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Tag: musica

Ho un concerto.

Ho un concerto.

Amici: HO UN CONCERTO.
Mi vien da piangere dalla commozione. E no, non è una battuta.

Non so nemmeno se mi sento pronta, se sono ancora capace.
Ho una serie di paure, dimenticherò le strutture, sbaglierò quel tema, andrò a fragole in quel giro di solo, chissà se verranno ancora a sentirmi, tutti pensieri che addirittura superano il “che cazzo mi metterò che ormai vivo in felpa”.

In questo momento mi rendo del tutto conto che cosa ci è passato addosso, cose che non abbiamo detto, non abbiamo pubblicizzato ne’ confidato a nessuno: quel dolore sordo, perdere la nostra identità, il nostro essere, il motivo per cui ci si svegliava la mattina. Sono un musicista, ma se non suono allora cosa sono?

Quando Paolo mi ha confermato la data mi è partita la paura, l’inadeguatezza. Io, che ho una faccia di bronzo da sempre, che ho fatto il primo concerto a 8 anni, io inadeguata. E poi, pian piano, la paura di illudersi, magari ce lo annullano di nuovo, cazzo e se mi ammalo?, metti che piove, e via così.

Io indietro non voglio tornare. Io nemmeno voglio voltarmi, a guardar dietro, a quel giorno in cui vedevo solo concerti annullati, di tutti, dai piccoli ai grandi, tutti a casa. E fan culo ai balconi e ai video-collage suonati a distanza. Fatemi suonare per voi.

Ora vado a studiare.

Poi compro una felpa nuova. Coi lustrini.

Il plexiglass e le lezioni di musica

Il plexiglass e le lezioni di musica

Considerazioni sparse sulle lezioni di musica col plexiglass:

– per indicare la battuta sullo spartito uso un puntatore laser. Il gatto ora è sempre inspiegabilmente interessato alle lezioni.

– a volte si avvicinano troppo col flauto e ci vanno a sbattere: penso che metterò quegli adesivi con gli uccelli che volano, stile barriere in autostrada

– quando suonano/cantano benissimo, appoggiano la mano sul plexiglass, sopra la sagoma della mia. Devo comprare un interfono e agganciarlo a lato, come i colloqui delle mogli coi carcerati

– l’apertura della mia mandibola quando canto supera di gran lunga le possibilità della FPP2, penso che mi doterò di casco alla Darth Fener. La famosa tecnica della “voce in maschera”.

– di solito tengo il “metronomo” battendo sul leggio con la bacchetta da direzione. ora potrei provare a farla passare attraverso un foro del pannello, tipo endoscopio.

– disinfettare il plexiglass (obbligatorio, dopo ogni allievo) è come pulire un vetro con l’olio solare. Non sono aloni, è proprio il test di Rorschach.

Sarà un lungo inverno.

via GIPHY

Come seguire decentemente una lezione di musica online (come allievi)

Come seguire decentemente una lezione di musica online (come allievi)

Studiate privatamente con un Maestro di pianoforte bravissimo, ma arriva la pandemia.
Siete in una scuola di musica per seguire lezioni di chitarra parrocchiale, ma arriva la pandemia.
Oppure arriva la pandemia, ma voi vorreste prendere lezioni di cornamusa per sconfiggere la depressione. Che la solitudine, con la cornamusa, sarà già assicurata,

Per questi e altri motivi state approcciandovi con le lezioni online di musica, che no, non sono come le lezioni scolastiche, hanno problematiche diverse.
Quattro consigli snocciolati così, dopo qualche mese di intense lezioni con i miei deliziosi adepti del piffero, mi sento di donarveli.

Come attrezzare la postazione

LA RETE

Non ho alcun consiglio certo. Per mia esperienza, va a culo. Potete avere un 56k, la fibra, abitare in un megacondominio o in mezzo ad un campo, non ci sono certezze.
Possibili idee per ovviare la cosa: usate l’Ethernet evitando il wifi, scegliete una frequenza diversa del wifi, usate la rete dati, hackerate la rete del vicino. Fate delle prove, consapevoli che comunque all’ora di lezione sarà sempre un mistero perché ora va e ieri no e viceversa.
In ogni caso: fate un bel respiro e abbiate pazienza.

