..che Facebook è piccolo….

..che Facebook è piccolo….

….e la gente mormora.

Ricevo (per la seconda volta) una richiesta d’amicizia, da parte di un recente ex. E mi dico: è il caso che abuso del tasto “ignora”.  Poi, curiosamente, appare tra i miei amici. E ri-curiosamente, risparisce.

Poi, a causa di amici comuni, becco pure la dilui moglie (con foto col marito, per dire, cornuta e orgogliona di esserlo), e mi giustifico tali apparizioni-sparizioni.

A occhio e croce, mi ha tentato di aggiungere (ma devo averlo già aggiunto in tempi non sospetti..) senza pensare che la frusta della moglie arrivava fin qua. Zac. Tirata al guinzaglio, e via.

Tempi duri per i puttanieri, mi dico.

Il caso vuole che serva un aggiornamento della categoria “come avere l’amante e non farsi beccare”… non dite a vostra moglie che avete un account facebook. O almeno, fatevene un secondo fasullo. Perchè è tanto facile cuccare, quanto farsi cogliere in fraGRanza di reato dalla consorte, che a suon di macete informatico tenterà (inutilmente) di tarpare le vostre attitudini al tradimento cronico.

Facebook, il Meetic gratuito, è in agguato. Ocio.

(noi musicanti ci siam già fatti le ossa con myspace, ma questa è un’altra storia…..)

Lele

Lele

La Stefi mi ha detto che siamo proprio perfetti insieme. E io alla Stefi credo, che siamo compagne di scuola dalle medie.

Sabato, alla festa dell’università, abbiamo ballato insieme, scherzato, mi ha preso in braccio, mi ha abbracciato giocando. E ogni volta facevo finta che eravamo solo amici, fratelli. Ma non è vero. Ogni volta che mi si avvicina, io sento un brivido, mi esce il cuore da quanto batte. E mi si stringe facendomi male, quando lo vedo parlare con quella della quinta effe, come con qualsiasi altra della scuola. Che fa sempre lo scemo, perchè è tanto carino, ma poi mica esagera.

Siamo amici. Ah si. Io scherzo sempre dicendogli che è il più bello di tutti, …ma invece no che non scherzo. Ieri poi che eravamo soli, gli ho detto che con l’Ale non funziona mica, che ci sto insieme per uscire la sera, perchè mi sento sola. E gli ho detto che non è quello giusto, è troppo tranquillo, io voglio uno allegro, simpatico, che gioca e scherza, e lui mi ha detto che è vero, avrei bisogno di uno che assomigli a me. E io pensavo, a te. Volevo dirgli, io voglio te, cioè, vorrei, cioè, mi piaci tu. Ma poi, non lo so.

Perchè neanche alla Stefi lo dico. Magari mi prende in giro.

Poi lui con me si confida, mi racconta di chi vede, e io sono contenta perchè su tutte trova un difetto. E io gli dico “io invece, vedi, sono perfetta!” e ridiamo. Ma io mica rido, io dico sul serio.

E allora ieri mi ha detto “io e te abbiamo bisogno di persone allegre, divertenti, estroverse, abbiamo bisogno di uno uguale a noi per stare bene”, e io mi son detta, adesso me lo dice, che siamo noi.

Se A ha bisogno di B, e lui è A e io B, allora mettiamoci insieme. Perchè lo so che per lui sono speciale, mi scarica gli mp3, mi passa i programmi e mi sistema il computer quando faccio casino. Eppoi, si capisce quando c’è qualcosa di speciale.  Ecco.

Ma non ho coraggio. Poi magari si rovina l’amicizia. E io lo vedo tutti i giorni a lezione, e poi come faccio. E magari se mi metto con lui, che imbarazzo a baciarlo. Magari mi dice che bacio male. O magari vuole farlo. E se mi lascia, poi non mi saluta più a lezione, e perdo anche il brivido se mi abbraccia e mi fa gli scherzi quando siamo in corridoio. 

E a me, forse, basta quello.

primo giorno di scuola

primo giorno di scuola

scolaretta
scolaretta

 Ore 9.30, prima lezione. Sono ignobilmente la prima, gli altri persi per la campagna veneta. Arrivano alla spicciolata, con sbuffi rassegnati del docente.

