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Incidere un disco – 2. La scelta della band

Incidere un disco – 2. La scelta della band

Nel caso siate già una band completa in tutti i ranghi, siete a cavallo.
Se avete solo un dubbio sulla possibilità di aggiungere o di “litigare casualmente” con uno dei vostri compagni di merende, allora leggete qui di seguito.

Lavorare in una band, fare concerti, passare del tempo in sala prove è snervante.
Se lo si fa con anche solo un elemento del gruppo che crea incomprensioni o difficoltà, è ancor più pesante e richiede tanto autocontrollo.
Entrare poi in sala d’incisione con “qualche problema umano” tra gli elementi della band è suicidio.

Registrare per tot ore porta stanchezza, irritabilità, crisi isteriche, tensioni inenarrabili, soprattutto se non si è preparati psicologicamente a tale evenienza. Vi elenco una serie di situazioni che possono accadere in studio, voi ragionate bene se avete nella vostra band elementi a rischio:

– Il musicista ritardatario cronico, dimentica in toto o in parte lo strumento a casa, non ha stampato le parti (ma “tanto le so'”), di punto in bianco non può rimanere oltre le 19.

– Il musicista che porta ovunque la morosa. La morosa spaccaballe. Che alle 19 è stanca e vuole andare a casa. Limonano sui divanetti e non c’è verso di farlo concentrare.

Il bastian contrario, che giunto in regia avrà da contestare arrangiamenti, scaletta, strutture, già decise minuziosamente durante i mesi di prove, facendo perder tempo, denaro, ma soprattutto irritando i nervi.

L’insicuro. L’insicuro è subdolo: spesso non è quello timido e perfezionista che si lamenta di se’ durante tutto l’anno… Più spesso è il leader, magari sufficientemente egocentrico da esser messo in crisi dallo specchio di una incisione. E’ capace di bloccare il lavoro per ore per rifare mille volte lo stesso suo ritornello, rimanendo da solo col fonico tutta la notte per rifare tutti i suoi assoli a session conclusa.

Ecco, se avete riconosciuto/vi siete riconosciuti in queste tipologie, sappiate che ci sono solo due metodi: cambiare gli elementi (rischiando di sostituirli con casi peggiori), oppure tenerveli previo chiarimento e identificazione di un ruolo di mediazione e contenimento in voi o in uno della band. Fate a sorte e trovate una badante che sappia arginare i picchi autodistruttivi del caso umano.

Nel caso in cui non abbiate ancora definito la vostra band?

Un consiglio spassionato: investite su ottimo materiale, al di là degli amici. Non dovete fare una cena con quel che avete in frigo, ma cercare i miglior ingredienti, anche se sotto casa. 

Scegliete la formazione essenziale in base agli arrangiamenti che vorrete scrivere. Vagliate bene i musicisti, che siano affini al vostro stile, che siano disponibili e capaci, professionali quanto basta e possibilmente ben disposti a collaborare al vostro progetto. Ci sono molti sideman che metton anima e corpo in ogni produzione, ed altri che si mettono in gioco solo per le proprie cose e sul resto timbrano il cartellino.

L’ossatura della band, basso/contrabbasso e batteria, sono fondamentali: dovranno esser perfettamente coesi fra loro, quindi non scegliete due bravi musicisti singolarmente, verificate che abbiano feeling strumentale fra loro.

Personalmente sono estremamente scettica nei confronti della tattica dell’ospite famoso, ovvero un musicista noto che dietro compenso suonerà in alcuni brani del vostro disco, dandovi lustro (“..ho fatto un disco con la Flauta, eh”…) e recensioni quasi automatiche, visto che la vostra opera sarà trainata dal Vip di turno. Vip che però metterà in ovvio secondo piano sia le vostre arti musicali che l’integrità del vostro progetto.

Altra cosa quella di allargare il numero di musicisti in base al brano, che ne so, prevedendo un quartetto d’archi per una ballata, un coro alpino per la seconda voce della terza track, un controfagotto solista che duetta con l’ukulele.

(Ecco. Sull’ukulele dovrei aprire molte inflazionate parentesi, ma vabbé). 

Comunque sia, ricordate che lo studio costa, microfonare e far bene delle riprese audio con strumenti diversi allunga i tempi dell’editing (che costa, l’abbiamo detto?), quindi valutate sia davvero fondamentale inserire altri strumenti alla band di base.
In tal caso, chiamate dei professionisti, che non vi facciano perder tempo e che sappiano leggere una parte senza errori. Quindi: non chiamate vostra cugina a farvi i cori, anche se zia insiste che ha una bella voce, a meno che non sia Aretha Franklin (con ciabatte e grembiule rosa d’epoca).