AUDIO

Non usate, possibilmente, cuffie e microfoni bluetooth: aumentano la latenza. (La latenza è IL MALE). Procuratevi degli auricolari buoni e semmai una prolunga per poter suonare più comodamente (e consentire al vostro docente di vedervi per intero). Verificate di avere il microfono (sempre degli auricolari) attivo: verificate siano selezionate le giuste periferiche nelle impostazioni del software che utilizzate, Skype, Zoom, eccetera.
I cazzo di AirPods ficcateveli in quel luogo lì. Hanno un audio vergognoso (e voi state facendo una lezione di musica, non giocando a Minecraft).

Versione Pro: Microfono esterno, e magari audio del pianoforte/audio del computer (per sample o simili) via mixer collegato a scheda audio.

Consigli ulteriori: sigillate porte e finestre, evitate rumori inutili, inclusi quelli di fratelli/figli/parenti/vicini di casa. Quando non suonate, state fermi, zitti, non tamburellate le dita sul microfono, non suonate se il docente vi sta spiegando qualcosa: il vostro audio “inutile” coprirà il suo e saranno minuti di lezione persi.

VIDEO

La webcam del portatile va benissimo. Altrimenti, webcam appiccicata da qualche parte. Cercate di avere la ripresa frontale, il docente potrà verificare la vostra postura in modo corretto e avere una visione completa dello strumento.

Versione pianisti: una seconda cam (anche utilizzando un telefono) che riprenda la tastiera sarebbe ottima cosa. In caso non fosse possibile privilegiate la tastiera, ovviamente. Consiglio ulteriore: se utilizzate il telefono, fissatelo ad un qualsiasi supporto, anche con un elastico ad un leggio, un’asta, un manico di scopa. Perché il telefono cadrà, oh sì, e andrà in mille pezzi.
Alternativa: utilizzare papà e mamma. I figli invece dopo un po’ si rompono le balle e spostano l’inquadratura verso le braghe del pigiama.

A proposito di pigiama:

5 COSE (importantizzzime) DA FARE PRIMA DELLA LEZIONE DI MUSICA

UNO: Togliete il pigiama e vestitevi come si deve. Rifate il letto dietro di voi, riordinate la scrivania. Pettinatevi, santodio.

DUE: Prendete TUTTI gli spartiti che serviranno alla lezione. E’ mai possibile che tutti, proprio tutti, diciate al minuto due “Ah sì, ho preparato lo studio, aspetta che vado a prenderlo di sopra…”. E va di lusso che sia solo lo spartito. Vi scordate anche il flauto nell’altra stanza.
Quindi preparate per bene tutto: le sonate, gli studi, le scale, i testi dei brani, il quaderno pentagrammato, il Bona, quel che serve.

Consiglio per allievi bravizzimi: io ho già molti spartiti in agevole pdf per poter dare indicazioni specifiche su un passaggio da ripetere o una nota sbagliata direttamente a video, tramite schermo condiviso. Se state facendo brani di cui il vostro docente non possiede la partitura, scansionate o fotografate il brano e inviateli al docente (utile una bella cartella su drive condivisa col docente, con tutti i vostri brani dentro).

TRE: Altre cose da tenere pronte:

– il leggio (mollette incluse)

– la matita e la gomma

– un quaderno per appuntarvi eventuali suggerimenti

– un’altra matita, perché quella di prima l’avete persa da qualche parte e adesso che vi serve dovete interrompere la lezione e andare in giro per casa a cercarne una, quindi aprirete la porta e vostra figlia urlante penserà che la lezione è finita e inizierà a gridare chiamandovi con appellativi non lusinghieri mentre vostra moglie vi ricorderà di pulire meglio il water quando andate in bagno (sempre con seimila decibel) mentre ormai avete svelato al docente il famoso pantalone consunto del pigiama (ve lo avevo detto, non dite che non ve l’avevo detto).

QUATTRO: Verificate che software, app e qualsiasi altra cosa funzioni. Rischiate di perdere 10 minuti di lezione per il “eh non mi si apre, aspetta, ma usiamo zoom, ah no, aspetta che mi dice di aggiornare, sta riavviandosi, aspetta che creo un account…”.
Perché succede. Sempre.

