E qui ci siamo io, e te.
Io che non oso andare qui o la, te che mi aspetti, pronto a suonare, silenzioso, ma pieno di note. Basterebbe soffiarti dentro.
E’ che io mica lo so bene, come soffiarti dentro. Perchè te lo suoni bene tutto, basta dirti e tu suoni. Sei talmente avanti che mi salvi in corner, quando butto un giù un dito invece che un altro.
Ma capiscimi, sarà che siamo a casa dei miei stamattina. Che ieri stavo male, e son arrivata a casa per miracolo, anche se dovevo andare a dormire da lui, ma stavo così male. Avrei voluto che i miei vecchi, per una volta, mi stessero vicino. La tisanina, una copertina, un “oh ma che hai?”. Macchè. Guardavo un coso su Hiroshima alla tv, che poi era quello che accadeva nel mio stomaco. O Il mio fegato. Cazzo ne so.
E’ che adesso dovremmo studiare, io e te, dovremmo tirar fuori delle note decenti, ho un sacco di cose da studiare. Finchè il nano è a messa, dico, potremmo. E invece non riesco. Che sarà che sto male, e dovrei andare a farmi vedere davvero, sarà che qui non mi riesce. Appena torna il nano, andiamo a casa nostra, li andrà sicuramente meglio. In questa casa ci son troppe cose che mi urtano, la mia infanzia, la mia adolescenza, o la mia “adultezza” mista al menefreghismo dei miei. Minchia, ogni tanto sarebbe bello, “ma come stai, com’è andata lezione, non stai bene? dici sia il caso che andiamo dal medico? ti preparo qualcosa?”. Oddio, il must sarebbe una carezza, ma mica lo sanno cosa siano le carezze qui.
E te, te le carezze mica me le fai. Sei come un bel purosangue arabo, bisogna saperti tener le redini senza infastidirti in bocca, esser decisi e sicuri di ciò che si vuole.
Ah, io mica lo so cosa cazzo voglio. Ieri a lezione ero entusiasta. No, sono tuttora entusiasta. Non so a chi cazzo dirlo, allora lo dico a te, via. Trovarsi a 35 anni a fare ancora la studentella, ascoltare e capire, e chiedere, e immagazzinare informazioni, e non veder l’ora di lavorare col materiale accumulato in testa… Poi arrivo qui, da sola, con te, e non so trovare le energie. Ora potrei fare un bell’esercizio sul suono, scale e arpeggi, studiarmi qualche bel pattern, e incastrarmi in testa quel benedetto ‘Trane. Invece, son qui, a guardarti, A vedere come riposi, come “perdi tempo” disteso sul mio letto. E anch’io perdo tempo. Devo studiare. Devo costruire, devo portarmi avanti, devo preparare migliorare imparare ripassare memorizzare.
Devo. Ma lascio passare il tempo. Senza sapere fare note. Senza sapere, senza potere.
Ti chiedo scusa. Non son proprio la flautista che ti aspettavi, ma tant’è, questa ti tocca. Dai, ti smonto, ti lucido e ti rimetto nella tua custodia di ciliegio, amico mio. Stamattina ho bisogno di autocommiserarmi un altro po’, non voglio tu mi veda così.