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La vita vira. Te stai giorni, mesi, anni, ad aspettare quel qualcosa che ti sconvolga e rigiri le cose. Aspetti quel qualcuno con cui fare un mucchio di cose che è un mucchio di tempo che fai con gli amici invece che.

Ecco.

E aspetti, aspetti. Conosci un mucchio di perditempo, omuncoli da nulla buoni giusto a passare il tempo. E sistemi vita, lavoro, casa, cavallo e figlio. Ah si.

Come esser pronti per andare alla festa, ah si, son vestita e truccata e ingioiellata e ho un sacco di argomenti di conversazione.

Poi arriva. Squilli di trombe! Finalmente l’invito alla festa! Un invito elegante, simpatico, intrigante, passionale e soprattutto… intelligente. Che sei li che ti dici: ma sarò all’altezza?

Ecco. E io, demente, sto li sul mio divano e non mi decidevo ad andarci, alla festa. Uno aspetta, si lamenta, e si lamenta e aspetta, che arrivi. Poi arriva. E te che fai? Hai una paura blu. Di metterti in discussione, di provarci, di vivere un qualcosa di esattamente naturale.

E’ che non ci son mica abituata io, alle cose naturali, normali, belle e pulite. Io sto a casa a farmi le pippe e mi invento delle inattaccabili motivazioni logiche del menga.

– Vai e non rompere i coglioni.

Vado. Sto andando, non vedete? Vado. Dio che bello. E’ tutto vero.

la signora

la signora

Vengo spesso in agenzia di cambio. Mando i soldi alla mia familia, in Serbia, e a volte mando foto via email ai miei nipoti, di li.
Parlo bene l’italiano, anche se l’accento è ancora "biascico", come dice la signora, però se scrivo non si sente. La mia nonna era di Istria, italiana, poi con l’arrivo di Tito è scappata verso la Germania, e si è maritata con un serbo. Storia strana la mia, scappi di qui e cadi di la.
Mia mama è viva, sta bene, come l’erba cattiva, dico io. Vive con mio barba, si dice anche qui barba come zio?.. e non so bene come sia, che mio papa non c’è da tanti ani, e forse lei e il barba sono insieme, non so. Storia strana, la mia familia.

In agenzia di cambio siamo tanti che veniamo da Bashir a mandare i soldi con la vestern iunio, di Bashir mi fido, lui sa tuto di noi ma si fa gli afari suoi. Lo sa che noi siamo pecore sperdute in mezzo alla valle, e questa è l’unica fonte dove bere.

Ieri ero qui, che il mio nipote di Germania ha la mail e gli scrivo, che qui ci sono tante ucraina e moldavia e io non ho amiche, che non mi fido. Ma ho una signora che non mi parla, ma mi fa leggere i libri. Mi corege anche la pronunzia, sai.
Lei era una musicista, ha ancora un pianoforte grande nel salone che non vuole che lo pulisco col Pronto, che dice che si scivola sui tasti, ma tanto lo so che non suona più.
Però le piace se leggo. E io lo so che umore ha, se mi dice leggi questo leggi quello, io capisco cosa. Se sta male, mi dice leggi il libro rosso, che su ci sono le poesie che io non capisco, tutte lente le vuole. E poi mette su un disco che le ha mandato mesi fa un fidanzato. Lo so che è un fidanzato, perchè lei lo ascolta e piange. Che lui era più giovane, e dal notaio ha messo questo disco, da mandare a lei se moriva. E lui è morto, e lei ha un disco con una donna che canta, Gioni Miccel, e l’orchestra sinfonica dietro. Ed è bellissimo. E lei mi dice leggi il libro rosso, e io so che poesia vuole, quella degli amori senza posto dove si possono amare. E poi smetto, e lei piange, finchè il disco finisce.

Eco, io non so come è l’amore, che mia mama e il barba non lo so se sono amori così. Neanche io ho amori così, forse Bashir, che sa tutto di tutti, lui lo sa se ci sono amori così.