Altra cosuccia: togliete le notifiche audio di WhatsappWeb, TelegramWeb, mail, social vari. Il cicalino che suona mentre state eseguendo l’Adagio di Mozart dal concerto per clarinetto e Orchestra, con tanto sentimento e trasporto, implica che siete dei cialtroni.
Non siate cialtroni.

(che numero era? ah sì) CINQUE: Registrate la lezione. Potete farlo agilmente e potrà darvi due momenti importanti didatticamente parlando:

– la depressione e lo scoramento di come esca un suono di merda dal vostro strumento tramite queste grandiose piattaforme

– una visione da fuori di come suonate, la vostra postura, la reazione a consigli e critiche, oltre a recuperare tutte le indicazioni che vi ha dato il vostro docente (perché durante la lezione ne avrete sentite il 70%, ascoltate il 50%, messe in pratica il 20%) (percentuali assolutamente messe lì a casaccio).

Vi vedo abbacchiati: su, sappiate che il vostro docente ha enormemente più problemi di voi (e non solo su questo argomento) per adattare la lezione frontale di musica alle possibilità e limitazioni della videochat. Però si può fare, almeno per ora, per l’emergenza, per poi sfruttare l’esperienza fatta per sfruttarla in altri momenti in cui non si può uscire di casa (malattia, infortunio, allattamento, fuga all’estero, trasferimento alle Bahamas).

Fine vademecum. In caso abbiate suggerimenti, i commenti servono a questo.

Vado a cercare la matita.

Convenevoli del nuovo anno

Convenevoli del nuovo anno

Aborro i messaggini, gli auguri, le decorazioni natalizie, ma sono nata in un ambiente di convenevoli obbligatori e quindi fate finta che a me piacciano un sacco gli (no, non mi piacciono, pace).

Comunque: questo periodo sta volando via e ho una robetta natalizia da condividervi, fatta con gli amici del Montegrappa Tandem Team.
Marta (mia compagna di classe al Liceo e trombettista meravigliosa) mi ha/ci ha coinvolto in sta cosa (incredibile, non sembra si trovino musicisti che vogliano lanciarsi col proprio strumento appesi al parapendio) e ci siamo attivati a tal proposito con arrangiamentino del Paolo (imparato a memoria o incollando lo spartito alle gambe, come ha fatto Ivan…), auricolari con bpm preciso, strumenti legati e simpatia che lèvate.
Insomma, una roba bella. Figa. Non noi che suoniamo, ma il lanciarsi in parapendio.

Il concetto è: fatelo. Fate le cose che vorreste fare, trovate chi le farà con voi, fatele da soli. Fatele.

Troviamo sempre tempo per pulire il mobile sotto il lavandino, quello dietro il secchio della spazzatura. Per rispondere al telefono allo stracciamaroni che non vi mollerà per ore. Per la cena con amici con cui non hai più nulla in comune. Per struccarvi la sera perché NO OKAY QUESTO NO (io amo i panda).
Ebbene io ho deciso di trovare il tempo di fare le cose che mi va di fare, non ho tempo perché spreco tempo, ma non ammetto che è tempo sprecato perché aggrovigliata dai sensi di colpa del “devi fare”. Ma de che, de che.
Libertà. Vivete davvero liberi, liberi da voi stessi e dalle vostre paranoie.
E tanti cari saluti eccetera eccetera.

 

Non suono un corno

Non suono un corno

Iniziamo con l’enunciato “I cornisti hanno senso dell’humor quindi non mi toglieranno la vita nei commenti”.
Servirà un cazzo, lo so. Ma pazienza.

Si diceva: oggi parliamo del corno e i cornisti, quella triste categoria dei fiati che nasce e muore immersa in un mare di battute inutili.
E’ il corno in sé che fagocita nell’uomo medio (ma soprattutto in quello mignolo) l’allusione idiota tipo “allora tua moglie è cornuta ahahah” “ma allora non fai un corno tutto il giorno ahahahah” “ma quanti corni c’hai ahahahahah”. E niente, è un dato di fatto. Io, che suono il flauto, vivo quotidianamente le scemenze sul “quanti tipi di flauto suoni ahahaha” quindi niente, solidarietà. Fine.

Ma fosse solo questo. Povere stelle. Andiamo per gradi.

