni gli occhi fissi ansiosamente sulle note e così vai avanti faticosamente sino alla fine del pezzo; non lo sarai certamente, se ti blocchi e non sai andare avanti, magari perché qualcuno ti ha voltato due pagine insieme. Ma sei senz’altro musicale se riesci in qualche modo a intuire che cosa troverai più avanti in un nuovo pezzo che stai leggendo o se sai a memoria che cosa ti aspetta in un pezzo che già conosci; in due parole, se hai la musica non soltanto nelle dita, ma nella testa e nel cuore.

Ma come si diventa musicali? Caro ragazzo, la cosa più importante, come sempre viene dall’alto ­ ed è la precisione dell’orecchio, la prontezza nel percepire. Ma la nostra costituzione può essere sviluppata e rafforzata. E certamente non ci riuscirai se ti rinchiudi per giorni interi, come un eremita, a suonare meccanicamente un po’ di studi; mentre ci riuscirai senz’altro, se ti terrai in un continuo, vivo rapporto con le molteplici realtà della musica, e soprattutto se ti farai una buona pratica di coro e di orchestra.

Fatti prima che puoi un’idea precisa dell’estensione della voce umana nei suoi quattro registri fondamentali; studiali soprattutto quando ascolti dei cori, tenta di scoprire in quali intervalli essi raggiungono la loro massima forza e in quali altri possono essere usati con effetti più morbidi e delicati.

Ascolta sempre con attenzione tutte le canzoni popolari; sono una miniera delle melodie più belle e ti permettono di farti un’idea del carattere delle varie nazioni.

Esercitati sin dall’inizio a leggere nelle chiavi antiche. Altrimenti tanti tesori del passato ti rimarrebbero inaccessibili.

Osserva sin dall¹inizio il suono e il carattere dei vari strumenti; tenta di imprimerti nell’orecchio le peculiarità del loro timbro.

Non perdere mai l’occasione di ascoltare una buona opera.

Venera l’antico, ma va incontro al nuovo con tutto il tuo cuore. Non covare pregiudizi verso nomi che non hai mai sentito.

Non giudicare una composizione al primo ascolto; ciò che ti piace in un primo momento non è sempre il meglio. I maestri vanno studiati. Molte cose ti diventeranno chiare soltanto quando sarai nella piena maturità.

Quando dai giudizi su delle composizioni, distingui bene se appartengono all’arte o hanno soltanto un fine di intrattenimento dilettantistico. Alle prime dà tutto il tuo appoggio; dalle altre non lasciarti neppure irritare.

“Melodia” è il grido di battaglia dei dilettanti ­ ed è vero che una musica senza melodia non è musica affatto. Ma devi capire bene che cosa intendono quelli per “melodia”: per loro le uniche melodie sono quelle facili da ricordare, con un andamento ritmico piacevole. Ma ci sono anche melodie di ben altro genere, e ti basterà aprire Bach, Mozart, Beethoven perché ti vengano incontro nelle loro mille varietà: sicché si può sperare che presto ti verrà a noia la misera uniformità delle altre melodie, in particolare di quelle dei recenti melodrammi italiani.

Se ti metti al pianoforte cercando di costruire delle piccole melodie, è già una bella cosa; ma se un giorno quelle melodie ti verranno da sole, senza bisogno del pianoforte, rallegrati ancora di più, perché vuol dire che è vivo in te il senso interno della musica. Le dita devono fare quel che la testa vuole, non il contrario.

Se cominci a comporre, sviluppa tutto nella tua testa. Solo quando avrai in mente un pezzo compiuto, provalo sullo strumento. Se la tua musica è venuta dall’intimo e così l’hai sentita, anche sugli altri farà lo stesso effetto.

Se il cielo ti ha donato una fantasia viva, ti capiterà spesso di sedere per ore al pianoforte come incantato, e di voler esprimere il tuo mondo interno in armonie. Allora ti sentirai attratto in un cerchio magico da una forza tanto più misteriosa quanto meno chiaro magari è ancora per te il regno delle armonie. Sono ore felici della gioventù queste. Ma intanto guardati bene dall’abbandonarti troppo spesso a un talento che ti induce a dissipare forze e tempo seguendo una sorta di gioco di ombre cinesi. Il dominio della forma, la capacità di articolarla con nettezza si possono raggiungere soltanto grazie al preciso segno delle note. Preoccupati perciò più di scrivere che di improvvisare.

