Beta Perpetuo

Beta Perpetuo

Ho tralasciato molte cose, in questi mesi. E’ uscito A Casa Mi Veniva, mi sono concentrata sui contenuti del sito, sui concerti e la promozione. Sono stanca, molto, e con ancora molte cose in sospeso, tutte mediamente urgenti.

Però sono contenta. Ho costruito qualcosa di onesto, sincero, niente musica ruffiana o tagliata per vendere. Sono cresciuta, mi sono “evoluta”, ho inciso un disco per dire la mia, senza mediare con altri.
Tutto quello che ho fatto prima, incisioni, progetti, collaborazioni varie, nulla era davvero così, nulla era “come voglio, come sento io”.

Il mio socio, musicista straordinario e uomo di enorme cultura e sensibilità, è stato un alter ego ideale, incredibilmente affine alle mie idee e alle mie note. Un’esperienza personale che non riesco a spiegare a nessuno.
Forse un qualcosa che a fatica riesco a spiegare anche a me stessa.
E’ diventato uno spartiacque, dalla musicista che ero prima e quella che sono ora, pur sempre in cammino e in eterna fase di studio, di beta perpetuo: mai come ora penso di aver amato tanto il mio mestiere.

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Alla fine, reggi.

Alla fine, reggi.

Avevo un amico, anni fa. Scherzando, diceva che era il mio alter ego, spiritoso, dissacrante, dongiovanni, le nostre telefonate erano spesso puro cabaret, anche se a mozzichi, per motivi di conoscenze comuni, trattavano di cose più serie e personali.
Poi una sera, uscendo da una cena con amici, ricevo una serie di sms fuori dal mondo, da gelare il sangue. Con freddo calcolo di mezzi e tempi, aveva deciso di far scendere un bel game over sulla sua vita.
Era un uomo di carattere, eh, non era un depresso, non era un debole, non era un frustrato o un codardo. S’era, e scusate il termine tecnico, rotto il cazzo. Sia della vita, che della famiglia, delle sue donne, del lavoro, chissà cos’altro. Di base, ne aveva le palle piene, ecco tutto.

Tante volte gli avevo confidato i miei guai, quelli di cui ogni tanto ora mi dimentico d’aver vissuto, ma che spesso gli amici mi ricordano, con orgoglio, d’avermi visto affrontare e superare. Cosucce pesanti, che probabilmente ero in grado di sopportare, ma che mi han portato più volte in uno stato di disperazione totale. E’ quel punto del tuo percorso in cui ti svegli e ti accorgi dello stato della tua vita, delle cose e delle persone che ci sono o non ci sono più, di cosa stai rischiando, dell’angoscia che ti toglie il respiro. Ed è uno schifo, perché non trovi uno straccio di soluzione, sembra una bolla indistruttibile ed eterna che ti toglie pian piano l’aria, la voglia di andare avanti. Ma alla fine reggi. Non vedi ne’ soluzioni ne’ futuro, ma reggi, confidi nel tempo e nella tua testardaggine.

Lo ripeto, a volte dimentico quel lungo periodo della mia vita, durato anni, non settimane; sarà che il mio attuale presente è una svolta talmente incredibile, frutto della mia caparbietà e di una buona incoscienza, che mi scordo il tragitto percorso. Non ho raggiunto fama e successo, ma ho una buona fetta di felicità di cui cibarmi, finalmente, ogni giorno.

Stasera non posso fare a meno di pensarci.

Il mio papà

Il mio papà

Mio padre era un sociologo.
Mi avevano addestrato a questa risposta, quando mi si sarebbe chiesto a scuola “cosa fa il tuo papà”. Non ho mica mai saputo cosa volesse dire: sapevo che tutte le mattine andava in ufficio, in comune, dove tutti lo chiamavano dottore. Confusione nella confusione, visto che non mi sembrava fosse medico di qualcosa, ma tant’è, la mia infanzia ed adolescenza era ricolma di risposte sbrigative. La più tipica era il “No, perché di no”.

Con mio padre l’affetto era pratico. Discussioni senza guardarsi in faccia, sfide dialettiche infinite, ed a volte qualche inspiegabile apertura, alleanza improvvisa che mandava in bestia mia madre.
Era polemico, io ero polemica, ci si scambiava informazioni di base senza racconti. O meglio, io ci provavo a raccontare, in quella filiale necessità di approvazione, ma più volte facevo il gioco “…e poi ho aperto il frigo, è scappata la bicicletta e speedy gonzales si è fatto una canna nel mio salotto”. Lui rispondeva “a-ah”, ammissione inscusabile di indifferenza.

Non ho mai capito cosa volesse da me. Mi aveva sostenuta fin da piccola a suonare, portandomi a lezione due volte a settimana, neve-pioggia-vento-calura,arrivando poi in ritardo a riprendermi… e il mio Maestro allungava di altri venti minuti, per “far sentire al dottore l’ultimo studio”. Poi mi aveva spinta in conservatorio, mi aveva accompagnata ai miei concerti quand’avevo la febbre, o a dare le lezioni quand’ero incinta.
E poi, in tribunale, in quella parte della mia vita che forse ha contribuito ad ammalarlo di più.