Le cantanti (ussignur le cantanti…) come colore a parte, fanno cumulo a se’, mentre io coalizzo con la coltre maschile strumentista, trovandomi subito affine.

-….ma…sei cantante?

– ehm, no…. flautista…

Laurea 2.0 indi tutto in pdf, si porge una chiave usb (io muovo la prima sboronata dell’anno sfoggiando il mio mac ancora da cellophane) e vi si inserisce programma, spartiti, esercizi… ostia… quanto siamo avanti. Le cantanti no, non ce l’hanno la chiavetta usb. E non dite volgarità, che vi vedo, eh.

Ore 11.30 seconda lezione, ci si smembra per strumenti.

– ..ma noi non abbiamo lezione…..hai ricevuto l’sms di Diana?

– …non sono una cantante, ecco, sono flautista…

I miei compagni di merende, tre sassofonisti, umettano (umettano? semmai inondano di saliva, ciucciando e gorgogliando con inenarrabili rumori pornografici) e slinguazzano ste ance. Da un lato, dall’altro. Pure sotto. Bah.
Poi la allineano al bocchino. Attentissimi. Poi no, altra ciucciata, ah si, ora si che è umida a pennello. La spiaccicano sul bocchino, la stringono con la fascetta. Montan tutto, e fan due note. Oddio, ndo le senti ste due note, con il rumore di ferraglia dei tasti. Screnk scronk scrank. Sembrano crociati dentro le armature. Ussignur. Ma che strumento è, porco mondo. Poi, ocio che se stringono, vien fuori un fischio, zio bill, quel FOOOOOOOOP bello nasale e acuto.
Mi viene in mente la stufa a legna della montagna. Col tubo per lo sfiato sul camino. Con sto suono FOOOOP, o anche FO FO FOOOP. Madonna.

Io monto il mio flautino. Testata, corpo, trombino, fatto. Appoggio al labbro, e nun se sente altro che meeeeloooodioooosa muuusicaaaaaa. Mah.

Tre trattori e una ferrari, ecco cosa siamo. Ah, che mi tocca fare per un quadretto sul muro. Ah.

Ore 14, terza lezione. Notare la mancanza di pausa pranzo, nota deliziosa di questa avventura.

– ..e così sei cantante…

– no! suono il flauto! sono bionda, ma suono il flauto!

– ma dai… una donna… che suona il flauto…

(che cazzo dovrei suonare, per Diana, l’arpa celtica?)

Il musicologo in cattedra ha un paio di palle grandi quanto tutto il Vaticano. Il primo momento di cedimento, mentre sgranocchio una penna, due gomme e un temperino, lo dedico alla riflessione ” ma quanto sto bene qui-perchè cazzo mi son messa a fare la comunale- perchè non ho tenuto duro-perchè mi son sposata quella volta-perchè non ho fatto canto, per poi sposarmi un bassista e farmi mantenere da lui che fa marchette coi “ballaballaorchestraspettacolo” mentre io faccio il giaaaaaaassss cantando Night and Day in un fumoso  pub deserto davanti a sei maniaci ubriachi”.

Ore 17.15, con sullo stomaco un leggio, un clash e mezzo charleston (che l’impianto voce mi è sempre indigesto), finisce il mio primo giorno. Ah si. Bello.

Non vedo l’ora di tornare. Ah come sto bene qui. Mi sento a mio agio. Tutti amiciamici, come un corso estivo, come in colonia, che bello che bello. E parliamo tutti la stessa lingua! E quando parlano, io capisco! (..giuro!)

 

Ci scambiamo le mail.

– …scrivi allora…. laflautina@….

– …ma perchè flautina? non sei cantante?

-…………………. ebbene si. ho mentito. sono una cantante. diciamolo.

Sembrava innoquo.

Siam passati attraverso twitter, distraendoci, certo. Ma poi rimandendo abbastanza fedeli ai nostri bei loluli da logorroici, che non ci stavamo dentro del tutto, su twitter, ecco.

C’era anche Myspace, ma solo per “sentirci”, e magari “vederci”.

Poi è arrivato Facebook.

E i blog son morti.

Al loro posto, casella mail intasata di notifiche di commenti (mai, dico MAI commentare qualcosa, potreste ricevere notifiche a vita!), di inviti a gruppi improbabili.