Ecco, apriamo una parentesi sulle cantanti.
Se il vostro/la vostra cantante non è mai stato un simbolo di intonazione, non pensiate che in studio si facciano davvero miracoli. E comunque, i miracoli si pagano a tariffa oraria al fonico. Valutate bene se avere la gnocca in copertina valga tutto quell’Autotune.

 

– La puntata precedente: Incidere un disco – 1. da dove partire –
– La puntata successiva: Incidere un disco – 3. prima di entrare in studio –
Il Saggio di Musica

Il Saggio di Musica

Per molti sta solo finendo la scuola, per altri è l’inizio della definizione delle vacanze, per altri inizia un rilassante periodo di vita all’aria aperta, movimento, cibi freschi, sole, film anni ottanta alla tv.
In realtà, non c’è niente da rilassarsi: a fine maggio ci sono i saggi. Gli stramaledetti amati saggi di musica.
I saggi sono quel momento in cui i tuoi allievi devono dimostrare che i soldi versati dai loro genitori siano fruttati, a prescindere da capacità o applicazione dei figli. Tutta la famiglia investe nelle lezioni settimanali, in denaro e tempo e spostamenti e tagliando del parcheggio, per potersi recare, con nonna e zio con telecamera al seguito, dentro un teatro/auditorium/salaconcerti ad applaudire il pulzello di casa.

I ragazzini vengono agghindati con camiciola e gilet (che non metteranno in altra occasione se non al prossimo saggio), le fanciulle con gonnellina e ballerine, e non di rado un’acconciatura fresca di parrucchiere. Hanno il loro spartito sottobraccio, studiano muovendo le dita silenziosamente su strumenti o tastiere immaginarie, perché una strana logica li induce a credere che sia fondamentale ripassare fino all’ultimo momento, ripetendosi “non mi ricordo niente, non mi ricordo niente” fino al salire sul palco e, non di rado, fermarsi dopo la prima battuta. Una legge di Murphy dice che studiare in camerino due minuti prima dell’esecuzione porta regolarmente alla stecca, ma è ancora presto per insegnargliela.

Gli allievi sono di tipologie fisse, solitamente.

L’allievo giudizioso tuttogiusto

Educato, preciso, non sempre estremamente dotato ma votato al sacrificio, studia musica secondo uno specifico planner familiare, suona tutto giusto ma sbaglia sempre lo stesso passaggio (lo sbaglierà anche sul palco) e non ha emozioni. O meglio, le ha ma solo se esce dallo schema (tipo, dimentica il libro a casa, non è riuscito a studiare, tutte cose normali in un altro ragazzino ma che per lui equivalgono ad una tragedia). La madre solitamente non parla con l’insegnante. A meno di non volersi vantare dei successi di figli (e della madre “ai suoi tempi”).
I suoi libri non sono mai sciupati, li tiene aperti con le mollette.

L’allievo dotato

…che per una strana congiuntura astrale, non studia mai una mazza. Ha la testa altrove, è disordinato, perde la concentrazione e porta l’insegnante a quasi pregarlo di ripassare a casa, un poco, ogni tanto. Ha una primavista spettacolare, che gli salva il didietro ogni volta, un buon orecchio, capacità incredibili associate a studio quasi nullo. Solitamente le ipotesi di carriera sono due: si folgora e trova il modo di studiare con piacere (sempre poco ma in modo funzionale), oppure inciampa in un saggio/concerto disastroso (per il suo standard) e molla tutto. I suoi libri sono spesso spiegazzati (arrotolati, con macchie di ogni tipo), la pagina dello studio non rimane mai aperta sul leggio. Arriva sempre, sempre, in ritardo.

L’allievo appassionato

Adora il suo strumento. Ascolta tutti i dischi, legge le biografie dei grandi solisti, studia come un matto. Ha qualche problema di ritmo, odia il sei ottavi, non è intonatissimo ne’ particolarmente sincronico con le dita. Bisogna spiegargli le cose da diverse angolazioni, perché spesso la prima spiega non funziona, ha bisogno di continui input su come studiare ogni passaggio. I libri sono pieni di annotazioni, cerchi, diesis di salvezza. Inizia lo studio e si ferma alla prima battuta per ricominciare di nuovo almeno una ventina di volte. Un diesel insomma. Fa una fatica bestia a fare ciò che l’allievo dotato fa a prima vista, ma spesso arriva molto più in là. E’ quello che arriva sempre in anticipo, talmente in anticipo che spesso studia già anche lo studio successivo. Ai saggi combina spesso mezzi disastri per l’ansia, ma alla fine è quello che più riempie d’orgoglio l’insegnante.