Tant’è che un giorno gli ho dato un mio disco, “ascoltalo eh papà”, confidando in un gesto della già citata approvazione di cui ero doppiamente assetata, visto che mia madre non lo avrebbe mai ascoltato. Per la sordità, quantomeno. Macché, era pratico, si registrava ogni concerto e ascoltava pacchi di dischi ma il mio era ancora lì, nel cellophane. Ero furente. Sapevo benissimo che stava per mollarmi, ma volevo costringerlo a sentirmi suonare un’ultima volta, e vivere l’ultimo Natale con noi, con il suo adorato nipote che beneficiava del suo affetto disinibito, oltre che pratico, e che avrebbe ricevuto una mazzata tremenda con la sua dipartita.
Passeggiavo con Paolo, mesi prima, e glielo dicevo, che vedevo già tutto come sarebbe stato. Forte della mia premonizione, pretendevo che il programma fosse rispettato, con l’aspetto pratico che contraddistingueva il nostro rapporto.

Quasi obbligai mio padre a venire al concerto di presentazione del disco. Mi aveva già vista dirigere, certo, ma non musica mia. Ero emozionata, mi dicevo “è l’ultimo concerto che mi vedrà fare mio papà”, consapevole di un dolore che mi avrebbe travolta. Lui venne, mia madre mi raccontò di un suo momento di grande emozione, ma conoscendo l’aspetto melodrammatico della mia genitrice so bene che ogni sentimento è sempre stato misurato. E’ stata una caratteristica di famiglia che ho con decisione abbattuto a craniate. Tant’è che al “papà ti è piaciuto?” non ricordo il commento. Probabilmente avrà ricordato l’inaugurazione della sala, i progetti redatti da tizio e caio, la giunta di quel periodo, terminando con un “ndemo che xe tardi”.

Il patto comunque era fatto, era venuto. Ora toccava a me. Un’alba di qualche settimana dopo squillò il telefono, nel precipitarmi a casa sua per portarlo all’ospedale sentii un vento gelido di consapevolezza che mi spinse oltre, quei venti giorni successivi, quel suo calvario. Chiama il medico, porta le carte, infermiera la flebo, attenderlo fuori dalla stanza mentre dentro cercano di riportarlo di qua per un altro po’. Lo stesso vento gelido lo sentiva pure lui, ma era piuttosto inutile discuterne, meglio ragionar di cose pratiche. Venti giorni, il mondo esisteva in parte, di base c’era lui. Mi stavo sfinendo, ma sapevo si trattava di pochi giorni, lo sapevo solo io, io e lui. Avrei potuto parlargli, finalmente era lì costretto ad ascoltarmi, ma invece passavo il mio tempo a mettergli la crema sulle mani, dove le flebo scavavano d’azzurro le sue qualità di pianista, o a fargli la barba. Mai avrei pensato di far la barba a mio padre, di colpo così estremamente intimi, impensabile. Mi accorgevo di fissare le mie mani, dedicate ad abbassar tasti di un flauto, trasportate in quel contesto così profondamente diverso.

Una di quelle mattine di dolorosa routine gli scivolò una carezza. Spesso non riusciva a parlare, poteva darmi solo una carezza, come a ringraziarmi, pieno di stupore per tutto quell’affetto e quell’assistenza che temo non si aspettasse nemmeno. Io ero pratica, avevo mollato il lavoro, gestivo come potevo Gabry e scaricavo la mia disperazione in logorroiche telefonate a Paolo, per poi tornare lucidamente alla questione.

Poi mio papà ha deciso che venti giorni bastavano, senza interferire con il mio ultimo esame, due giorni dopo, e con la tesi, a fine mese. Anche io avevo previsto tutto, l’infermiera aveva il mio numero in evidenza, mi ero preparata su come dirlo a mio fratello e a mia madre, che caddero dal pero. Dirlo al Gabry è stato uno strazio che non scorderò mai.
L’ultima cosa che mio padre mi ha detto era per lui. Si preoccupava che tirassi fuori una bistecchina per quando sarebbe tornato da scuola. Pratico.

E insomma, oggi come tante altre volte, ho pensato a mio papà. Ho pensato al bisogno di sentirsi apprezzati, seguiti, ascoltati.
Ho pensato che oggi ho il raffreddore, e se fosse qui mi avrebbe portato medicine, arance e chissà cos’altro. E forse gli avrei dato il nuovo disco. Senza cellophane, stavolta.

 

Le regole di Robert Schumann

Le regole di Robert Schumann

(Le avevo perdute. Oggi le ho ritrovate, quasi per caso, sul blog di Heinrich von Trotta, e le riporto qui. E’ l’idea di esser musicista con cui sono cresciuta, assolutamente attuali).

 

La formazione dell’orecchio è la cosa più importante. Esercitati sin dall’inizio a riconoscere note e tonalità. La campana, i vetri delle finestre, il cuculo – tenta di cogliere quali suoni producono.

Suona con diligenza le scale e gli studi di meccanismo. Ma ci sono molti che sono convinti di poter giungere ai più alti risultati solo perché, quotidianamente, per anni, passano ore a esercitarsi negli studi per le dita. Questo è un po’ come se ci sforzassimo ogni giorno di recitare l’alfabeto il più veloce possibile, e tentando ogni volta di aumentare la velocità. Impiega pure il tuo tempo in modo migliore.

