Considerazioni sparse sulle lezioni di musica col plexiglass:
– per indicare la battuta sullo spartito uso un puntatore laser. Il gatto ora è sempre inspiegabilmente interessato alle lezioni.
– a volte si avvicinano troppo col flauto e ci vanno a sbattere: penso che metterò quegli adesivi con gli uccelli che volano, stile barriere in autostrada
– quando suonano/cantano benissimo, appoggiano la mano sul plexiglass, sopra la sagoma della mia. Devo comprare un interfono e agganciarlo a lato, come i colloqui delle mogli coi carcerati
– l’apertura della mia mandibola quando canto supera di gran lunga le possibilità della FPP2, penso che mi doterò di casco alla Darth Fener. La famosa tecnica della “voce in maschera”.
– di solito tengo il “metronomo” battendo sul leggio con la bacchetta da direzione. ora potrei provare a farla passare attraverso un foro del pannello, tipo endoscopio.
– disinfettare il plexiglass (obbligatorio, dopo ogni allievo) è come pulire un vetro con l’olio solare. Non sono aloni, è proprio il test di Rorschach.
Studiate privatamente con un Maestro di pianoforte bravissimo, ma arriva la pandemia. Siete in una scuola di musica per seguire lezioni di chitarra parrocchiale, ma arriva la pandemia. Oppure arriva la pandemia, ma voi vorreste prendere lezioni di cornamusa per sconfiggere la depressione. Che la solitudine, con la cornamusa, sarà già assicurata,
Per questi e altri motivi state approcciandovi con le lezioni online di musica, che no, non sono come le lezioni scolastiche, hanno problematiche diverse. Quattro consigli snocciolati così, dopo qualche mese di intense lezioni con i miei deliziosi adepti del piffero, mi sento di donarveli.
Come attrezzare la postazione
LA RETE
Non ho alcun consiglio certo. Per mia esperienza, va a culo. Potete avere un 56k, la fibra, abitare in un megacondominio o in mezzo ad un campo, non ci sono certezze. Possibili idee per ovviare la cosa: usate l’Ethernet evitando il wifi, scegliete una frequenza diversa del wifi, usate la rete dati, hackerate la rete del vicino. Fate delle prove, consapevoli che comunque all’ora di lezione sarà sempre un mistero perché ora va e ieri no e viceversa. In ogni caso: fate un bel respiro e abbiate pazienza.
AUDIO
Non usate, possibilmente, cuffie e microfoni bluetooth: aumentano la latenza. (La latenza è IL MALE). Procuratevi degli auricolari buoni e semmai una prolunga per poter suonare più comodamente (e consentire al vostro docente di vedervi per intero). Verificate di avere il microfono (sempre degli auricolari) attivo: verificate siano selezionate le giuste periferiche nelle impostazioni del software che utilizzate, Skype, Zoom, eccetera. I cazzo di AirPods ficcateveli in quel luogo lì. Hanno un audio vergognoso (e voi state facendo una lezione di musica, non giocando a Minecraft).
Versione Pro: Microfono esterno, e magari audio del pianoforte/audio del computer (per sample o simili) via mixer collegato a scheda audio.
Consigli ulteriori: sigillate porte e finestre, evitate rumori inutili, inclusi quelli di fratelli/figli/parenti/vicini di casa. Quando non suonate, state fermi, zitti, non tamburellate le dita sul microfono, non suonate se il docente vi sta spiegando qualcosa: il vostro audio “inutile” coprirà il suo e saranno minuti di lezione persi.
VIDEO
La webcam del portatile va benissimo. Altrimenti, webcam appiccicata da qualche parte. Cercate di avere la ripresa frontale, il docente potrà verificare la vostra postura in modo corretto e avere una visione completa dello strumento.
Versione pianisti: una seconda cam (anche utilizzando un telefono) che riprenda la tastiera sarebbe ottima cosa. In caso non fosse possibile privilegiate la tastiera, ovviamente. Consiglio ulteriore: se utilizzate il telefono, fissatelo ad un qualsiasi supporto, anche con un elastico ad un leggio, un’asta, un manico di scopa. Perché il telefono cadrà, oh sì, e andrà in mille pezzi. Alternativa: utilizzare papà e mamma. I figli invece dopo un po’ si rompono le balle e spostano l’inquadratura verso le braghe del pigiama.
A proposito di pigiama:
5 COSE (importantizzzime) DA FARE PRIMA DELLA LEZIONE DI MUSICA
UNO: Togliete il pigiama e vestitevi come si deve. Rifate il letto dietro di voi, riordinate la scrivania. Pettinatevi, santodio.