L’allievo perennemente giustificato

Arriva in ritardo per motivazioni nobili. E’ morto il nonno (5, 6 nonni all’anno), l’incidente davanti a casa, il contrattempo incredibile (c’è da farne una letteratura straordinaria in merito). Prima di iniziare il pezzo deve chiedere qualcosa. Qualsiasi. Quando inizia suona le prime due righe ignorando gli accidenti in chiave, o aggiungendone a piacimento. E non se ne accorge finché non lo si ferma. L’orecchio non funziona, la primavista non è un granché. Se si pone la questione “non hai studiano una cippa” ricomincia la farsa delle giustificazioni fantasiose, quindi conviene mettere a frutto quell’ora di tempo senza troppe riflessioni. Solitamente è pure un peccato, ha delle doti ma se ne frega altamente. La pagina dello studio non rimane aperta, ma a dire il vero non si ricorda mai quale sia lo studio che doveva fare per casa, quindi è ininfluente.  Al saggio va con brani semplici, studiati da settembre, ma ad ogni lezione avrà accumulato un errore nuovo che si sommerà agli altri. Dimenticherà le prove, chiederà se per favore può suonare per primo perché ha un appuntamento fondamentale. Sbaglierà ma sarà colpa di chi lo accompagna. Agli esami è sempre tutta colpa della commissione.

Preparare i saggi è un terno al lotto: devi scegliere i brani a seconda di capacità, resa, tempo. La preparazione si alterna tra spiegazione millimetrica del brano, due settimane di studio, assestamento del brano (con salvifichi tagli ed adattamenti d’emergenza), prove. C’è un momento di picco nella preparazione del brano del saggio, se si sfora di una settimana (quindi se non lo ha sufficientemente assimilato oppure se è oltre la soglia della noia nel ripeterlo) siam fregati.
La penultima settimana è quella fatidica: arriva il cazziatone. Tutte le categorie degli allievi, vuoi perché arriva la primavera e ne hanno due balle di stare a casa a studiare, vuoi perché non si rendono conto che mancano solo due lezioni, sono allo stallo. A seconda di età e di appartenenza alle suddette categorie, si insiste sulla musicalità o sul passaggio ancora insicuro o sull’ansia da dominare. Oppure si minaccia di non far fare il saggio, lasciando a casa nonna e zio con la videocamera.

Al saggio son tutti belli. Le mamme son tutte sorridenti. Le nonne son parcheggiate e spesso dimenticate lì a fine saggio. Dietro il palco, il panico. Ho pauura ho pauura, nonmiricordoniente, aspettaprofquicomedevofare, chimivoltalapagina, e in ogni angolo a provare e riprovare gli stessi passaggi, incrementando la legge di  Murphy.
Per ognuno di loro il Maestro dovrebbe stare lì a vegliarli, solo loro, con il fluido miracoloso. Salgono, e il fluido ci si prova davvero a farlo passare. Iniziano a suonare, e respiri con loro, e muovi le dita con loro, e provi telepaticamente a dirgli di prender fiato, di non correre, di non esser troppo crescenti. Spesso funziona. Quando finiscono, ti cercano mentre il pubblico applaude, e allora tu sorridi, comunque, qualsiasi cosa sia accaduta. Qualcuno scenderà dicendo “ho sbagliato tutto”, allora rispondi “non è vero, comunque non dirlo a nessuno, son segreti nostri, vai a festeggiare, ne parliamo a lezione”. Altri si dimenticheranno di te, andandosene senza salutarti. E pazienza.
Poi se ne vanno tutti, e stai lì a smontare leggii, raccogliere gli spartiti dimenticati, arrotolare cavi e traslocare amplificatori. Come l’usciere che scopa via il riso davanti al municipio, mentre tutti gli altri sono al banchetto di nozze.

Magari ti riprometti che l’anno prossimo ti sbatterai meno, niente ore di prove fuori dalla lezione, studietti per tutti e basta adattamenti e trascrizioni per fargli far bella figura, facendoti smadonnare per settimane.