Sono state inventate le cosiddette “tastiere mute”; usale pure per un po’, quanto basta per accorgerti che non servono a nulla. Dai muti non si può imparare a parlare.

Suona a tempo! La maniera di suonare di certi virtuosi è come l’andatura di un ubriaco. Non sono questi i modelli per te.

Impara prima che puoi le leggi fondamentali dell’armonia.

Non avere paura di certe parole come teoria, basso continuo, contrappunto,ecc… ti verranno incontro amichevolmente se tu fai lo stesso con loro.

Non strimpellare mai! Suona sempre con tutta la tua attenzione e non interrompere mai un pezzo a metà.

Andar lenti e correre sono errori di pari gravità.

Sforzati di suonare bene i pezzi facili; è molto meglio che eseguire in modo mediocre i pezzi difficili.

Devi preoccuparti che il tuo strumento sia sempre perfettamente accordato.

I tuoi pezzi non soltanto devi conoscerli con le dita, ma devi saperli cantare dentro di te, senza tastiera. Devi acuire la tua immaginazione sino al punto di poter fissare nella memoria non solo la melodia di una composizione, ma anche la sua armonia.

Sforzati, anche se non hai molta voce, di cantare leggendo a prima vista, senza l’aiuto dello strumento; così la precisione del tuo orecchio diventerà sempre maggiore. Ma se hai una bella voce sonora, non perdere un solo momento e coltivala, considerandola il più bel dono che il cielo ti ha dato.

Devi arrivare al punto di poter capire una musica alla sola lettura.

Quando suoni, non preoccuparti di chi ti sta a sentire. Suona sempre come se ci fosse un maestro, ad ascoltarti.

Se qualcuno ti presenta una composizione che non hai mai visto per fartela suonare, per prima cosa percorrila tutta con lo sguardo.

Se hai finito la tua giornata di lavoro musicale e ti senti esausto, non costringerti a lavorare ancora. Meglio riposarsi che lavorare senza piacere e senza freschezza.

Quando sarai più maturo, non suonare pezzi alla moda. Il tempo è prezioso. Già si dovrebbe disporre di cento vite, se solo si volesse imparare tutto quel che di buono c’è già.

Con dolci, biscotti e leccornie non si fanno crescer uomini sani. Il cibo spirituale, come quello materiale, deve essere semplice e corroborante. I maestri ce ne hanno provvisto in quantità sufficiente: attieniti a ciò che da loro ti viene.

I pezzi virtuosistici mutano con il tempo; l’agilità ha valore soltanto quando serve a fini superiori.

Non devi in alcun modo diffondere le composizioni brutte, anzi devi contribuire con tutte le tue forze a tenerle fuori dalla circolazione.

Le composizioni brutte non devi suonarle affatto, e neppure ascoltarle, a meno che ti costringano a farlo.

Non puntare mai sull’agilità, sul cosiddetto virtuosismo. In ogni pezzo tenta di produrre l’effetto che il compositore aveva in mente; di più non si deve fare; tutto ciò che va più in là è una deformazione.

Devi giungere a sentire una vera ripugnanza per qualsiasi cambiamento apportato ai pezzi dei buoni musicisti, come anche ogni omissione o qualsiasi abbellimento alla moda. Sono questi il più grande oltraggio che puoi fare all’arte.

Se devi scegliere quali pezzi studiare, chiedi il parere di chi ha più anni di te, così risparmierai molto tempo.

A poco a poco devi arrivare a conoscere tutte le opere più importanti di tutti i maestri importanti.

Non ti far trarre in inganno dagli applausi che i cosiddetti grandi virtuosi spesso riscuotono. Aver l’applauso degli artisti deve avere per te più importanza dell¹applauso del grande pubblico.

Tutto ciò che è di moda passa di moda, e se continui a coltivarlo negli anni diventerai un bellimbusto che nessuno tiene in considerazione.

Suonare molto in società porta più danno che vantaggio. Studiati bene chi ti trovi intorno; ma non suonare mai qualcosa di cui nell’intimo tu abbia a vergognarti.

Non perdere mai un’occasione di suonare insieme con altri, in duo, in trio, ecc… Servirà a darti scioltezza e slancio nel tuo modo di suonare. Tenta di accompagnare spesso dei cantanti.

Se tutti volessero essere primi violini, non riusciremmo mai a mettere insieme un’orchestra. Giudica perciò ogni musicista in rapporto al posto che occupa.

Ama il tuo strumento, ma non cedere alla vanità nel considerarlo lo strumento supremo e unico. Ricorda che ve ne sono altri, e altrettanto belli. Ricordati anche che vi sono i cantanti e che nel coro e nell’orchestra si manifesta l’aspetto più alto della musica.

Man mano che cresci, frequenta sempre più le partiture e sempre meno i virtuosi.

Suona con tutto il tuo impegno le fughe dei vecchi maestri, soprattutto quelle di J.S.Bach. Il Clavicembalo ben temperato dovrebbe essere il tuo pane quotidiano. Allora diventerai senz’altro un bravo musicista.