I test poi. Che non sai mai che cazzo di risultato risulta.  Devi prima inviarlo all’universo, prima.

E il tastino dell “ignora”. Che nelle prime settimane ti vergogni a premerlo, che “ma lui lo sa che ignoro? povero, magari ci rimane male…”, mentre poi vai di cattiveria, in default, non ci sarò, nun me frega un cazzo di salvare le balene, la gelmini la tromberei, e non mi frega sapere quante sigle dei cartoni animati conosco a memoria.

Chili di amici, ma amici cosa? Ma chi sei, chi ti conosce, ostia.

Ma non ne capisci il limite. Sei troppo preso dal cancellare mail di notifica, negare consensi e ignorare test.

Poi arriva il poke. Ma cosa diamine è il poke. Cosa diamine mi mandi un regalo in fotografia (e lo paghi pure, cazzo!). Chiamami, andiamo fuori, scrivimi una mail. Macchè.

Ecco. Il blog è morto. E io ho speso 30,99 euro per un nuovo dominio.

Porca troia.

dai una sberla alla flauta (che xe ben)

dai una sberla alla flauta (che xe ben)

Io adesso vorrei che qualcuno mi prendesse a schiaffi.

C’è qualcuno disposto gentilmente a farlo?

Ma anche a sberle, ma forti, davvero forti.

Ho saputo che Stef, con cui uscivo ogni tanto, si è sposato. No dico, ci siam visti l’ultima volta due mesi fa (è noto che son donna inaffidabile, ha fatto bene, benissimo) e mo’ si è sposato (“…se stavo ad aspettare te…”). Ma non è questo il punto. Okay, mi vien da riflettere che se non mi muovo, qua mi si sposano tutti.
Dicevo, non è questo il punto.

Il fatto sta che rinvango. Ho perso tempo e occasioni a bizzeffe, bevendomi mucchi di stronzate. E non ebbra (haia! questa me l’ha tirata searching, grazie) continuo a rodermi il fegato.

Ringraziando il cielo, ogni volta che mi rodo il suddetto fegato (quelle sensazioncine modello attacco d’ansia, ti si chiudono le orecchie, vedi il mondo ovattato e senti un filo spinato che ti stringe in cuore, e sti lacrimoni che stan li per traboccare, ma non traboccano mai) so bene dove cercare, e trovare, conferme al mio “hai fatto la cosa giusta, cogliona sei a non averla fatta prima”.

E’ che siamo fatti strani.

Mi siedo qua, sopra la mia montagnola. Ho passato il guado, ormai son asciutta e riposata, le ferite guarite, solo qualche graffietto (che brucia un casino, come tutti i graffietti fastidiosi). Ma non ce la faccio mica ad andare avanti. Ogni tanto scivolo (c’è un vento della madonna, su questa montagnola) e l’inerzia mi fa andare avanti. Ma diciamolo, io ci ho paura. Ma tanta, paura. Di che cazzo, non lo so, ma il sentimento è chiaro, chiarissimo. Ho una paura fottuta. Sono indecisa, ancora aggrappatissima alla mia abitudinarietà da single, dove ci sono un cumulo di equilibri (lavoro, amici, musica) che non so come render compatibili.

In sostanza, sto qua sopra come una pirla a vedere cosa succede. Seduta in terra, abbraccio le ginocchia, e guardo con occhi insulsi il resto. Come va? Benissimo grazie (sorrisetto). Sicura? Andiamo? o torniamo? Ah no, grazie, sto qua, guarda. Magari dopo. Ehm.

Cazzo sto aspettando? Vallo a sapere.

ruba in macelleria, non i soldi, ma la carne

ruba in macelleria, non i soldi, ma la carne

Così gridava lo strillone (cartaceo) fuori dall’edicola, stamattina.

Mi ha fatto pensare (avrei potuto fare altrimenti? ero ferma al semaforo..). Ora si fan le rapine per mangiare. In panificio arriverà un impiegato con la calzamaglia in testa, “mani in alto! metti tre rosette, uno sfilatino e un integrale in un sacchetto, e non fare scherzi o sparo!”. O dal lattaio “un litro di scremato, tre yogurt, e un panetto di burro. Fai quel che ti dico e non ti succederà nulla..”.

