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Ste boia di sette cose che volete sapere.

Ste boia di sette cose che volete sapere.

Che devo averle già scritte da qualche parte.

  • Sono rissosa. Molto rissosa. Se posso litigare, litigo. Volendo, picchio. Ho beccato due progettisti sopra il cofano della MIA macchina a distendere planimetrie con bordino a spirale di ferro. Ho preso il crick e ho usato le loro vertebre come tastini di uno xilofono. Ci sono ancora le macchie di sangue qui fuori.

 

  • Solitamente faccio più cose contemporaneamente. Clikko ogni cinque secondi l’invia-ricevi della posta, controllo i blog, i forum e i messaggi di testo. Per poi non rispondere e commentare, magari. Nel contempo lavoro, studio, ascolto la scaletta dei pezzi, faccio addominali, preparo la lista della spesa. Mentalmente cerco di approfittare per mettere su il caffè mentre mi strucco, caricare la lavatrice mentre aspetto che bolla l’acqua della pasta, fare autoerotismo sotto la doccia mentre aspetto i cinque minuti dell’impacco per i capelli. Ci vuole allenamento.
    Però, per dire, per anni guardavo la tv, facevo la manicure e sesso con mio marito contemporaneamente. E il tutto in quarantacinque secondi netti, eh.

 

  • Sono malata di sms. La media sono cinquanta al giorno.  Concorro per la categoria bionde ai Campionati Mondiali di T9, senza mai aver peccato di abbreviazione in tutta la vita. Ho avuto relazioni via sms, esclusivamente. Sono capace di delineare un profilo psicologico di un interlocutore solo attraverso qualche messaggio. Come per la chat, anche l’sms ha le sue tecniche….io ho sedotto e abbandonato più volte, ma soprattutto sfanculato con crudeltà inaudita e insultato con gran classe o con gretta volgarità. Mi chiedo come sono arrivata ai 20 anni senza.

 

  • Ritengo ancora che mio marito sia stato la mia ideale metà della mela: musicista, cavaliere, incoscente viaggiatore, dolce e romantico compagno di avventure . Però non leggeva le parole delle canzoni. Per questo non stiamo più insieme.

……………….Okay, anche per i 45 secondi netti.

 

  • Passo fuori casa tutta la giornata, a volte torno molto dopo cena. Vivo con le chiavi della macchina, il telefono con attaccata la chiave USB, un portafogli colmo di tutto men che di denaro, un Ipod suddiviso in repertori, le chiavi dell’ufficio, il portatile e il flauto. Ogni tanto anche mio figlio. Ma solo se non mi bastano i due giga della chiave USB del telefono.

 

  • Odio le donne. Gli uffici di donne, i gruppi di donne, le orchestre di donne. Lavorarci in team è un’apocalisse. Ed infatti: i miei colleghi a scuola sono uomini. I miei colleghi d’ufficio sono uomini. I miei gruppi sono costituiti da uomini.
    Ho qualche amica donna. Ma solo quelle che mi fanno sesso. (sappiatelo).

 

  • Adoro depistare. Amici, amanti, lettori. Perchè mentire è da dilettanti, sviare è molto più subdolo. Quindi tutto ciò che ho scritto potrebbe essere frutto di una mente bacata, e di un neurone intorpidito da dieci ore di pc. O anche la confessione dell’ultima Geisha dei tempi moderni. O solo puro mero e annoiato cazzeggio. Non alzate la mano perchè nun se vince (ed evince) nulla.

Passo la palla a qualcuno. Perchè se non li nomini nun te odiano. Allora…. mi par di non averli letti dal Caporale (e sarei curiosa quanti link al corriere troverebbe per ogni suo vizio..), la Leti e la Stefi (solo per l’assonanza, eh), e… dunque…. mata direi. Che di lei so poco niente. Se avete da ridire, prendetevela col bona.

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Non porto più l’orologio.

Per 34 anni, non uscivo di casa senza averlo agganciato ai miei minuti.

E dimentico il telefono nella tasca della giacca. Ma senza volerlo.

Piove e io sorrido sotto l’acqua come un’ebete. Faccio tardi, e mi sveglio presto. Suono, suono, suono.