Fra i tuoi compagni cerca sempre quelli che sanno qualcosa più di te.

Riposati dai tuoi studi musicali leggendo con attenzione buona lettura. Vai all’aria aperta appena puoi!

Dai cantanti, uomini e donne, si possono imparare parecchie cose, ma non credere a tutto quel che ti dicono.

Anche al di là delle montagne ci sono persone che vivono. Sii modesto! Ancora non hai inventato o pensato nulla che non abbiano già inventato o pensato altri prima di te. E, se così invece fosse, lo dovresti considerare un dono del cielo, che devi condividere con altri.

Per guarirti da ogni boria e vanità, non c’è cura più rapida che studiare la storia della musica, aiutandosi con l’ascolto dal vivo dei capolavori delle varie epoche.

Un bel libro sulla musica è “Sulla purezza dell’arte musicale” di Thibaut. Leggilo spesso, negli anni che ti aspettano.

Se passi davanti a una chiesa e senti suonare un organo, entra e mettiti ad ascoltare. Se poi hai la fortuna di poterti tu stesso sedere a un organo, prova la tastiera con le tue piccole dita e rimarrai stupito dinanzi a quell’immane potenza della musica.

Non perdere mai l’occasione di esercitarti sull’organo; non c’è strumento che sappia vendicarsi con tanta prontezza di tutto quel che può esserci di impuro e impreciso sia nella musica stessa sia nel modo di eseguirla.

Cerca di cantare in coro, soprattutto le parti interne. Questo ti renderà musicale.

Ma che cosa significa essere musicali? Non lo sarai certamente, se tieni gli occhi fissi ansiosamente sulle note e così vai avanti faticosamente sino alla fine del pezzo; non lo sarai certamente, se ti blocchi e non sai andare avanti, magari perché qualcuno ti ha voltato due pagine insieme. Ma sei senz’altro musicale se riesci in qualche modo a intuire che cosa troverai più avanti in un nuovo pezzo che stai leggendo o se sai a memoria che cosa ti aspetta in un pezzo che già conosci; in due parole, se hai la musica non soltanto nelle dita, ma nella testa e nel cuore.

Ma come si diventa musicali? Caro ragazzo, la cosa più importante, come sempre viene dall’alto ­ ed è la precisione dell’orecchio, la prontezza nel percepire. Ma la nostra costituzione può essere sviluppata e rafforzata. E certamente non ci riuscirai se ti rinchiudi per giorni interi, come un eremita, a suonare meccanicamente un po’ di studi; mentre ci riuscirai senz’altro, se ti terrai in un continuo, vivo rapporto con le molteplici realtà della musica, e soprattutto se ti farai una buona pratica di coro e di orchestra.

Fatti prima che puoi un’idea precisa dell’estensione della voce umana nei suoi quattro registri fondamentali; studiali soprattutto quando ascolti dei cori, tenta di scoprire in quali intervalli essi raggiungono la loro massima forza e in quali altri possono essere usati con effetti più morbidi e delicati.

Ascolta sempre con attenzione tutte le canzoni popolari; sono una miniera delle melodie più belle e ti permettono di farti un’idea del carattere delle varie nazioni.

Esercitati sin dall’inizio a leggere nelle chiavi antiche. Altrimenti tanti tesori del passato ti rimarrebbero inaccessibili.

Osserva sin dall¹inizio il suono e il carattere dei vari strumenti; tenta di imprimerti nell’orecchio le peculiarità del loro timbro.

Non perdere mai l’occasione di ascoltare una buona opera.

Venera l’antico, ma va incontro al nuovo con tutto il tuo cuore. Non covare pregiudizi verso nomi che non hai mai sentito.

Non giudicare una composizione al primo ascolto; ciò che ti piace in un primo momento non è sempre il meglio. I maestri vanno studiati. Molte cose ti diventeranno chiare soltanto quando sarai nella piena maturità.

Quando dai giudizi su delle composizioni, distingui bene se appartengono all’arte o hanno soltanto un fine di intrattenimento dilettantistico. Alle prime dà tutto il tuo appoggio; dalle altre non lasciarti neppure irritare.

“Melodia” è il grido di battaglia dei dilettanti ­ ed è vero che una musica senza melodia non è musica affatto. Ma devi capire bene che cosa intendono quelli per “melodia”: per loro le uniche melodie sono quelle facili da ricordare, con un andamento ritmico piacevole. Ma ci sono anche melodie di ben altro genere, e ti basterà aprire Bach, Mozart, Beethoven perché ti vengano incontro nelle loro mille varietà: sicché si può sperare che presto ti verrà a noia la misera uniformità delle altre melodie, in particolare di quelle dei recenti melodrammi italiani.

Se ti metti al pianoforte cercando di costruire delle piccole melodie, è già una bella cosa; ma se un giorno quelle melodie ti verranno da sole, senza bisogno del pianoforte, rallegrati ancora di più, perché vuol dire che è vivo in te il senso interno della musica. Le dita devono fare quel che la testa vuole, non il contrario.

Se cominci a comporre, sviluppa tutto nella tua testa. Solo quando avrai in mente un pezzo compiuto, provalo sullo strumento. Se la tua musica è venuta dall’intimo e così l’hai sentita, anche sugli altri farà lo stesso effetto.