DUE: Prendete TUTTI gli spartiti che serviranno alla lezione. E’ mai possibile che tutti, proprio tutti, diciate al minuto due “Ah sì, ho preparato lo studio, aspetta che vado a prenderlo di sopra…”. E va di lusso che sia solo lo spartito. Vi scordate anche il flauto nell’altra stanza. Quindi preparate per bene tutto: le sonate, gli studi, le scale, i testi dei brani, il quaderno pentagrammato, il Bona, quel che serve.
Consiglio per allievi bravizzimi: io ho già molti spartiti in agevole pdf per poter dare indicazioni specifiche su un passaggio da ripetere o una nota sbagliata direttamente a video, tramite schermo condiviso. Se state facendo brani di cui il vostro docente non possiede la partitura, scansionate o fotografate il brano e inviateli al docente (utile una bella cartella su drive condivisa col docente, con tutti i vostri brani dentro).
TRE: Altre cose da tenere pronte:
– il leggio (mollette incluse)
– la matita e la gomma
– un quaderno per appuntarvi eventuali suggerimenti
– un’altra matita, perché quella di prima l’avete persa da qualche parte e adesso che vi serve dovete interrompere la lezione e andare in giro per casa a cercarne una, quindi aprirete la porta e vostra figlia urlante penserà che la lezione è finita e inizierà a gridare chiamandovi con appellativi non lusinghieri mentre vostra moglie vi ricorderà di pulire meglio il water quando andate in bagno (sempre con seimila decibel) mentre ormai avete svelato al docente il famoso pantalone consunto del pigiama (ve lo avevo detto, non dite che non ve l’avevo detto).
QUATTRO: Verificate che software, app e qualsiasi altra cosa funzioni. Rischiate di perdere 10 minuti di lezione per il “eh non mi si apre, aspetta, ma usiamo zoom, ah no, aspetta che mi dice di aggiornare, sta riavviandosi, aspetta che creo un account…”. Perché succede. Sempre.
Altra cosuccia: togliete le notifiche audio di WhatsappWeb, TelegramWeb, mail, social vari. Il cicalino che suona mentre state eseguendo l’Adagio di Mozart dal concerto per clarinetto e Orchestra, con tanto sentimento e trasporto, implica che siete dei cialtroni. Non siate cialtroni.
(che numero era? ah sì) CINQUE: Registrate la lezione. Potete farlo agilmente e potrà darvi due momenti importanti didatticamente parlando:
– la depressione e lo scoramento di come esca un suono di merda dal vostro strumento tramite queste grandiose piattaforme
– una visione da fuori di come suonate, la vostra postura, la reazione a consigli e critiche, oltre a recuperare tutte le indicazioni che vi ha dato il vostro docente (perché durante la lezione ne avrete sentite il 70%, ascoltate il 50%, messe in pratica il 20%) (percentuali assolutamente messe lì a casaccio).
Vi vedo abbacchiati: su, sappiate che il vostro docente ha enormemente più problemi di voi (e non solo su questo argomento) per adattare la lezione frontale di musica alle possibilità e limitazioni della videochat. Però si può fare, almeno per ora, per l’emergenza, per poi sfruttare l’esperienza fatta per sfruttarla in altri momenti in cui non si può uscire di casa (malattia, infortunio, allattamento, fuga all’estero, trasferimento alle Bahamas).
Fine vademecum. In caso abbiate suggerimenti, i commenti servono a questo.
Vado a cercare la matita.
Il peggior nemico di te stesso sei te, te stesso che non sei altro.
Stai lì in mezzo e pensi, boh, sono in pericolo. Non sai se andare in un verso o nell’altro, non hai nessuno a fianco, son andati già avanti, o indietro. Non sono più a portata di voce. E allora, allora che cazzo fai. Potresti trovare un’uscita, o un’entrata. Oppure star qui, ferma, aspettare che arrivi qualcuno, o magari un’idea decente, o crepare e basta. E allora passi il tempo: se crepo chi si preoccuperà? Minchia, nessuno. Forse i gatti. Gli amici scriveranno post in bacheca, condivideranno foto, era così un raggio di luce, rimarrai pesssempre nel mio cuore, come no. Quanto durerà, una settimana? Non sono un cazzo di nessuno, non faranno concerti in mia memoria, ne’ festival, ne’ borse di studio, ne’ aule di conservatorio. “Ah s’, quella lì, bionda, ma è morta anni fa no?”. Il “ma è morta”: cosa cazzo ti frega? Son figa anche da morta. E lo so che diranno “bionda” e “morta” nella stessa frase. Ma prima dovranno trovarmi. Sempre che si accorgano che son qui. Sempre che si accorgano che son scomparsa. Che non son più lì fuori, o lì dentro. L’unica è aver lasciato un riferimento. Un riff. Un campione. Qualcosa che casualmente portasse a “..a proposito… ma quella bionda che…” “ah ma è morta?”.