Tenta di procurarti non appena puoi le prime nozioni dell’arte del dirigere e osserva spesso i buoni direttori d’orchestra; permettiti pure di dirigere in silenzio insieme a loro. Ti darà chiarezza.

Abbi pratica della vita, come anche delle altre arti e scienze.

Le leggi della morale sono anche le leggi dell’arte.

La diligenza e la perseveranza ti faranno ascendere sempre più in alto.

Con una libbra di ferro, che costa pochi centesimi, si possono fare migliaia di molle da orologio, che valgono centomila volte di più. Quella libbra che hai avuto da Dio devi saperla utilizzare fedelmente.

Senza entusiasmo nulla riesce bene nell’arte.

L’arte non è fatta per conquistare ricchezze. Cerca soltanto di diventare un artista sempre più grande; tutto il resto verrà da sé.

Soltanto quando la forma di una composizione ti sarà veramente chiara, anche il suo spirito diventerà chiaro.

Forse è vero che soltanto il genio può capire totalmente il genio.

Qualcuno disse che il musicista perfetto dovrebbe essere in grado di vedersi davanti agli occhi, come sulla partitura, un pezzo per orchestra ascoltato per la prima volta, fosse anche molto complesso. Questo è il punto supremo che possiamo pensare.

Non si finisce mai di imparare.

Robert Schumann

Trentanove

Trentanove

Domani compio 39 anni.
Me lo scrivo, che ogni tanto mi dimentico la cifra, e riconto gli anni, dal 73 in poi.
Certo, qualche settimana fa sentivo il peso di quasi quattro decadi sulla schiena, perché ti accorgi dell’età solo quando devi far delle foto, o partecipare ad un matrimonio, e l’ansia di dover dimostrare d’esser bella e fresca come una ventenne, idiozia che ci inseriscono sottopelle alla nascita, annebbia l’obiettività e l’amore di se’.
Eppure il mio volto non ha ancora i graffi del tempo, non ho ancora messo su dieci chili, ho ancora fiato per tener su due ore di concerto, e otto ore di lezioni di canto. Me la cavo piuttosto bene.
Ho un ego che mi fa ombra, e sotto quell’ego conservo affettuosamente le insicurezze. Le mie più care amiche hanno una dieci anni in meno, l’altra dieci in più di me. Il mio compagno ha numerose seste napoletane in più, e continua a ripetermi che non è affatto vero che mi sopporta. Mio figlio, nell’età in cui sbuffa ad ogni proferir di verbo, chiama la mamma venti volte al giorno e la vede ancora come un essere splendido e portatore dell’assoluta saggezza e cultura. Insomma, ho un sacco di cose belle.
Forse per quello non festeggio, domani. Mica è solo domani, che dovrei festeggiare.
Ho 39 anni. Figo, 39: il 3 e il quadrato di 3. Quest’anno farò grandi, grandi cose.

terre in moto

terre in moto

Ho avuto paura. Ho tremato per ore, incrementando il batticuore ad ogni scossa.
Non ho capito perché a tanti chilometri si sentisse così forte la rabbia della natura, non ho capito perché in un quartiere della mia città fosse così forte mentre in altri nemmeno svegliava dal sonno.

Son rimasta lì, pietrificata dalla paura cercando di decidere il momento giusto per correre da mio figlio e portarlo per strada, forse spaventandolo per niente. Perché dalle mie parti i terremoti non fanno danni. Ne ho sentiti tanti, si muove tutto, ma non fanno paura. Prima di questo, almeno.

Poi Lui ieri sera suonava lì vicino, e dormiva fuori, e non rispondeva al telefono. E ‘vanti, ansia che sale.

Ero da sola con nuove sconosciute paure, io che non mi impressiono di nulla. E ringraziando il cielo che esiste Twitter, e un mondo nella mia stessa barca, presa dal panico ma portatrice di notizie che, in un modo o nell’altro, placano l’ansia che condividendola… si ridimensiona.

Stasera gli amici di giù dormiranno in macchina. Il mio pensiero, con affetto enorme, va a loro.