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….e comunque, mia dolce searchy , nemmeno a me volevan dare la scheda per il senato. ma convinti.

10 anni secchi in meno. madonna se son figa.

Flaallaricercadiqualcosadipositivoinquestelezionidimerda

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Sapermi innamorare.

Saresti cosa preziosa, da difendere e proteggere e coccolare. E tutt’attorno graviterebbe la mia vita.

E non sarei più una biglia impazzita tra le emozioni.
E non sarei più instabile per la solitudine.
E andrei a casa presto, che c’è chi mi aspetta.

E non mi truccherei più con le mie difese. Starei a fissare il niente leggera come nuvola.

Se solo sapermi innamorare.

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Nella mia vita ora c’è Martina.

E’ arrivata ieri, senza preavviso. E’ entrata nella mia casa, tra figlio, gatta e spartiti. Sborona anche nella sua minutezza, si è appostata nel posto ideale. Sopra una spina, tutta per lei, e un piano di lavoro ampio, dove star comoda senza rischiare d’esser spostata.

Di base è giallina. E’ bionda insomma. Si è già scontrata con le varie spie e segnali acustici di Matilde, soprattutto, che si considera pur sempre la reginetta della casa. Ha già capito i tempi e i modi, entrando a pieno titolo nell’ebbrezza delle mie giornate.

Stamattina, alle sette in punto ha chiamato. "Oh, signora, io parto eh". E mentre sistemavo il nano per la scuola, Martina ha cosparso la mia tana di odore di famiglia. Il caffè. Profumato, aromatico, s’insinuava per le camere, una delicata carezza a risvegliarmi.

Ha atteso, in caldo, che prendessi la tazza. Ha versato il caffè senza spandere una goccia, con vergogna delle mie moke messe li in angolo, e mi ha guardato interrogativa, mentre lo assaggiavo. Con sguardo severo l’ho fissata, attendendo di valutare il suo operato. Per poi, regalarle il più riconoscente dei sorrisi. E decisa, calda, accogliente, si è donata a me, fedelmente, per ogni giorno che verrà.

Ora c’è Martina, a farmi il caffè ogni mattina.

 

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Certe serate partono con un input pazzesco.

Sarà che ho preso i brillantini come ombretto. E distribuisco brillantini ovunque. E’ sicuramente questo.

Entriamo nel locale, e in sottofondo c’è l’ultimo cd registrato con la Lounge Orchestra. Come i grandi. Ingrasso d’orgoglio ascoltandomi in filodiffusione. E sboroneggio (che quando mai mi ricapita) a profusione con i convenuti.

Iniziamo il check, ottimo suono, bel feel. Ah si.

Mangiamo. Una cena coi controfiocchi, un rosso indimenticabile.

Primo set: entra nel locale il FamosissimoPianistaJazz. Io cerco di trasformare me, leggio e flauto in innoqua antenna Umts, tentando una mossa camaleontica. Ma (ribadisco, i brillantini illuminavano il locale..) non solo attiriamo l’attenzione, il meco si alza da tavola ad ascoltare i soli, in piedi, forchetta in mano e in masticazione sospesa.

Secondo set: entra nel locale pure il FamosissimoTrombettistaJazz. Che mi saluta con un "La mia amichetta di my space!"… in mezzo a risatine malefiche dei miei compagni di trio. I bastardi.
Dietro timida proposta, il FamosissimoPianista si fionda al piano, e iniziamo a suonare insieme (lo posso mettere nel curriculum?), io lui e il contrabassista. Michele mi guarda basito. Anche io mi guardo basita. Anche i brillantini intorno mi guardano basiti.

La serata finisce attorno ad un tavolo, il mio trio e i due FamosissimiJazzisti, a raccontar barzellette, e a far ear-training (alle due del mattino) giocando come i grandi.

Respiro a pieni polmoni, e alzo il livello alcolemico in modo imbarazzante, godendomi una serata "tra quei veri". Manco fossi una starlette alla cerimonia di consegna degli oscar. E se non bastasse, i grandi si son dovuti pure pagare la cena. Noi ci abbiamo guadagnato pure il cachet.

Torno a casa, e mi rendo conto che non trovo casa mia, ma soprattutto…che non so a chi raccontarla.

Taci va che ho un blog (va che fortuna, eh?).

 

ps. i brillantini di questo post non sono stati in alcun modo maltrattati. (Disponibili presso Douglas, gel pennellino e polveri di diversi colori, prezzo allucinante, ma qui siamo gnokke certificate, mica cazzabubbole). 

ps bis nella foto, uno dei convitati. andato via subito.

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Siamo in rotta.

Passo la giornata a gridargli dietro, a ripetere sistema la camera-vai a fare i compiti-spegni quel coso (dove coso può essere nintendoDS come acqua della doccia)-non li che ti cade-ecco hai visto e mo’ sistemi-finisci di mangiare-piantala di cazzeggiare finisci il compito, e bla bla bla.