E ieri lo dicevo al mio nipote in Germania, che io non voglio andare li che sono tutti freddi. Che la signora mi insegna tante cose. Non gliel’ho detto, ma lei mi insegna cosa è l’amore.
Che basta vederla, per capire che è una cosa tanta.

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Entra nel nuovo ufficio, con la sua camicia anonima, il pullover anonimo, un pantalone fuorimoda e degli occhiali da Clarke Kent.
Ha un nokia primo modello, che ha usato solo per avvisare del ritardo del treno, dentro una borsa ordinatissima. Ha un’agenda in cui segna le spese, l’orario di entrata e uscita, le scadenze delle bollette, il dentista dei figli.
La guardano tutti ma non la vedono, lo sguardo le passa oltre… silenziona, anonima, se le parli arrossisce. Ha una scrivania sgombra di un qualsivoglia di personale, tutto sistemato simmetricamente. E un sorriso timido, standard, a disegnarle il volto.

La penso a casa, coi figli, col marito. La penso ora qui, a sentire i discorsi spinti in dialetto stretto, di colleghi affiatati e un po’ ubriachi per un brindisi improvvisato. Penso che forse giudica male, o forse non giudica, o forse invidia.

E attendo il giorno in cui, se arriverà, scoprirò qualcosa di lei.

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Dovrei scrivere delle cose, ma non mi viene il modo, oggi.

Dovrei parlare della puntata de "una flauta in pretura", finita bene.
O dell’ammissione al corso di laurea, finito benissimo.
O della cena letteraria, con il buon cibo, la nostra musica, il rosso profondo nei bicchieri, le parole nell’aria.

 

E invece, vi dirò che non andrò al rally dei faraoni. Benchè avessero prenotato i biglietti già a marzo, per me e il nano. E non c’è modo più misero per dirmi "stronza, perchè mi hai lasciato?" di questo.

Incerta su cosa salvare di tutta questa storia, decido di dimenticare, cancellare, eliminare, nonostante non sia mio uso. Del resto, certi segni rimangono dentro comunque, a crearti ansie, presupposti sbagliati, rabbia a prescindere, come se tutto il mondo fosse così "malato". Mi stavo per bruciare anche questa cosa bella che mi è capitata, per timore di non crederci più, alle storie reali.

Taci che c’è Sara, a prendermi a ceffoni, prima di rovinare tutto. E il mio amico del BB, e la mia legale di fiducia.

Dovrei scrivere delle cose, ma sono troppo impegnata vivere adesso, scusatemi.

la cena letteraria

la cena letteraria

Ho bisogno, o miei amati 5 lettori, del vostro aiuto.

Mercoledì, la mia prima cena letteraria.

Nel totale imbarazzo dello scegliere cosa portare, penso sceglierò tra i miei post. Via, qualcosa di bello l’ho scritto. Ma ho bisogno del vostro aiuto…. segnalatemi quello che vi è piaciuto particolarmente. Anche senza il link, eh, mi bastano le indicazioni e lo trovo da me.

Via alle danze. Aggiornerò via via il post con le vostre segnalazioni.

Infinitamente grata a tutti.

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Nuvole

Ci sono buone giornate, ma non questa.

Saper essere migliore in qualcosa. Non so, "so fare la migliore pasta al tonno dell’universo", ad esempio.
Ecco. Io vorrei capirmi. Sentirmi gli accordi dentro, saperli mangiare, e risputarli come più mi aggrada. Ho le dita, ma non la testa che possa guidarle. So un po’ di più, ma mai quanto vorrei.
E in questo, non posso essere "un po’ meglio", devo essere LA meglio. Devo essere in grado. E non arrancare, arrampicarmi, abbattermi. Mi odio, quando non ce la faccio.

Un nugolo di grembiuli bianchi sul giardino dell’asilo, voci e giochi, e io sopra un albero incapace di risalire, e ridiscendere.