Se il cielo ti ha donato una fantasia viva, ti capiterà spesso di sedere per ore al pianoforte come incantato, e di voler esprimere il tuo mondo interno in armonie. Allora ti sentirai attratto in un cerchio magico da una forza tanto più misteriosa quanto meno chiaro magari è ancora per te il regno delle armonie. Sono ore felici della gioventù queste. Ma intanto guardati bene dall’abbandonarti troppo spesso a un talento che ti induce a dissipare forze e tempo seguendo una sorta di gioco di ombre cinesi. Il dominio della forma, la capacità di articolarla con nettezza si possono raggiungere soltanto grazie al preciso segno delle note. Preoccupati perciò più di scrivere che di improvvisare.

Tenta di procurarti non appena puoi le prime nozioni dell’arte del dirigere e osserva spesso i buoni direttori d’orchestra; permettiti pure di dirigere in silenzio insieme a loro. Ti darà chiarezza.

Abbi pratica della vita, come anche delle altre arti e scienze.

Le leggi della morale sono anche le leggi dell’arte.

La diligenza e la perseveranza ti faranno ascendere sempre più in alto.

Con una libbra di ferro, che costa pochi centesimi, si possono fare migliaia di molle da orologio, che valgono centomila volte di più. Quella libbra che hai avuto da Dio devi saperla utilizzare fedelmente.

Senza entusiasmo nulla riesce bene nell’arte.

L’arte non è fatta per conquistare ricchezze. Cerca soltanto di diventare un artista sempre più grande; tutto il resto verrà da sé.

Soltanto quando la forma di una composizione ti sarà veramente chiara, anche il suo spirito diventerà chiaro.

Forse è vero che soltanto il genio può capire totalmente il genio.

Qualcuno disse che il musicista perfetto dovrebbe essere in grado di vedersi davanti agli occhi, come sulla partitura, un pezzo per orchestra ascoltato per la prima volta, fosse anche molto complesso. Questo è il punto supremo che possiamo pensare.

Non si finisce mai di imparare.

Robert Schumann

Trentanove

Trentanove

Domani compio 39 anni.
Me lo scrivo, che ogni tanto mi dimentico la cifra, e riconto gli anni, dal 73 in poi.
Certo, qualche settimana fa sentivo il peso di quasi quattro decadi sulla schiena, perché ti accorgi dell’età solo quando devi far delle foto, o partecipare ad un matrimonio, e l’ansia di dover dimostrare d’esser bella e fresca come una ventenne, idiozia che ci inseriscono sottopelle alla nascita, annebbia l’obiettività e l’amore di se’.
Eppure il mio volto non ha ancora i graffi del tempo, non ho ancora messo su dieci chili, ho ancora fiato per tener su due ore di concerto, e otto ore di lezioni di canto. Me la cavo piuttosto bene.
Ho un ego che mi fa ombra, e sotto quell’ego conservo affettuosamente le insicurezze. Le mie più care amiche hanno una dieci anni in meno, l’altra dieci in più di me. Il mio compagno ha numerose seste napoletane in più, e continua a ripetermi che non è affatto vero che mi sopporta. Mio figlio, nell’età in cui sbuffa ad ogni proferir di verbo, chiama la mamma venti volte al giorno e la vede ancora come un essere splendido e portatore dell’assoluta saggezza e cultura. Insomma, ho un sacco di cose belle.
Forse per quello non festeggio, domani. Mica è solo domani, che dovrei festeggiare.
Ho 39 anni. Figo, 39: il 3 e il quadrato di 3. Quest’anno farò grandi, grandi cose.

Umilia

Umilia

Vale la pena fare un disco?

Mah. In epoca in cui i dischi non si comprano, in cui la qualità dell’audio sta bene giusto come mp3 da caricare sull’Iphone, le foto te le fai con Instagram e i concerti, ah i concerti, trovarne di concerti.. Chissà cosa ci ha spinto a metter su questo ambaradan.
E che la questione meramente artistica, la scrittura dei pezzi, le prove, l’incisione, ah quello è stato facile. Facile e divertente.
Ed emozionante.

Poi è arrivato l’editing. L’editing è quella fase in cui puoi cambiare tutto, suono, note, intonazione, ritmo. Tutto. In teoria.
Perché poi lasci tutto com’è, ed esalti solo il suono, perché sta bene sia pulito, immediato, …è già perfetto così. Non è mica un disco di pop.
E ascolti le tracce, e ti emozioni. E le riascolti, e cerchi di modificarle, di esser obiettivo, ma dopo qualche ora vai in palla e non capisci più quale sia il tuo suono e quale quello suo. E non sai come spiegarlo, che lo vuoi più normale, più naturale, perché quel suono che senti dentro mentre soffi dentro un flauto, ah, vallo a spiegare a parole. A di là della poesia della cosa. Più medi, meno alti, più cupo, più avanti, meno riverbero. No aspe’… togli tutto. Daccapo.
Poi fai le foto. E pensi, ostia, non ho più vent’anni ma devo far finta di essere ancora figa come a vent’anni, che ti comprano la faccia, prima della musica. Eh. E allora spendi un patrimonio in improbabili outfit da copertina, fai le foto dal camerino per vedere come vieni. E pensi ai dettagli, e capisci che non è il tuo mestiere, tu fai il musicista, non ne capisci un tubo di look.
Poi magari fai le foto, le guardi e ti emozioni, che in fondo esprimono tanto di quello che c’è in questo disco.