Dal mio passato tornano fuori amici, storie, percorsi. Chi si è fermato, chi ha proseguito, e queste case in cui il mondo si ferma in una stanza, con solo la musica. E mentre parliamo, io capisco, parola per parola. E ci sono dentro, emozioni e sensazioni.

Mi chiedo cosa cazzo mi son pensata, in sti anni. Ma dove pensavo di andare, di diventare, forse "normale"?

Ho realizzato il mio sogno. Bastava andare più in là del proprio naso, certo. E son felice. Ma in maniera imbarazzantemente grande.

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Piazzale Roma alle sette di sera è un esercito di fretta di tornar a casa. Tutti sanno dove andare, quando arriva l’autobus giusto, qual’è il punto preciso dove poter salir per tempo e vincere la gara per il posto a sedere. Michele è in lieve ritardo, io mi godo il panorama. Noto che la giacca invernale preferita ha toni scuri. E che i motoscafisti ACTV sono ancora di Pellestrina, con una cantilena simile al torinese, che fa molto campagna. Lo penso a bassa voce. Che quelli mi menano.

Non ho tempo per godermi la laguna: Michele mi mostra le parti in battello, noto con rammarico che sono declassata a strumento armonico: solo sigle, nemmeno uno straccio di pentagramma. All’imbarcadero del Lido, ad attenderci, la cantante designata, imbacuccata a prova di bora. Le cantanti fra loro si odiano, ma lei non sa…. io son solo flauta qui (e armonica, tra l’altro). Stiliamo un accordo simpatia.

Il resto del comitato accoglienza è formato da un batterista barese trapiantato a Venezia, nell’unica lingua di terra attezzata con le auto. Di base mi starebbe sulle balle, per avermi fatto attraversare la laguna, ma vedere come stacca il tempo (il batterista che stacca il tempo? ma chi siamo, i bee-hive?) uan-ciu-tri-for, regolarmente prendendola più lenta, lo rende tenero. Io e Mik facciamo gli sboroni.
La cantante ha una vocina piccina piccina, ma un timbro bellissimo, delicato, e una pronuncia brasilera convincente. Nonchè, cosa importante, molto disciplinata, obbediente. In soldoni, non rompe il cazzo. Anzi.

Iniziamo la prova. Ognuno studia l’altro, per non pestare i piedi, per chiarire le gerarchie, per determinare chi fa il solista, chi gli assoli, chi chiude, chi dà gli stop. Tutto ciò si fa senza dir nulla, di solito.

Di solito.

Mik parte con un pedale sulle prime battute. Parte la cantante. Il contrabassista ci ferma, lui è già a metà pezzo: non ha capito sta cosa del pedale. Ripartiamo.

Pedale, parte la cantante. Fa il primo riff, poi parto io con l’improvvisazione, ma il contrabassista ci ferma: e il pedale?…ehm, il pedale solo all’inizio, dai su.

Ripartiamo.

Pedale, tema della cantante, solo mio, poi riparte la cantante e ci incrociamo un po’ , fino a finire. Seh, finire. Sul finale, spontaneamente, facciamo tre volte l’ultimo tournaround, papale papale. Ehm. Il contrabbassista si ferma, scosso. Ma come, sul disco dell’86 con Judy Garland riinciso da Cristina D’avena con l’orchestra filarmonica di Catanzaro Veneto, finiva con una quinta bemolle e un fa doppio diesis al basso.

Cerchiamo una giustificazione diplomatica, avvallando teorie a vicenda, proviamo nuovamente le tre volte di tournaround. Alla fine dobbiamo pure scriverlo come coda sulla parte. Bene, il contra è felice ora.

E’ solo il primo pezzo. Michè decide che non improvviserà, me lo dice telepaticamente. Io farò cinema, grandi assoli musichevoli e controcanti con la cantante. E finali scritti in sovraimpressione, con una presentatrice sordomuta a descriverli agli astanti. Ce la possiamo fare.

Finiamo la prova con metà programma ancora da vedere, e la mia decisa impossibilità a non farne altre. Azzardo candidamente " massi, gli altri pezzi qui…. son altri di Jobin, insomma vengono lo stesso, venerdì, senza provarli, basta guardarsi. Poi su, si fa sempre così…l’insieme c’è…" .
Il contra mi sbrana. Nononono, il disappunto è solenne, ah io non son abituato, tutto dev’essere perfetto, dobbiamo provare tutto per mesi (per una serata?). Mik media egregiamente, incastra una prova prima del concerto anche in mia assenza ("tanto no ti ga ti i problemi…ehm") e salva capra e cavoli.