Non è una buona giornata. Oggi no.

per sopravvivere

per sopravvivere

no
non so
non sono capace

Non ci vuole molto ad impararlo. Basta esercitarsi.

no
non so
non sono capace

In ascensore, in fila per pagare il caffè al bar, dentro di se mentre si carica una nuova pagina sul pc

no
non so
non sono capace

E’ incredibile quanto possa servire. Innanzitutto a evitare l’esaurimento, lo sfruttamento da parte di familiari, amici, allievi, colleghi. Soprattutto, colleghi.

no
non so
non sono capace

Perchè non sapersi negare, è spesso un modo per mettere a disposizione tutto il proprio tempo. Che alla fine non è "proprio" ma è "altrui". Il mio altrui tempo libero, solo per non saper mai dire

no
non so
non sono capace

Mettere un freno alle cortesie, a quelle cose (sistemami la schermata, mandi tu la mail, fammi il piano di lavoro te che sei più brava, per la cena facciamo a casa tua, mi passi a prendere tu e andiamo con la macchina tua, poi spegni tu la luce, mi prendi l’acqua in frigo, vieni al concerto è gratis ma siamo tra amici  eppoi solo tu sei capace) che sono obblighi amichevoli che indicano disponibilità. Tale disponibilità di cui gli altri abusano. Perchè noi non lo sappiamo dire

no
non so
non sono capace

E allora via. Per la propria salute mentale. Per poter sfruttare tutto il proprio tempo per le cose a cui teniamo. Non per egoismo, ma per decidere noi stessi la giusta priorità. Esser definiti stronzi, magari. Eliminando i lascia, faccio io , i certo figurati non preoccuparti non mi disturba affatto.

no
non so
non sono capace

E magari quest’anno, niente esaurimento nervoso a giugno.

 

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E adesso baciami.

Prendi tutta la passione che hai in corpo, e dammela, mandamela dentro con quelle tue labbra, attaccate alle mie. E rimani immobile, per un lungo istante. Lascia che intorno tutto si plachi, rimanga solo il tuo respiro dentro il mio, piano, come un vento di fine estate che accarezza la laguna, la nostra laguna immobile. Come in equilibrio, rimaniamo fermi finchè ce la facciamo, a tener fermo l’istante, trattenere la voglia di violentarci i desideri, non sentire nemmeno la musica che suona intorno.
Che è tutta musica quella che sento in te.

Si, ora baciami. Toglimi ogni dubbio e ogni prudenza. Toglimi i vestiti, togli le mie unghie dolcemente, come i polpastrelli di un gatto, anch’io aggrappata alla mia coperta di incertezze sicure, e insicure certezze. Ma di te mi fido. Questa sensazione calda, ovvia, logica, che non conoscevo più.

E prendi i miei capelli, aggrappati a loro come a tenermi a te con una violenza dolce, da gioco di amanti. Una carezza più forte, quasi a voler plasmarmi il viso, modificarne i tratti, sfigurarli di passione. 

Cercale ancora, queste mie labbra, e ancora, toglimi la voglia di baci che per troppi anni ho sofferto, e dammene ancora, fino a respirare la tua stessa aria.

Ecco. Adesso possiamo fare altro. Esatto, proprio quello.

 

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Quando inizi una storia, c’è una serie di cose che solitamente avvengono.

Saltiamo l’approccio, i convenevoli. Si parte col racconto degli ex, che col tempo diventano ex mariti e mogli, poi accenni divertenti sui morosi di prima, facendo una cernita accurata delle informazioni da dare. Dire o non dire se lei ti ha mollato per un altro, ad esempio. O descrivere con dovizia di particolari scabrosi le varie avventure tra una relazione e l’altra. E mettere, importantissimo, un alone di misteri sugli ultimi mesi, per non dare indicazioni certe sul proprio stato d’animo, che solitamente si suddivide in

stopiangendoancorailmioexchemihamollataperunaballerinabrasiliana 

mistavogiustotrombandoancheipilonidell’Enelfinoaieri.