Poi decidi il packaging: a due, tre ante, col booklet o senza, e una foto qui e qui i titoli. Scegli il preventivo, cerchi di trovare il giusto equilibrio tra “non spendo una cifra perché metà se lo scaricheranno col torrent” e “è un disco a cui tengo, facciamolo bene, come fossero le bomboniere”. E ti emozioni, pensando a quando ti arriverà lo scatolone con  le copie, uno dei 5 scatoloni che poi giacerà in soffitta con gli altri, ‘che tanto il disco se lo scaricheranno coi torrent, si diceva.

Ecco. Poi arriva la mazzata. Quella che ti fa passare la voglia, di scrivere musica, di registrare dischi, di smazzarti per far uscire un progetto che magari vale un pochetto di più dell’unz unz di un dj qualsiasi, che taglia e incolla campioni e chissenefotte.
Si chiama Siae. Si chiama “società che ti chiede soldi perché così ti salvaguarda i tuoi diritti come autore dei tuoi brani, sempre che tu paghi una tassa annuale, ma poi è anche uguale, che poi i soldi li devo dare ai big e non a te povero pirla”.
Quando fai il borderò a fine concerto, ci pensi, ti rode, ma amen.
Ma quando fai un disco, quando cerchi di mantener ogni spesa e poi devi dare un euro a disco alla Siae, allora ti girano le palle. Peggio, ti senti offeso, defraudato della tua musica. Suoni le tue note, tue tue, e devi pagare una tangente per poterla pubblicare. E’ un obbligo. Come se piantando le carote nel mio orto, dovessi comunque pagarle al fruttivendolo. Solo che le carote, forse, sono un poco meno nobili di una creatura artistica.

E questo no, non emoziona. Svilisce. Offende. Umilia.

 

Come trovare una buona insegnante di canto (e non aver più scuse)

Come trovare una buona insegnante di canto (e non aver più scuse)

Avete deciso che il karaoke ferragostano ha svelato definitivamente la vostra indole canterina, indi tornate dalle ferie e decidete di trovarvi una bella scuola di canto, e di fare il cantante. O magari solo metter su un gruppo con i vecchi amici del liceo. Oppure solo studiare musica, per il piacere di imparare, di dedicarsi ad una passione che vi fa star bene.
Proviamo con qualche piccolo input utile per ottimizzare la vostra ricerca dell’insegnante perfetto per voi.

1. Come per molte cose, l’esperienza di amici e conoscenti può esser utile. Non tutti sbandierano a chiunque che studiano musica, magari perchè non più giovanissimi, per timore d’esser presi in giro, o magari solo per difendere un proprio spazio di intimità. Ma se ne parlate e chiedete in giro, sicuramente troverete chi vi darà indicazioni e dritte su dove poter andare a parare. Quindi, chiedete, vagliate. Trovate informazioni, anche su internet: però bada, non giudicate una scuola dal suo sito… molte non hanno bisogno di investire in un portale perchè funzionano bene senza, mentre spesso chi vende fuffa deve infiocchettarla per bene su web…

2. Preferite la scuola all’insegnante privato, soprattutto se siete alle prime armi. Una scuola può offrirvi molti insegnanti diversi, un ambiente stimolante, contatti con altri allievi (anche adulti, eh, è tipico iniziare a studiare musica quando i figli sono ormai grandi, o si va in pensione..) ed attività parallele, come musica d’insieme, teoria e solfeggio, oltre ai saggi. E’ fondamentale, soprattutto per un cantante, avere più possibilità possibili di confrontarsi col pubblico. Spesso una scuola consente di lavorare con una band, magari di allievi stessi, e non con le solite INEDUCATIVE basi.

3. Se volete studiare canto lirico, cercante un insegnante di lirica. Se volete studiare canto moderno, scegliete un’insegnante di canto moderno. Le due impostazioni, sebbene con elementi di base comuni, sono differenti. L’uso della voce, dell’espressività, e la conoscenza del repertorio è troppo diversa. Spesso i docenti di canto moderno hanno studiato anche lirica (come me d’altronde), certo. Ma è anche vero che i docenti di lirica non hanno studiato anche canto moderno, e no, non sono al “livello superiore” per cui possono insegnare tutto. Ad ognuno il suo. Siate ligi, perché nell’impostazione della voce nulla è più deleterio di mille informazioni ed indicazioni a far confusione.

4. Valutate la vostra insegnante, sul piano umano. Dovrete affidarle il “vostro” strumento, quindi deve avere la vostra piena fiducia. Una docente con molta esperienza è ovviamente preferibile, nulla come gli anni di lezione ci insegnano come gestire una didattica complessa come quella del canto: uno strumento che devi suonare, senza vederlo!
Se non scatta il feeling, non mollate: semmai chiedete di cambiare docente, in una scuola spesso ci sono più insegnanti di canto. Magari una meno brava può avere un approccio che più vi si addice, ed avere migliori risultati.