Posso solo sperare che prevalga la faccenda del “era una bella persona, pagava sempre la Siae, solare/pazza/piena di vita”. (Prima, ‘che adesso è piena di morta). (Morta, con la a, esattamente). Metti che ne scrivano un articolone. Metti che non ho la sfiga di crepare in un giorno in cui c’è un’altra notizia più figa. E quindi “donna scompare/signora di mezza età/mamma/professoressa di flautoh/blogger” e magari “col sogno della musica”, per giustificare il fatto che non son famosa come Ligabue.
Okay, non val la pena crepare. Più la cosa del titolone che la morte in se’. Bisogna uscirne. Trovare un modo. Capire perché diamine, ogni tanto, ci si sotterra nei pensieri, sotto strati di cose che pugnalano perché ci si ostina a vederle dal lato della lama.
Quella cazzo di lama. Ci si specchia dentro la tua età, i tuoi sforzi per costruire qualcosa che non è mai abbastanza. E te la infili nel costato senza che nessuno ti spinga, come se il masochismo fosse la miglior cura per poterti rialzare.
E bon, ti alzi. Tipo automatismo, o forse hai solo freddo. Quindi ti alzi. Ed esci, o entri. Vai avanzi per inerzia, fiato pesante, corpo pesante, testa di ghisa senza una idea decente che sia una. Barcolli, strisci, ti disperi, piangi, sudi, puzzi. Ma smetti subito, perché “donna morta – puzzava pure” è un titolo del cazzo, quindi ti concentri e stimoli le ghiandole ad espellere vaniglia, liquirizia, incenso, anche sapone di marsiglia all’occorrenza.
Eccoli qua (sti bastardi) gli altri. Manco si girano. Li vedi, manco s’accorgono che sei arrivata, tu e l’iperventilazione, hai l’affanno dei tuoi pensieri che boicottano ogni sogno, ogni obiettivo possibile. Il peggior nemico di te stesso sei te, te stesso che non sei altro. I bastardi continuano a fumare, a parlar tra loro. Manco si sono accorti che non c’eri. E allora fai finta di niente, come quando inciampi e fai i due passetti di corsa come se tutto fosse calcolato.
Non sono mai stata una secchiona, anzi. Il minimo sforzo era il mio motto, tutto e subito, una letta la sera prima del compito in classe, grande fantasia per l’interrogazione. Gli ultimi esami della vita invece, ormai madre di famiglia, li ho fatti meglio, prendendomi tempo, facendo riassunti e schemi e mappe, appassionata delle mie materie preferite, come se prima dei 35 anni non avessi conosciuto il piacere dello studio.
La musica è sempre stata argomento diverso. Avevo creato una scaletta anche per lo studio quotidiano: venti minuti di note lunghe, poi tecnica, scale, staccato, flessibilità, almeno un’altra buona ora. Poi lo studio del repertorio, a seconda dei concerti che avevo in programma. Era vitale. Le giornate in cui il leit-motiv era “oggihounsuonodimerda” erano nerissime, come se mi fossi riempita di brufoli il viso nella notte, come se mi fosse caduto un incisivo, tutti ad un solo sguardo avrebbero visto che “hounsuonodimerda”, peggio di una crisi depressiva acuta. Che poi, il brutto suono spesso è solo la percezione aumentata, l’orecchio che chiede di più, tant’è che se non suoni per due mesi ti sembra di avere un suono bellissimo… mentre è solo che ti sei scordata cosa voglia dire “suono bellissimo” coi tuoi paramentri.
Studiare è come un allenamento: è alienante, assorbe energie e pensieri, ti ripropone limiti e paranoie, senza filtri. C’è la rassegnazione del passaggio che non esce, per il quale ti affidi al tempo, che asciuga ogni ferita e ripara ogni incertezza tecnica con la magica forza della ripetizione.
Io ho un leggio, con appeso il metronomo e l’intonatore, varie matite e cartine. Di fronte lo sgabello. Spartiti pochi, dopo tanti anni le cose quotidiane sono tutte a memoria. Il mio microcosmo.
Ora il tempo è poco. Lo studio è razionalizzato, deve ampliarsi con l’ascolto, il pianoforte, la scrittura. Spesso ho giusto il tempo per mettere a memoria i pezzi, ripassare qualche giro di accordi più caustico, fare fiato, leggere le parti.
Studiare mi manca. E’ stato il mio compagno di vita da sempre, conosco ogni dettaglio dei miei difetti, ogni meccanismo mentale che mi porta a fare una cosa o l’altra, le tonalità in cui incespico, le note in cui cresco. Una sorta di meditazione, di necessario contatto con se stessi, di bisogno primario. E quando non posso studiare, sento davvero che non sto bene.
Tipo adesso. Non mi sento proprio bene.
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