Qui e li lanci messaggi subliminali, tipo "mia moglie era una disordinata cronica, vivere li era un casino odioso" al che devi comprendere di ripiegare bene le tue cose, che lasciargli in giro perizomi per casa non è affatto apprezzato; "mi vergognavo di presentarla ai miei amici" che preclude ogni slancio di estrema creatività vestiaria futura; "mi soffocava di scene di gelosia" che è un chiaro messaggio di "no sta romperme i cojoni" oltre che prevedere una seria pettinatura cotonata, a copertura di future escrescenze; "era sempre alla partita-pc-baretto-fuori con gli amici" che suppone un minimo di attenzione a non trascurare platealmente questa conquista, magari aggiungendo un "beata te! io l’avevo sempre appiccicata, non la sopportavo, così la tradivo ovunque per ripicca". Non so se funziona. Io ci provo sempre.

Con l’età, arrivano anche i gustosi quadretti da genitori, al che c’è da stare all’occhio se in casa ha foto dei figli attaccati al frigo (ottimo) nello studio (superbo) o si e no sul desktop (lagnoso…). Mai, dico, mai criticare le figlie femmine con un uomo.

Tant’è. Questi step li si passa quasi di routine. C’è un che di piacevole, nel ritrovarsi piano piano "coppia", tu gli presenti i tuoi amici, lui i suoi. Imperativo esser divertenti e simpatici, senza flirtare con altri convitati, cosa che mi viene male, più per forza d’abitudine che per reale zoccolaggine.

Poi c’è il sesso. Il sesso è tutto uno studio. Hai una tabella in cui devi collocare la persona. Solitamente al primo incontro, sentendosi entrambi rivestiti di un curriculum da dimostrare, si sciorina il repertorio migliore, eventualmente evitando le estremizzazioni, rimandate al secondo incontro.

Insomma. Ci si conosce, si esce, si vede "come va".

Poi, prima o poi, arriva quella frase. Quella tipica. Siete a cena fuori stasera, si farà tardi, si berrà tanto, domani non lavori tanto, ma allora… ecco….

"ti fermi da me?"

…..

Panico. Devo portarmi lo spazzolino? Che devo fare, si rientra alla sera e … mi strucco, come fossimo una coppia che sta insieme? ah, quindi si sta insieme? non è che poi avrò un beauty qui, un mio accappatoio, le ciabattine, farò la spesa e laverò i piatti, e le….oddio….le sue chiavi di casa?!?

E vedi già, la suocera, il pranzo di natale, sua figlia da andare a prendere all’uscita della discoteca, le vacanze sulla neve, la perdita del potere del telecomando, i suoi cd che si mischiano coi tuoi, i suoi libri che si impadroniscono dei tuoi, il brodino caldo quando avrà l’influenza, farsi i fanghi alle terme di Montegrotto insieme da anziani, confondere gli esami delle urine l’uno dell’altra..

Qualcosa mi dice che vivrò l’"inizio della storia" molte volte. Fermandomi li. Aiuto.

 

Impopolare

Impopolare

Il termine non è appropriato, si dovrebbe esser "popolari" prima. Ma tant’è.

Mi sono immersa nel mondo dei blogger, quelli veri dico, per due giorni. Il motivo principale, stare due giorni coi miei compagni di merende, staccare dal lavoro e curiosare. Ho poi trovato quasi tutti i miei compagni di twitter, confermando le mie opinioni su di loro, ed è stato bello.
Bello, e angosciante. Tornare a casa è stato un sollievo.

Mi si intenda: non sono nessuno per giudicare gli altri. E ribadisco, ringrazio Iddio di non esser nessuno. Non potrei scrivere questo post (per furtuna mi leggono in 5 e posso permettermelo) senza rischiare la fustigazione sulla pubblica piazza. Però, o voi tutti miti blogger da una stellina e mezza (come me), vorrei dirvi perchè non dovete rammaricarvi di non esserci stati.