5. Come spesso accade, non è detto che un bravissimo cantante sia un eccezionale docente. Anzi, chi ha avuto difficoltà conosce più tecniche, più esercizi, più metodi per risolvere delle difficoltà della voce che poi possono aiutare nella didattica. C’è chi insegna musica svogliatamente, concentrato nella propria carriera. Tuttavia, siate comprensivi se vi spostano la lezione ogni tanto, per i loro concerti: meglio un insegnante che è in contatto continuo col palco, che una maestra in pensione.

6. L’ideale è una cantante-musicista. E’ una definizione sottile, che i musicisti comprenderanno bene…. è notorio che le cantanti sono spesso le “ignoranti” della band, forse per un’antica comoda credenza di ritenerle immuni da ogni obbligo di conoscere la musica, in quanto già debbono pensare allo spazzolarsi i capelli… Scherzi a parte, se volete davvero un insegnante completo, che sia anche musicista: vi potrà così accompagnare al piano (evitando le dannate basi!) insegnandovi davvero a cantare, vi daranno gli input armonici elementari per dialogare con una band, vi insegnerà la musica, e non il karaoke.

7. Se avete occasione, andate a sentire i saggi: comprenderete il clima della scuola, i mezzi, la collaborazione tra i docenti. E, consiglio spassionato, se la maestrina di canto toglie il palco agli allievi (e purtroppo succede spesso), meditate bene sulla scelta: un docente che ha bisogno di farsi vedere sul palco dei saggi degli allievi, al netto della dovuto protagonismo caratteriale del cantante, non so quanta attenzione potrà concentrare sulla vostra, di carriera.

8. Scappate dagli insegnanti “guru”: cercante un insegnante che vi faccia da mamma chioccia solo finché è necessario, per poi esortarvi a prendere il volo da soli. Certo, spesso la maestrina diventa amica e psicologa, ed a volte è anche utile didatticamente, per sciogliere inibizioni che si riversano nell’esecuzione musicale. Ma il guru no, il protagonista dovete sempre essere voi, il vostro maestro è solo il vostro trainer. Ricordatevelo.

9. Per lo stesso motivo, è un trainer, non uno che fa miracoli: il miglior maestro rimanete voi stessi. Se non studiate, nemmeno il miglior docente del mondo riuscirà ad insegnarvi qualcosa. Certo, anche il solo andare a lezione una volta a settimana, come hobby, come momento di relax nella settimana può essere una scelta. Ma sappiate che ciò che si impara con l’inerzia è davvero poco… conviene studiare. Poi è molto più divertente!

10. Una volta trovato il docente giusto, dovete fidarvi. Se vi dice che quel brano non va bene per voi, è fortemente probabile abbia ragione. Se quella tonalità è impossibile, idem. Se la nota cala, probabilmente cala. Ogni cosa che l’insegnante vi dice è spesso una scelta oculata dell’informazione, magari per isolare un problema alla volta. Se insiste sul fatto che quella nota è sbagliata, probabilmente ritiene sia più grave della pronuncia sbagliata del testo inglese. Tutti nasciamo “cantanti”, quindi insegnare il modo corretto di gestire un timbro, o il sostegno, o la frase musicale, è una riabilitazione di cose che già abbiamo imparato a fare. E’ più complesso che iniziare da zero, ad esempio, di suonare uno strumento, ed allo stesso tempo più facile, in quanto alcune cose le sappiamo già fare fin da bambini.

11. Siate costanti nelle lezioni. Pensate alla musica come ad un allenamento sportivo: dedicate tempo allo studio ogni giorno, approfondite gli argomenti delle lezioni. Seguite il vostro trainer vocale e non fate i furbi: anche se non ve lo dirà chiaramente, lui ha scoperto tutto già dal primo vocalizzo….  E possibilmente, non cambiate docente in continuazione. La chiarezza è fondamentale, avere mille insegnanti che vi dicono cose differenti vi manderebbe in confusione e basta. Semmai, allargate le conoscenze e studiate (è assolutamente fondamentale per un cantante!) uno strumento, magari armonico, come il piano o la chitarra.

12. Ed infine: cantate. Fate i cori ai saggi, trovatevi un gruppo di amici con cui formare un gruppo amatoriale, o fatevi accompagnare da un amico con la chitarra. Ascoltate di tutto, cantate di tutto, anche i brani che non vi piacciono. Traete insegnamento dagli altri colleghi di corso, guardate i video dei live su youtube, imparate dai grandi cantanti, non solo per scegliervi le canzoni. Il miglior insegnante siete voi, si diceva.

Se avete ancora un dubbio, se magari state cambiando idea, se magari arriva la riflessione “ma figurati, alla mia età… ma son ridicola..”, toglietevela di testa. Ho allievi che han passato da mo’ i 50 che mi danno soddisfazioni immense.
Se invece siete giovani, e volete arrivare a X-Factor… beh, iniziate a studiare. Forse poi avrete ambizioni ancor più belle.

Cantare, e studiare canto, può essere un’esperienza personale di scoperta, di crescita, oltre che di soddisfazione personale. E fa bene, all’ego, alla propria timidezza, al proprio orecchio musicale (che migliorerà esponenzialmente) ed alla propria cultura.