Il corno è un ottone, nel senso di strumento, non di pomolo della porta. E’ come una tromba lunghiiiiiiiiiiissssima ma attorcigliata stile girella Motta aggrovigliata, con alla fine una campana (quell’imbuto che sembra il centrotavola con la frutta dentro di casa Trump) grandissima. Ecco: la prima sfida del cornista (dopo quella contro le malelingue) è evitare che s’accrocchi la campana.
Ci riescono? No.
La campana del cornista chiama a se’ le ammaccature in modo direttamente proporzionale alle battute sul tradimento delle mogli.

Lo si suona con un’imboccatura. Sì, un aggeggio che è fatto tipo un cono dove ci suoni dentro e che finisce in un cilindro che poi metti dentro l’instrumento e ci soffi dentro e poi l’aria si espande nel corno e poi esce il suono e….
…..okay. Si chiama bocchino. Lo abbiamo detto. Bocchino. Sì, come quell’altra cosa, che palle che siete. Anni di lezioni concerto nelle scuole, anni di descrizione dello strumento agli alunni, anni da cintura nera di evitare di nominarlo col nome preciso. E niente.
E pensa che a volte i bocchini si smontano. E si fanno fare da altri (sempre meglio che comprarli fatti). E si tengono in tasca, per studiacchiare in macchina, in hotel, al parco. Spernacchiando per ore. Funziona così, poco da fare.
Per questo c’è un altissimo tasso di abbandono degli allievi di corno alle prime lezioni: “Prima devi allenarti a lungo solo col bocchino”.

Per non parlare del “devi farci dentro una pernacchia”. Poi dici che di storie d’amore con l’insegnante di piano è piena la letteratura, mentre i cornisti sono lì, onanisti, a far pernacchie. E’ che sulla tromba è figo, sul trombone poi… ma sul corno, sarà che L’IMBOCCATURA è più piccola e conica, niente, lo speeeeeet che ne esce sembra quello dei cuscini della ACME.

Ma questo è niente. La tragedia è un’altra. La tragedia sono gli armonici.

Nel corno ci son 4 tasti. Anzi no, leve. Anzi no, anche pistoni, dicono i viennesi. Vabbè, sempre 4 dita sono. Con quelle 4 dita si fanno fino a 5 ottave.
Ma la cosa più figa è che con la medesima combinazione di tasti puoi fare più note! bello eh! Dov’è la fregatura? …che non scegli tu che note fare.
Suoni, ed esce il primo armonico che gli pare.
Il corno è così, come una tastiera che ha il tasto con cui si suona il fa MA ANCHE il la MA ANCHE il do, eccetera. C’è un unico algoritmo affidabile per fare la nota corretta desiderata, si chiama culo.
Il culo ovviamente ci vede male, quindi funzionerà sempre:

1. a casa
2. durante il fortissimo dell’orchestra
3. prima e dopo il tuo assolo.

Si stravolge il concetto dello scrocco, perché in questo caso non si parla di “scrocco” per note sbagliate, ma di “oddio una nota giusta!”. E’ una prospettiva oggettiva.

Per non parlare di sta menata del trasporto… corno in fa, in re, in do, una dicitura simpatica sullo spartito e ‘sti poveracci non solo hanno sta scommessa sull’armonico giusto, gli si rovina la vita pure chiedendogli una prova infima di setticlavio avanzato. I compositori so’ bastardi coi corni.

Essendo animale da branco, il cornista viaggia in gruppi di 4: sviano così l’attenzione e nessuno capisce quale sia chi canna l’armonico. Sono furbissimi.

Non molti sanno che per ovviare alla sfiga, all’inizio del 700, i cornisti tenevano la mano destra sulla patta dei pantaloni. Visto che non era proprio elegante, si è scelto di adottare una tecnica differente, l’inserimento della mano direttamente dentro la campana. Un approccio un po’ ginecologico alla cosa, ai cornisti piace.
Dicono che quando l’assolo va a buon fine, si eccitino talmente tanto da dover svuotare le pompe. Dicono sia “condensa”. Dicono.

Infine, quando incontrare un cornista, salutatelo con trasporto. Per una volta, trasportate voi.

Un abbraccio, cari cornisti. In vostro omaggio, un lieto video del più famoso duo per corno solista.

