..cosa vuoi fare da grande?
Quando ero ragazzina c’era un film di riferimento, Flashdance. Una saldatrice che sognava di ballare all’Opera. C’era il primo loft come appartamento finto-povero, c’era il balletto che termina con la doccia sul palco, c’era il miliardario che s’innamora della povera operaia, e la scena dell’audizione, la più copiata che la storia ricordi.
Ma non volevo mitizzare Flashdance, eh.
Ci ho pensato perchè siamo un esercito, di saldatrici che la sera ballano. Di impiegate che la sera suonano, di cameriere che la sera recitano. E ancora, poeti e scrittori, pittori, cuochi e maratoneti, che hanno il vizio di mangiare, e quindi di dover fare un lavoro normale.
Normale. Aggettivo che mi atterrisce. Come se fare il mestiere per cui invece si è dotati fosse anormale.
Ci pensavo perché noto da anni che a mio figlio non fanno mai la domanda tipica della mia infanzia: cosa vuoi fare da grande?… non lo chiedono più. Eppure era una di quelle domande automatiche, quelle a cui, appena arrivi all’età del sarcasmo, rispondi random, per spaventare con risposte avventate i convitati del momento.
A mio figlio non lo chiedono. E ora che ci penso, i miei allievi non mi dicono mai “voglio fare il musicista da grande”. Nemmeno i miei amici sanno cosa fare, da grandi. Non sappiamo nemmeno cosa faremo domani: è già tanto se ci rimarrà addosso il lavoro normale, è già tanto se riusciremo, ogni tanto, a sognare col naso per aria la carriera che avremmo dentro, mentre staremo al nostro posto, dietro alla saldatrice.
Oggi sono stata alle lauree in jazz delle mie amiche. Stasera ho preso la bomboniera della mia, di laurea, l’ho guardata e mi son detta che sono una pessima saldatrice, ma una musicista coi controcazzi, ed è quello che voglio (continuare) a fare da grande.
Ma i miei non sono sogni. Sono progetti.