In battello, tornando in terraferma, il contra mi riempie di lodi, ah come gli piace come suono. Sembra convincente, per un attimo penso che mi abbia chiamata perchè sono una musicista da urlo, e non perchè son bionda. Recuperiamo anche una seconda serata, col gruppo nostro. Mik è un sindacalista nato.

Finalmente soli, mi dice soltanto "….beh dai….pensavo peggio…". Ridacchiamo un po’. E concordiamo col fatto che noi, all’inizio, eravamo uguali al contra. Stracciapalle, senza l’esperienza di gestire il palco, senza gran paure del non aver tutto scritto o deciso, fermando la prova per mille scemenze, perdendoci e andando in panico. Soprattutto quando si ha un’estrazione classica. Si, prima eravamo proprio uguali al contra.

Oddio. Io ero molto, molto più figa.

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Non ce la posso fare.

Devo prendere il pullman. Scendere a Piazzale Roma. Comprendere quale linea è stata designata da Caronte per portare me e whiner guitar Michele al Lido. Salirci sopra (son strumenti, leggii, spartiti e ampli), e continuare a glissare sulla questione. Scendere a Piazzale Santa Maria Elisabetta, attendere che ilrestodelgruppo venga a prenderci in auto. Arrivare in tal sala prove (quella dentro cui il percussionista ha pesantissimi-et-scomodissimi-strumenti-impotibili-da-spostale) ed elegantemente provare tutto il repertorio (che sia io che guitar man ignoriamo) in due ore max, evitando disgressioni come ciacole, amenità e sollazzi, con fermezza ed educazione.

Temo che ci metteremmo d’accordo: io farò la rompicazzo, Michè medierà. Da piazzale roma al Lido, quaranta minuti, con ACTV. Tornare a casa all’una di notte per una prova in casa di Dio, ha un prezzo.

Insomma, sono di ottimo umore.

Giuro che se la cantante chiede una sola volta "possiamo rifarla, che non mi sento?…" le stacco le corde vocali e ne faccio un elegante portachiavi da spiaggia.

 

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Mi manca il terreno sotto i piedi.

Stanotte ho sognato le mie insicurezze, che di giorno nascondo con la determinazione di riuscire nel mio progetto, che motivo e giustifico con  gli altri (con me stessa) con discorsi puliti, limpidi, stupefacenti. Anche se, sola è tutto difficile. Faticoso, e difficile.

Difendo i miei diritti, con quello scampolo di dignità che mi rimane su questa scrivania. Ormai non ci credo più, non ho le ambizioni o le prospettive, e nemmeno più la voglia di lavorare bene. La meritocrazia che premia i fancazzisti mi ha seppellito i valori che spingevano a fare del mio meglio. Stupido, scontato, debbo ammetterlo cari colleghi… avevate ragione, ma che m’affanno a fare.

Guardo fuori dalla finestra, e costruisco all’esterno la mia realizzazione, proseguendo la mai abbandonata voglia di disegnare il mio destino musicale. Ma è tanto, tanto difficile. L’ho già detto, un capoverso fa.

Questo mio figlio che pretende la mia presenza. La mia vita che scorre sotto e mi spinge a scegliere la strada certa, anche se tanto, immensamente complicata.

Vorrei appoggiarmi. Un poco solo, per poi ripartire. Prendere il treno dopo, che adesso non ce la faccio.

E’ che chissà mai se arriva, un altro treno.

Chiudo gli occhi, che davanti è tutto incerto. E proseguo per inerzia.

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-… ha chiesto espressamente di te.

Sono una flauta che improvvisamente va di moda, nella bossa. Negli ingaggi,  "chiedono espressamente" di me, adesso.

Dopo 27 anni di onorata carriera musichevole, entro cui si annoverano studi accademici altisonanti, onorevoli collaborazioni e specializzazioni poliedriche ma approfondite, ecco che alla fine anch’io son rinchiusa nel tunnel.

La Garota de Ipanema a vita.