(oh, se vi siete persi la puntata sull’oboe, la trovate indugiando qui)

 

Come depositare un’elaborazione di un brano di altri

Come depositare un’elaborazione di un brano di altri

Ipotizziamo di voler depositare in Siae, invece che un nostro pezzo originale, un nostro arrangiamento. Non intendo solo cambiare organico, tipo La Flauta che vuole arrangiare il Tristano e Isotta di Richard Wagner, per flauto, piano, voce recitante e diggey… ma una propria versione, con testi differenti e accordi pieni di undicesime diesis e drum’n’bass che pompa.
Lo arrangia, lo incide, lo suona anche in pubblico: che si fa, scriviamo “R. Wagner” sul borderò, anche se oggettivamente è una estrema elaborazione dello spartito del buon Richard?

Ve lo dico: io di solito, amen, scrivevo proprio R. Wagner. Stessa cosa quando suono la nostra versione di Teardrop, dando i diritti ai Massive Attack, o al buon Herbie Hancock per Maiden Voyage, anche se ci somiglia pochissimo.

E se invece volessi depositare e ricevere i diritti per la mia elaborazione di un brano, posso farlo?

Sì. Posso farlo. Non è una passeggiata, non è detto che mi riesca, ma posso farlo.

Un po’ è descritto sul sito Siae, un po’ (molto di più) mi è stato spiegato dal mio amico Luca Ruggero Jacovella, mio insostituibile mentore.

Innanzitutto: il termine usato da Siae è elaborazione creativa, quindi non vale fare un arrangiamento di Tanti auguri a te per coro gospel:  deve avere una valenza artistica.
E bisogna esserne certi, perché non è un deposito “automatico”, bensì dovrà essere vagliato da una commissione Siae (il Comitato Elaborazioni della Divisione Musica) per la modica cifra di € 12,40 + IVA 22% come diritti amministrativi di procedura. Alla fine, se verrà considerata genuina elaborazione creativa, gli verrà assegnato un “punteggio” in ventiquattresimi (il diritto d’autore è sempre diviso in ventiquattresimi).
Quindi il Tristano della Flauta, con buona pace dell’amico Wagner, potrebbe diventare “DallaValle-Wagner/TristanUndIsolde” e fruttarmi 4/24i del diritto d’autore.

Ipotizziamo invece ch’io voglia incidere una mia versione del successo di Laura Pausini “La solitudine”, quindi un brano non di pubblico dominio.
In tal caso, sempre che sia una valevole elaborazione creativa, la commissione non serve. Yuhhu.
Però, visto che il brano non è di pubblico dominio, devo chiedere autorizzazione all’autore e all’editore. E anche se magari io e Laura Pausini siamo amiche su facebook e ci mandiamo i poke (no, vabbé), Laura non è autore, devo chiedere a  Angelo Valsiglio e Pietro Cremonesi, autori delle musiche, ed ad Federico Cavalli, autore con Cremonesi del testo. Inoltre, devo trovare l’editore (e devo arrangiarmi, Siae può solo fornirmi gli elenchi degli editori per contattarli) e chiedere il suo consenso. Anche in caso di solo riadattamento del testo (una versione in veneziano della Solitudine potrebbe svoltarmi la carriera) prevede la medesima procedura.

Insomma, tutti quanti devono autorizzarmi e sottoscrivere la “Dichiarazione di espresso consenso all’elaborazione”. Inoltre, presenterò anche il Modello 150/B, ovvero una bella relazioncina su come ho trasformato La Solitudine in un brano che spazia dal Jazz alla Jungle con testo in veneziano, con una valenza creativamente interessante.

In tutti i casi dovrò presentare, come sempre, spartito dettagliato dell’originale e della mia elaborazione, o supporto sonoro se non tutto è trascrivibile su pentagramma.

Ne vale la pena?

Forse sì, forse no. Dipende. Molti di noi incidono proprie versioni di brani di altri, regalando i diritti anche se la propria versione è innegabilmente differente. Ma visto che qui vogliamo esportare creatività, e non cloni di musiche di altri, esorto tutti a provarci.

Io, col Tristano di Wagner, ci sto lavorando. Sai che figo. DallaValle/Wagner. Madonna santa.

Incidere un disco – 3. Prima di entrare in studio

Incidere un disco – 3. Prima di entrare in studio

Insomma, ce l’avete fatta.

Avete definito i dettagli del progetto, avete la band, domani sarete in studio a registrare il vostro capolavoro.

Ovvio, mica vi mollerò qui sul più bello.