Poi, gli sms:
“son andato via di corsa, ho avuto un contrattempo” (L’allievo perennemente giustificato)
“ho sbagliato tutto, scusami, la terza battuta del primo movimento e poi anche il crescendo della terza eppoi ero crescente e accelleravo e…” (L’allievo appassionato)
“ciao, la prossima settimana c’è lezione?” (L’allievo giudizioso tuttogiusto)
“ho dimenticato lì lo strumento e le parti e il leggio e la giacca?” (L’allievo dotato)
“abbiamo dimenticato lì la nonna?” (La mamma dell’allievo dotato)

Ed ogni volta assale la solitudine, l’aver fatto da madre a quei ragazzetti, tenendoli per mano in equilibrio sul pentagramma, riempiendoti d’orgoglio, con poca riconoscenza. Poi ti volti, e a fianco a te c’è il volto sorridente di chi crede ancora in te, che ti dirà grazie anche quest’anno, dopo il saggio.
Dopo che l’avrai portata a casa.
La nonna.

primo giorno di scuola

primo giorno di scuola

scolaretta
scolaretta

 Ore 9.30, prima lezione. Sono ignobilmente la prima, gli altri persi per la campagna veneta. Arrivano alla spicciolata, con sbuffi rassegnati del docente.

Le cantanti (ussignur le cantanti…) come colore a parte, fanno cumulo a se’, mentre io coalizzo con la coltre maschile strumentista, trovandomi subito affine.

-….ma…sei cantante?

– ehm, no…. flautista…

Laurea 2.0 indi tutto in pdf, si porge una chiave usb (io muovo la prima sboronata dell’anno sfoggiando il mio mac ancora da cellophane) e vi si inserisce programma, spartiti, esercizi… ostia… quanto siamo avanti. Le cantanti no, non ce l’hanno la chiavetta usb. E non dite volgarità, che vi vedo, eh.

Ore 11.30 seconda lezione, ci si smembra per strumenti.

– ..ma noi non abbiamo lezione…..hai ricevuto l’sms di Diana?

– …non sono una cantante, ecco, sono flautista…

I miei compagni di merende, tre sassofonisti, umettano (umettano? semmai inondano di saliva, ciucciando e gorgogliando con inenarrabili rumori pornografici) e slinguazzano ste ance. Da un lato, dall’altro. Pure sotto. Bah.
Poi la allineano al bocchino. Attentissimi. Poi no, altra ciucciata, ah si, ora si che è umida a pennello. La spiaccicano sul bocchino, la stringono con la fascetta. Montan tutto, e fan due note. Oddio, ndo le senti ste due note, con il rumore di ferraglia dei tasti. Screnk scronk scrank. Sembrano crociati dentro le armature. Ussignur. Ma che strumento è, porco mondo. Poi, ocio che se stringono, vien fuori un fischio, zio bill, quel FOOOOOOOOP bello nasale e acuto.
Mi viene in mente la stufa a legna della montagna. Col tubo per lo sfiato sul camino. Con sto suono FOOOOP, o anche FO FO FOOOP. Madonna.

Io monto il mio flautino. Testata, corpo, trombino, fatto. Appoggio al labbro, e nun se sente altro che meeeeloooodioooosa muuusicaaaaaa. Mah.

Tre trattori e una ferrari, ecco cosa siamo. Ah, che mi tocca fare per un quadretto sul muro. Ah.

Ore 14, terza lezione. Notare la mancanza di pausa pranzo, nota deliziosa di questa avventura.

– ..e così sei cantante…

– no! suono il flauto! sono bionda, ma suono il flauto!

– ma dai… una donna… che suona il flauto…

(che cazzo dovrei suonare, per Diana, l’arpa celtica?)

Il musicologo in cattedra ha un paio di palle grandi quanto tutto il Vaticano. Il primo momento di cedimento, mentre sgranocchio una penna, due gomme e un temperino, lo dedico alla riflessione ” ma quanto sto bene qui-perchè cazzo mi son messa a fare la comunale- perchè non ho tenuto duro-perchè mi son sposata quella volta-perchè non ho fatto canto, per poi sposarmi un bassista e farmi mantenere da lui che fa marchette coi “ballaballaorchestraspettacolo” mentre io faccio il giaaaaaaassss cantando Night and Day in un fumoso  pub deserto davanti a sei maniaci ubriachi”.

Ore 17.15, con sullo stomaco un leggio, un clash e mezzo charleston (che l’impianto voce mi è sempre indigesto), finisce il mio primo giorno. Ah si. Bello.

Non vedo l’ora di tornare. Ah come sto bene qui. Mi sento a mio agio. Tutti amiciamici, come un corso estivo, come in colonia, che bello che bello. E parliamo tutti la stessa lingua! E quando parlano, io capisco! (..giuro!)

 

Ci scambiamo le mail.

– …scrivi allora…. laflautina@….

– …ma perchè flautina? non sei cantante?

-…………………. ebbene si. ho mentito. sono una cantante. diciamolo.