Aiutatemi.

la domenica degli aquiloni

la domenica degli aquiloni

 

Ha lunghi boccoli scuri, da nobile veneziana. Nessun trucco, nessuna maschera. Forse una leggera timidezza, a nascondere la volontà di farsi i fatti propri. A difendersi, dagli altri.

Si, anch’io un succo di frutta. Non vuole disturbare, non vuole identificarsi diversamente da me, sebbene si tratti di un’ordinazione al bar. Poi cede. Prende il mio identico spritz, ma lo beve piano, per non finirlo prima di me. Non vuole ch’io possa pensare che magari ha fretta, che s’è stufata di chiacchierare, o che la annoio. In quel gesto, lasciare il bicchiere lievemente più pieno del mio, c’è una dimostrazione di stima che mi lusinga.

Si sfoga. Con un’eleganza e una dignità meravigliosa. Da presuntuosa, mi ci rivedo, in lei, e nei suoi discorsi. E sentirla crollare, nel suo "son stanca di essere forte", come tante volte è crollata la mia volontà di proseguire il mio cammino.

Ho paura di ciò che dico, non voglio dimostrarmi immatura, o superficiale, od offenderla in alcun modo. Non è un atteggiamento conscio, il mio, è solo ciò che provo. Conoscerla è come leggere un buon libro, ed aver l’impressione che nemmeno leggendone tutta la bibliografia sarei esausta di scoprirla.

La sensazione che mi invade, è vederle dentro un cambiamento che è dovuto avvenire. Un purosangue chiuso in un box, ritirato da una corsa, senza sapere a chi sarà venduto dal destino. Scalpita.

Nel salutarla, mi rimane addosso l’empatica ironia, il sarcasmo agrodolce, e il rumore ridicolo degli aquiloni, vaga metafora delle nostre esistenze. E una nebbia che ci inghiotte, ma solo per un po’. Per riabituarci a scegliere i colori. 

Che bello è stato, vederti, amica mia.

caro vicino.

caro vicino.

Lo so che sei stato te. Te che abiti davanti a casa mia. Che hai la macchina nera. E la nostra è una strada chiusa, e te per entrare nel cancello di casa devi fare manovra, e non sai fare manovra senza goniometro.

Lo so che sei stato te, a strisciarmi la macchina e frantumarmi lo specchietto. Te che hai la villa, la moglie che gira in pigiama fin le tre del pomeriggio, e la villona paurosa. E so anche che mestiere fai, il medico, un serio medico sei. E tua figlia, tua figlia piccola si chiama come me.

E mi sta sul cazzo.

Mi rendo conto che con la moglie in pigiama, te hai un battaglione di amanti sparse in giro, e torni a notte fonda preoccupato di nascondere le mutande, e non sai far manovra per entrare a casa. Ma credimi, hai tutto lo spazio che ti pare. Se magari te la trombassi ogni tanto, anche tua moglie parcheggerebbe meglio, e ti agevolerebbe mentre ebbro di ormoni torni all’alcova matrimoniale.

Si, capisco, l’alluvione t’ha distrutto il piano terra, ti ricordo bene quando con le galosce giravi nel giardino, tentando di mettere paratie faidate a difenderti dal fiume che ci correva sotto casa. Però, per il solo fatto che io sto al terzo piano e non ho subito danni, non puoi essere invidioso e spaccarmi la macchina.

Che anch’io ho le mie, non pensare. Ma un biglietto l’avrei messo. Una suonata al citofono, l’avrei fatta. Azzo scusa, ti pago i danni, che vuoi che sia. Succede. Non dovrebbe, ma posso capire. L’amante quella sera t’aveva fatto un pompino come si deve, e hai sbandato. Che l’avevi detto, azzo è la macchina della mia vicina, quella bionda, quella sempre gentile e cortese. Un biglietto, ci si mette d’accordo, marò, tra vicini, e ci mancherebbe.

Ecco, fottuto vicino. La pompa della tua amichetta mi è costata un quarto di stipendio. Perchè lo specchio mi costa 170 euri. Più trenta, che devo aggiornare il motorino. E la carrozzeria, beh quella non c’ho soldi per ripararla, ma boia mondo, la mia macchinina, era tutta a posto, trattata con cura, affetto stima.

 

Un solo  consiglio. Parcheggia dentro. E attraversa la strada con attenzione. La mia vendetta sarà fredda. Ma arriva. Ah se arriva.