A quel punto che fai, lo denunci? Oggi a lui, domani….a me.

E questo, questo mi inquieta ben più di sta cazzo di borsa di Tokio.

come una folata di vento

come una folata di vento

L’ispirazione veniva solo con la giusta folata di vento.

Bastava un discorso, un’immagine, una sensazione, una melodia, un abbraccio. Qualcosa scattava, e subito un foglio doveva imprimere l’idea. Che ogni progetto può esser dimenticato in pochi istanti.

Chissà, forse esiste in un luogo inaccessibile un baule, un baule enorme. Dentro, le parole mai scritte, e dimenticate. La musica mai incisa, e volata via. I disegni che stravolgono l’anima a chi li vedrebbe, ma ormai cancellati dalla mente. I progetti che cambieranno il mondo, ma che per pigrizia o superficialità, non son stati portati avanti. Progetti di architettura, ingegneria, medicina, o d’amore.

Stava li, a godere di quella “folata di vento”. Forse innamorato dei suoi occhi, delle sue carezze, della sua ferma dolcezza. Incapace di dirle ancora quanto l’amava. Volendo godere solo di un suo ennesimo sorriso.

Fece le scale di corsa, entrò nel suo studio. Cercando i suoi amici del mestiere, colori e spazio bianco, versò ciò che la sua mente aveva già disegnato nell’aria.

I gesti erano sicuri, come stesse ricalcando la sua immaginazione, la mano precisa, una matita che già sapeva dove andare, la punta che sapeva dove muoversi, incrinarsi, appoggiarsi, sfumare. I colori, in fretta, datemi il colore alle mie idee.

Steso come lunghe carezze, il giallo, il rosso, l’azzurro. Un po’ di rabbia, per non saperla fare bella come avrebbe voluto. Ma lei m’ama, saprà capire. Saprà vedere oltre queste gesta d’artista stolto, insicuro, frettoloso.

Dopo un po’, come una lunga corsa, era fatto. Non un segno in meno, ne’ uno in più. Rimase lì a fissare la sua opera. Felice, era felice, di non averla perduta. Come una folata di vento, avrebbe potuta ignorarla.

E poi, e corse da lei.

E lei lo abbracciò, si commosse senza farsi vedere. E attacco quel capolavoro sulla porta del frigorifero.

la vita è una ruota

la vita è una ruota

(minchia che titolo)

 

Certo, prima era una suocera, poi ex suocera. Di vicini peggiori, intendo, ne ho avuti. 

Ma Sabrina è, a suo modo, peggiore. Perchè non ha spegazione, non c’è dissidio familiare tra noi, lei è esclusivamente “vicina”. Per la precisione, abita sotto di me. 

Sabrina avrà quarantanni, vive sola, con scritta in faccia una deludente vita sentimentale.
In sostanza, ha tutta l’immagine della zitella odiosa. Zitella non trombante.

Non fa feste, non ha amici, compra pizza o kebab il sabato sera, e se lo mangia da sola davanti alla tv. Ha una punto bianca vecchiotta, che non usa mai. Va a lavorare in corriera, in un qualcosa tipo archivio storico… e si veste, come riesce, trendy. Stendendo la biancheria qui sotto, non posso non dubitare di una che ha solo mutandine nere, oltre ad improbabili pizzi. Non ho visto reggiseni, ecco.

So che già questo inquieta. Aggiungiamo che ha il capello cortissimo, e il trucco scuro, esagerato, alla “comparsa di the day after”, per intenderci.

E alla domenica mattina, come nel pomeriggio feriale, lei ascolta Biagio Antonacci.

Io odio Biagio Antonacci. Ti sfracella gli ammenicoli, Biagio Antonacci.

 

Ha iniziato con “din don, scusa ma puoi smette di sbattere? io alla mattina mi sveglio all’alba”. E alle 20.30, mentre finivo di montare un mobile, ho sorriso “ma certo”, e va ben.

Ha proseguito con “mi arriva l’acqua sul balcone, ho la biancheria stesa”….perchè spostavo una pianta dopo tre giorni di temporale. E va ben.