E’ inutile soffermarsi sul tono di voce, e sulle minacce con cui intingo le varie strofe.

Insomma, è guerra aperta. Ma, inspiegabilmente, il nano s’appiccica. Mi segue per casa come un serial killer, e riesce a cacciarsi in guai che manco Doraemon. Per dirne una, mentre arrancavo sullo step, l’artista pretendeva di acquerellare sopra il mio letto, sopra il mio copriletto arancione, sopra il mio copriletto arancione che fa pandant con le tende, il lampadario e tutte le cornici di camera mia. Ah, i cuscini. Pure i cuscini fanno pandant, ovviamente. E lui, fenomeno, insisteva con intentare un ritratto di mamma sua appoggiando l’acquetta sopra il mio copriletto arancione che fa pandant con le tende, il lampadario e tutte le cornici di camera mia. Ah, i cuscini. Pure i cuscini fanno pandant, ovviamente.

Gli ho detto, ti cade. L’ha messo in terra. Dopo due minuti ha allagato il pavimento (ma tanto quello non fa pandant). Per dire, io avrò ragione. Ma lui è impedito, cronico.

Tutto ciò per dire.

Stamattina pioveva. Fisso. Usciti da casa, gli dico (perchè mica ce la fa da solo) "resta sotto il portico finchè sposto la macchina".

Di solito faccio manovra, inverto il senso di marcia e lui sale dalla parte opposta della strada. Ma oggi diluvia. Indi faccio solo retromarcia fino al portone, in modo che possa salire dal lato passeggero prendendosi meno broncopleure possibile.

Il fenomeno esce dal cancelletto, lo chiude, e fa il giro dall’altra parte. E mi guarda. Sotto l’acqua. Dal lato guidatore.

"…….è che son abituato a entrare di qua".

"Ma cazzo ti fumi alla mattina?….ma sarai demente…."

Il nano non ce la fa. Scoppia a ridacchiare. "…da qualcuno avrò pur preso".

E c’ha ragione. Il piccolo bastardo.

 

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C’è musica dappertutto. Pentagrammi, real book, sigle scritte su improbabili pezzi di carta. In ogni stanza di musicista c’è il casino creativo, fuori dal quale la musica non suona uguale.
Attacca il cavo, apri il leggio, appoggia le parti, che regolarmente cadranno a terra. E un appunto a matita che alla fine non dice nulla, ma ti ricorda tutto ciò che devi fare.
E le idee, tirate fuori con diplomazia assoluta, per non offendere nessuno, per non offuscare gli altri, timidamente. Le orecchie aperte, il piacere di stare insieme a creare qualcosa, la stima di noi, per ora, fin quando ci starà bene lavorare insieme.

E io me la godo.

C’è quell’atmosfera da tempi del conservatorio, quando non c’era vita al di fuori dalla musica, quando non poteva esistere nulla, lavoro, amori, famiglia… ma solo note, armonie.
Mentre oggi, i nostri figli giocano insieme in un’altra stanza, finiamo presto che domani sono in ufficio, e se il concerto è presto dovrò prender ferie…. Com’è diversa la realtà, da quella che credevo al tempo.
Ed è forse per questo, che quel che costruiamo piano è diventato importante, prezioso.

Porto a casa Miki, e facciamo progetti. E’ tutto contento perchè facciamo quel pezzo di Pastorious, e io son tutta contenta per Shorter, col pezzo che ha il mio nome. Il suo obiettivo è fare cose che non sa fare, e studiarle, e impararle, e sfidarsi. Il mio obiettivo è fare pace con me.
Ho voglia di suonare anche dopo la prova, è alzarsi da tavola con ancora la fame. E’ sentire che devi suonar bene perchè sbagliare sarebbe un delitto. E’ provare una magia, creata dalle tue note. E’ non dover dirle, le cose, perchè ti capiscono subito al volo, senza dirsi, senza guardarsi. E’ sentirsi in mezzo al proprio mondo, stare attorno ad un tavolo prima del concerto, con i miei compagni d’avventura, quasi ignorati dal resto del locale, e fare una scaletta, che non manterremo mai. Un microcosmo elettivo, ognuno con un proprio colore su di una tela bellissima.

Che anche se te lo spiego con mille parole, non lo capiresti mai.
E non sai cosa ti perdi.

Il mio amico Mario

Il mio amico Mario

Mario è l’emblema di ciò che dovrebbe essere ogni collega.

E’ puntuale, rimane a casa solo se contrae la Sars, si prende ferie solo se non dà fastidio a te, e non ti lascia mai il suo lavoro da fare. Anzi.

In ufficio risponde anche al tuo telefono, copre i tuoi errori, è la spalla ideale quando c’è da fronteggiare un utente spiacevole. Ti spalleggia coi capi, ti viene in contro se sei intenta in altre faccende (dalla lettura di una mail impegnativa, al petting col Collega Carino alle macchinette), e non ti fa pesare mai nulla.