Per le prossime due puntate, mi avvarrò dei consigli e l’esperienza di tre amici: Claudio Zambenedetti, fonico dell’Imput Level Studio, Mario Marcassa del CatSound Studio e Max Trisotto, sound engineer, che mi hanno raccontato cose che voi umani, eccetera, al fine di darvi qualche dritta in più.

Per tempo fate una pre-produzione a casa (ovvero registratevi un pre-disco in sala prove), in modo da definire già la bozza definitiva del risultato che volete ottenere in studio.
Io di solito preparo un bel block notes con una pagina per brano, con tutti i dettagli: ve lo consiglio vivamente. Fate una tabella precisa con: tonalità, bpm (tempo metronomico, fondamentale per impostare il click) e struttura (intro, strofe, chorus, assoli) ben definiti. In caso di incisioni su tracce diverse, è bene fare uno schema preciso su quali strumenti suonano e dove, quali assoli fa la chitarra, i cori in che pezzi e in che ritornelli servono, eccetera. Servirà a gestire al meglio il tempo e il lavoro di ogni singolo, oltre ad evitare di dimenticare, alle dieci di sera, che manca l’ukulele nel quarto brano (ed il fonico ha già spostato i microfoni). (Che poi, poco male, se manca l’ukulele, ma vabbé).

(cos’è il click? è una sorta di metronomo che sentiremo in cuffia mentre incidiamo, che ci farà andare tutti a tempo. E’ obbligatorio se registrate uno strumento alla volta, è utile se suonate contemporaneamente ed avete una sensazione di “mal di mare” nel tempo metronomico. Il metronomo è il miglior amico dell’uomo).

Verificate gli arrangiamenti, eventualmente chiedendo a qualcuno di più esperto. Mi capita di sentire dischi di miei allievi in cui piano e chitarre suonano contemporaneamente il medesimo accordo nella medesima ottava, cacofonie che esprimono onomatopeicamente il termine. Come è vero che un buon arrangiamento rende bella anche una canzone mediocre, il pessimo arrangiamento assicura delle porcherie inenarrabili.

NON C’E’ TEMPO DI DECIDERE NULLA o quasi IN STUDIO, QUINDI PIANIFICATE TUTTO A CASA, A GRATIS.

I miei tre fonici di fiducia mi hanno ribadito, all’unanimità, un punto principale: avere TUTTA la strumentazione a posto. “Ossia no pedali della cassa che cigolano o pelli distrutte per i batteristi, corde troppo vecchie sulle chitarre (mentre sul basso vanno bene) e ottave non regolate, fiati con problemi (una volta perdemmo mezza giornata per un bocchino di un clarinetto che “oh, ma a casa non mi dava tutti questi problemi”“(Trisotto).
Non serve avere chissà che strumentazione, l’importante è che funzioni bene e sia di pratico utilizzo. Non serve a niente avere l’ultimo modello di testata per ampli o l’ultima pedaliera con effetti stratosferici se poi si usano dei cavi Jack ossidati, saldati male che generano ogni tipo di ronza” (Zambenedetti).
Ed è bene arrivare in studio già abituati ad accordare perfettamente il proprio strumento: “Sembra banale, ma specialmente i chitarristi si basano sul loro accordatore trovato nelle patatine, una corda alla volta e via… credendo sia tutto a posto. Inoltre bassisti e chitarristi non controllano quasi mai l’esattezza della regolazione del manico nelle ottave, per cui fanno un accordo di Do maggiore e sembra a posto, ne fanno uno di La bemolle ed è un disastro, ma per le loro orecchie va bene. L’accordatura vale anche per la batteria. Una batteria bene accordata suona mille volte meglio di una scordata…” (Marcassa).

Quindi, prima di uscire di casa, verificate bene i cavi, l’accordatura del Rhodes, rivedete l’uso degli effetti (il pedalino che gracchia da anni, in studio continuerà a gracchiare) ed eliminate il superfluo, imparate ad accordare la batteria (perché diciamolo, a qualcuno che ora sta leggendo sorge nuova che anche la batteria si debba accordare…), verificate che il proprio strumento a fiato sia intonato, che tutte le chiavi chiudano, che si abbia l’ancia giusta.
Portate tutto ciò che può servirvi (partiture, fogli pentagrammati, cavi di riserva, reggichitarre, bacchette di ogni tipo, scatoloni di ance, eccetera).