Secondo me, poi, vi divertirete un sacco.

Oh, fatemi sapere!

Il nuovo progetto discografico, in uscita in autunno!

Il nuovo progetto discografico, in uscita in autunno!

 

E’ ormai alla fase di trucco e parrucco il nuovo lavoro discografico, il primo in duo con lo straordinario pianista Paolo Corsini.

Brani originali, quasi equamente distribuiti (la bilancia pende sempre verso le bionde..), oltre a qualche affettuoso omaggio.

L’accoppiata pianoforte e flauto profuma di jazz “da camera”: l’essenziale per tirar fuori riflessioni ed emozioni, scherzi e discussioni, affetto ed erotismo. Un discorso preparato a tavolino nei dettagli, che poi se ne esce a braccio, spontaneo. Un lavoro d’unione di due percorsi musicali, rimandi classici e contemporanei che si immergono confondendosi all’anima del jazz genuino, quello che sa ridere, piangere e prender a schiaffi, per poi tornare daccapo, senza prendersi per forza sul serio.

Ogni aggiornamento dello stato dei lavori, nella pagina dedicata, seguendo il link in alto a destra.

 

In uscita per l’autunno 2012 ….ci siamo quasi!

Anna Maria Dalla Valle, Flauto – Paolo Corsini, Pianoforte

 

Disclamer: chiunque ritrovasse lo scoiattolo è pregato di restituirlo in Direzione. Grazie.

La relazione perfetta

La relazione perfetta

Le brillano gli occhi quando racconta, riempiendo di dettagli inutili il ricordo dei loro primi incontri, come a volerli vivere di nuovo, ripassando ogni scena per non dimenticarsela.
Lui in fianco, ascolta in silenzio, sorride, la accarezza con lo sguardo.
Giulia domanda, partecipa, cerca di istigare il viaggio nel dolce passato di quel racconto, testimone postumo della nascita dell’amore dei suoi amici.
E ride, e gioisce sinceramente, senza un’ombra di gelosia, che non si deve esser per forza il suo autore per apprezzare un bel quadro.

Li trova sinceramente adorabili, loro che credono ancora all’amore “della propria vita”, con tanto di cuoricini espansi e intrecci indissolubili di esistenze, senza un briciolo di dubbi o di perplessità nel futuro.

Giulia d’altronde non si lamenta, ha tutto, dal lavoro giusto alla casa perfetta, all’uomo che si incastra perfettamente con i suoi ritmi, con le sue esigenze. Non le manca più niente.

Sale in macchina e torna a casa, si sente così matura, così “oltre” i paraocchi di certe relazioni. Siamo tutti soli, ci facciamo semmai compagnia, viviamo il presente e godiamocelo. Ogni storia sembra uguale, grandi progetti per il futuro, anelli al dito, promesse, gli stessi gusti per la scelta dei mobili, la routine dolce del prepararsi la colazione a letto, gli amici che non si distingue più se siano dell’uno o dell’altro.
Poi peró inizi a non sopportarti più, trovi l’ufficio più piacevole della tua casa, sbuffi, odi tua suocera e soprattutto la sua peperonata, che riempie il TUO frigo. Solo che ora non c’è più tuo e suo, esiste una unica soffocante entità dalla quale non sai come uscirne. E tutti ció che puoi fare è riordinare la libreria, mettendo il tuo nome sopra i tuoi libri.

Che fortunata sono, pensa Giulia. Ho davvero tutto ció che voglio. La mia vita è perfetta. Ho il mio letto tutto per me, posso girar per casa spettinata e con le fette di cetriolo in faccia, uscire quando mi pare ed avere il MIO frigo, con le mie cose, senza peperonata.

Se lo ripete di nuovo, perfetta, perfetta. Una vita perfetta, orientata all’oggi, altro che progetti utopici, ormai fuori moda.

In sostanza, dovrebbe essere felice.
Dovrebbe essere felice.

terre in moto

terre in moto

Ho avuto paura. Ho tremato per ore, incrementando il batticuore ad ogni scossa.
Non ho capito perché a tanti chilometri si sentisse così forte la rabbia della natura, non ho capito perché in un quartiere della mia città fosse così forte mentre in altri nemmeno svegliava dal sonno.

Son rimasta lì, pietrificata dalla paura cercando di decidere il momento giusto per correre da mio figlio e portarlo per strada, forse spaventandolo per niente. Perché dalle mie parti i terremoti non fanno danni. Ne ho sentiti tanti, si muove tutto, ma non fanno paura. Prima di questo, almeno.

Poi Lui ieri sera suonava lì vicino, e dormiva fuori, e non rispondeva al telefono. E ‘vanti, ansia che sale.

Ero da sola con nuove sconosciute paure, io che non mi impressiono di nulla. E ringraziando il cielo che esiste Twitter, e un mondo nella mia stessa barca, presa dal panico ma portatrice di notizie che, in un modo o nell’altro, placano l’ansia che condividendola… si ridimensiona.

Stasera gli amici di giù dormiranno in macchina. Il mio pensiero, con affetto enorme, va a loro.