Poi ho dato una sbattuta al tappeto del gabry. Facendo conto che su 4 finestre, non c’è balcone dove non stenda almeno un cuscino.  E allora va ben un cazzo. “…ma non puoi tener tappeti…” E la sbrano. Io a casa tengo quel che mi pare. Te una finestra, cazzo, una finestra me la lasci libera, per sbattere il tappeto. E non rompi nemmeno le balle.

Non se l’aspettava. Codina fra le gambe, mi evita. Se mi sente scender le scale e sta per uscire, richiude la porta e aspetta che passo. Mi evita come il male (e fa bene, miseria se fa bene).

 

Ieri però. 

Sento sbattere qualcosa, in modo ritmico, sulla ringhiera del  terrazzo. C’è molto vento, certo, ma non tanto da renderlo metronometrico. Mi affaccio dopo un po’…. e vedo la vicina che mi chiede…”senti, potresti…” ….io digrigno i denti. Tu vuoi la guerra, donna. Tu, di venerdì 17, vuol la guerra. A me il macete. 

“…potresti chiamare i pompieri? mi son chiusa fuori in terrazzo…. e…. fa un freddo cane… è mezzora che cerco di chiamare qualcuno…”

C’è la bora, fredda e implacabile. lei è in maglioncino. Il suo trucco alla Morticia Addams risalta ancor più, col bianco della prossima ibernazione della vicina. Le passo dal balcone il mio telefono, agganciandolo alla scopa. Le do anche un maglione caldo. Tutto bene? Su, mio figlio è di vedetta dall’altra parte, vuoi un’altra coperta? Tienilo li il telefono, dai, se serve richiamano…

Arrivano. Il camion rosso (nuovissimo, una cosa sfiziosissima…) si fa largo pian piano, arrivano in sei pompieri (sospiro) e provano ad aprire la blindata con dei fogli plastificati (gabry, guarda come fanno, può esserti utile come lavoro futuro..), dicendosi “oh, è la terza oggi che non s’apre”

Si arrampicano per una scala, salgono per una finestra aperta, e mettono “in salvo” la vicina ormai tendente al blu.

Mi dico, cosa non s’è inventata per portarsi in casa un uomo.

Dopo un po’, suona il campanello, mi restituisce telefono e maglione, ringraziandomi mille volte, “sono in debito, sono in debito”.

 

Ma no, ma figurati, succede, suvvia.

….e poi sono andata a comprare un tappeto nuovo .

Ogni tanto ci si guarda, a quello che c’è qui dietro. Si rimpiangono i capelli tagliati, i vestiti buttati, figuriamoci le strade abbandonate.

E io, a sprazzi, ci penso. Non ho timore di dirlo.
Un po’ per l’orgoglio che batte (ah come avrei preferito scene disperate, imploramenti e giuramenti, e minacce di suicidio… così, giusto per il gusto di), un po’ perchè, insomma, mi sembrerebbe dovuto.

Penso ad un marito che molla tutto, e quando torna dalla moglie, che aspettava da mesi quel ritorno, lei gli sbatte la porta in faccia, con gusto.

Insomma, mi volto, coi dovuti rischi di acquire nuovamente la rabbia, ma senza alcun ripensamento o rimorso o vago senso di pentimento.

E cosa vedo? Un deficiente.

Rido, e torno a guardare avanti. Che domani mi porti al giapponese. E se non fosse solo uno dei tuoi immensi meriti, ti adorerei solo per quello.

benarrivati

benarrivati

detz incredibol

ho un “coso” a mio nome.

ebbene, è un regalo di compleanno, fattomi da me stessa.

motivi vari. in primis, un cambio d’abito (si, circa, poi è sempre tutto uguale nella forma) indicativo del periodo storico. ma soprattutto una necessità strutturale, che le cazzate scritte rimarranno tali, ma più gestibili. Splinder oramai è desueto, il mio account e blog su splinder erano ormai desueti e non sarebbe proprio il caso che anch’io mi diventi una flauta desueta.

Desueto a parte…..

Quando avete voglia, modificate i link.

Ed infine, un grazie alla complice nonchè fautrice della manovalanza intellettuale per cotal cambiamento, mademoiselle xlthlx, …………e da qui, si ricomincia.

 

(che emosssione)