Esulo il discorso interventi e dibattiti ai vari camp, ammetto di non aver seguito se non in minimissima parte, complice il diluvio incessante, e sulla fiducia posso affermare che quelli meritavano sicuramente.

Ma il resto. Il resto sono blogger, o meglio, automi di blog, di twitter, di "non vivo se non lo posto". Ho visto gente, alla blogfest, ma tanta gente dico, col portatile sulle ginocchia, a chattare o mandar twitter continui. Ma cazzo, siamo tutti li, a chi cazzo vai a twittare, mi chiedo. Seduti in un angolo, guardandosi intorno a testa altissima, della serie "vedetemi". Ostia, io non lo so chi sei, allora chiedo ai soci intorno, che in talun caso mi dicono "è ffhdshfcsht di ffhdshfcsht.com". Aaaaah. Quasi con scherno, perchè per me era fondamentale il particolare giocoso del mettersi un’etichetta come al super, sulla giacca, col proprio nome…. macchè, sono proprio una nerd io.

Che poi, mi presentano un sacco di persone, coi nomi di battesimo. Bello, ah si. Noi, della vitavera. Peccato che non posso ricollegarti a nessuno, e solo dodici ore dopo capirò che quel simpaticone assurdo è il Confuso, e non un anonimo simpatico che fa casino. Gli stringo la mano, "io ho comprato il tuo libro!" riesco a dirgli.
E poi penso, quante belle persone mi sarò persa. Tutto per quello sforzarsi d’essere persone quando ho l’opinione che si sia tutti avatar anche nella vita reale.

Qui tutti si prendono sul serio, mica palle. Non si danno del "cazzone" ma del "cialtrone". Si Skypizzano stasera, si linkano dove andiamo a cena. Non guardano la tv, hanno tutte le serie in streamin’… in lingua originale. Di rado sento che citano i post reciproci (come succede a me con gli amici blogger), non so se si leggono, non so se si seguono. Sento di liste infinite di feed e sensi di colpa del non riuscire a leggerli tutti. Mentre io, ribadisco, nerd, vado link per link, che mi diverte di più quel sobbalzo d’attenzione quando noto un post nuovo.

E cado nel tranello.

Ribadisco ogni pié sospinto che sono bionda e scema, svampitina e ignorante.
Non lo so, mi viene in default. Non riesco ad evitarlo, e mentre faccio sta sceneggiata insulsa, mi insulto sottovoce.
Ma che ne so. Non mi sentivo inferiore, o superiore, ma semplicemente…. a disagio. Ero un cronista svedese in un villaggio nuragico keniano. Se rendo l’idea. Diversa, e con una voglia infinita di sentire un bel discorso da bar sport sull’apertura del ponte di calatrava.  O qualsiasi cosa non intelligente, con termini non ricercati, e senza alcuna ombra di terminologia inglese.
Tutti legami, che mi soffocano, con il pc, col virtuale, con tutto questo universo di "chiedimil’amicizia" di cui sono anch’io fan accanita, ma fino a che non spengo il pc.

E penso al mio amico. Al mio amico che senza il suo blackberry in fianco non vive, e mi sberleffa se gli parlo ancora di "sta cazzo di vita reale, che non esiste".

Mi sento vecchia. Oppure, viva. Io che posso suonare, cantare, toccarti. Senza una webcam.

Ho conosciuto persone bellissime, s’intende. Ho cenato e pranzato con persone diverse, credo le migliori di tutta la blogsfera, ridendo e sentendomi molto in gita del liceo. Tirando fuori, mio malgrado, la parte più idiota e frivola di me, per difendermi forse. Ma sentivo tutto molto lontano da me, dal mio blog aggiornato quando mi annoio, dalla mia scrittura senza mai rileggere, dal mio "non seguire quelli importanti".

Ecco. Blogsfera è anche questa, quella dei precari (come me) della rete. E che alla blogfest non sanno cosa dire.