E’ il mio alter ego, gestiamo le stesse pratiche, lo stesso ufficio, le stesse mansioni. Se non c’è l’uno, c’è l’altro. E quando arriva l’orda barbarica di pratiche, si mette a capofitto. Bravo, preciso, non sbaglia mai. E, quasi come una mamma discreta, fa anche quello che io dimentico, sistema quello che incasino, controlla quello che già sa ho scordato. E non me lo fa mai pesare, mai, sebbene il mio protagonismo meriterebbe qualche ridimensionamento.

Non bastasse, è un perfetto compagno di forchetta. A pranzo sa consigliarti quale tra i tre primi sia il più giusto della giornata. Sa commentare come provetto chef, gusti ed accostamenti. E prende con te il dolce, senza farti sentire in colpa.

E meglio di qualsiasi amica, ti ascolta. Con pazienza e ironia, si sobbarca sfoghi gabriel-scolastici, racconti musicali, paranoie amorose. E quando dice la sua, lo fa con garbo e discrezione. Senza sentenze.

E infine: intonato da paura. Come sa fare con te i coretti, le sigle, gli spot, i rimandi a refrein famosi, ah, nessuno può.

Non è un collega, è un mito. E’ talmente spettacolare che non ti riesce di mancargli di rispetto, approfittare del suo buoncuore, sfruttare la sua disponibilità. Ti senti in colpa se cazzeggi, perchè Mario lavora anche per te, senza fartelo pesare.

Ecco, è il mio amico Mario.

 

ciao fla, oh, domani non ci sono, ho avuto una colica renale nel pomeriggio, esco ora dal pronto soccorso…. mi spiace, avvisi tu la capa?

– ma vaffanculo, bastardo!

 

corso pratico per fare la spesa

corso pratico per fare la spesa

Io sono una massaia multitasking.

So combinare lavatrice-forno-lavastoviglie, senza che salti la luce.  Stendere tutto il guardaroba del nano, e contemporaneamente preparare la besciamella per le lasagne (così solida che stanno su manco fosse silicone per protesi), studiarmi i pezzi e intraprendere relazioni scabrose via messenger, il tutto con maschera al lichene bianco sul viso, e impacco al rododendro (e rodofuori) e aloe tarocca (la vera costa un botto) sui capelli.

Che i capelli sono importanti.

Ma c’è una cosa in cui sto ancora studiando: la spesa.
Ho seguito numerosi corsi, ma ammetto, è un tirocinio continuo.

La base per ogni buona spesa è la lista. Prima di tutto, va definito il tipo di market. In base alla struttura, si visualizzerà l’ordine in cui si indicheranno i prodotti per l’acquisto. E si potrà quindi scartare un’inutile tour per il corridoio ininfluente.

Prima di partire, quindi, lista in una mano, un euro nell’altra, e nella terza le borse di tela per salvare il pianeta. Possibilmente, anche figlio (in quanto provvisto della terza mano mancante).

In linea di massima, si parte con la verdura. 

Allora, frutta, insalata, prezzemolo…. E fragole. Le fragole vanno tassativamente nel seggiolino per bimbi aperto. Via, lo sanno tutti. E poi la pasta, la carne e i formaggi, lo scatolame, il vino (messo visibile, sarà il primo da metter sul nastro trasportatore, e poi in borsa). Poi i detersivi, prodotti di belessa, cancelleria di scorta per i pupo.

E infine, alla cassa. Alla cassa nasce la staffetta. Il pupo parte alla caccia al tesoro del "ho dimenticato il dentifricio, il bicarbonato, gli assorbenti" mentre noi si attende il turno. Ecco, magari gli assorbenti no. Che sentir gridare il pupo da una corsia "mamyyy…. super, extra plus o con le ali antisgoccioliomutanda??" è lievemente imbarazzante.

La disposizione è il segreto: bottiglie intorno, solidi sotto, fragole e uova sopra. Con velocità, che la signora dopo già ringhia. Carico del carrello (che non potete sapere cosa voglia dire rovesciarlo, ignavi…) e arrivo all’auto. E qui, l’acqua dietro al sedile, il resto nel bagagliaio. Tipico il pacco da dodici di cartaigienica messo dietro sopra il portaoggetti, dietro. E poi, pian piano (che in curva tutto crolla) fino a casa.

Io, io a questo punto non resisto vostro onore.

Sa, una volta caricato il tutto, devo girarmi, fare inversione con la macchina. E in fondo al parcheggio, c’è uno spiazzo grande. E sa. A volte. Accellero, prendo la curva, sterzata, la destra sul freno a mano, ………LEVA!!!!!  … ecco… come dire.

So che sbaglio in qualcosa. Ma alla lunga al frullato di fragole ci si abitua.