Per i/le cantanti: registratevi seimila volte prima di entrare in studio, da soli e durante le prove e controllate dove rischiate di stonare, la pronuncia e la comprensibilità delle parole, le dinamiche e l’interpretazione delle varie frasi. Se registrate a tracce separate, segnatevi dove prender fiato e dove eventualmente spezzare l’incisione (prima le strofe, poi i ritornelli, eccetera). Segnatevi dove vorreste un rinforzo, dove fare le seconde voci o i cori. E ricordatevi, non serve gridare, lavorate di sfumature e chiaroscuri, esasperate i dettagli più di quanto lo possiate fare live.

Se dovete fare un assolo, riprovatelo quanto potete, strutturatelo se non vi sentiti sicuri, trascrivetelo al limite. E’ matematico che arrivati in studio andrete in panico e magari inciderete dei pasticci. La verità è che più li ripeterete e peggio sarà. Ne rifarete una trentina di versioni, di seguito. E terrete buona la seconda track.

Bene.
Ora, passate dal supermercato e prendete qualche bottiglia d’acqua, qualche biscotto, un pacco di merendine. Se l’incisione vi occuperà tutta la giornata, prevedete una pausa pranzo in qualche posto nei dintorni, è meglio uscire all’aria aperta e ricaricare le pile per il pomeriggio/sera, il lavoro in studio è estremamente stancante.

In studio NON portatevi dietro figli, amici, morosi/e, genitori, avvisate tutti che non esisterete per tot ore (e che spegnerete quindi il telefono). Dovete stare tranquilli, a vostro agio, liberi anche di andare in crisi e piangere davanti al microfono alla sesta volta che sbagliate un’entrata, concentrati su ciò che fate e orientati verso il miglior risultato possibile. Anche un videomaker o un fotografo possono sconcentrarvi, fate tutto prima o dopo, o in una track di prova.
Bene, andate a dormire. Domani dovrete arrivare puntuali, lucidi, riposati e carichi.

 Ho detto lucidi. Mettete giù quella birra.

 

 

Puntate precedenti:

Incidere un disco – 1. da dove partire 

Incidere un disco – 2. La scelta della band

Come tutelare la propria musica senza passare dalla Siae

Come tutelare la propria musica senza passare dalla Siae

Siae, non Siae, collecting estere, collecting italiane alternative… Troppo spesso ti passa la voglia di comporre. Approfitto della chiacchierata con Luca Ruggero Jacovella* su Soundreef della scorsa puntata, per provare a trovare una soluzione utile per i giovani autori.

Intanto: scrivo musica, sono giovane, vorrei tutelare le mie canzoni: devo per forza iscrivermi alla Siae?

No. Il costo annuale di iscrizione alla Siae non è ammortizzabile con i proventi dei borderò dei concerti, soprattutto per giovani autori che compilano prevalentemente borderò rossi (che non corrispondo a “riscossione certa” dei diritti) e che hanno difficilmente passaggi in radio o tv (attenzione: se il vostro brano passa in una radio locale, ed a volte anche in alcune nazionali, i diritti sono anche in questo caso non analitici. Ovvero, la radio paga un forfait di diritti che verranno distribuiti agli autori che “vengono trasmessi più frequentemente”, italiani e stranieri. Quindi, niente corresponsione certa, a meno che non siate Beyoncé).

Quindi servono alternative. Chiediamo a Luca.

  • Luca: Oggi è possibile tutelare le proprie opere dal plagio, ovvero poter dimostrare agevolmente la paternità delle stesse, in maniera telematica, a costi ridottissimi, e senza passare per SIAE (i cui costi anche per questa tipologia di servizio sono molto alti). Le principali soluzioni che conosco sono due: Patamu.com (piattaforma di deposito che collabora con Soundreef), e Tutelautore.com (portale di uno studio di avvocati). Entrambe rilasciano una “marca temporale digitale”, che, attraverso un sistema di crittografia, lega in maniera univoca l’opera (musica, poesia, saggio …) ad una data certa.
    E’ possibile anche scegliere il tipo di licenza con la quale diffondere l’opera, se in copyright tradizionale o “creative commons”. Patamu chiede un’offerta libera, mentre Tutelautore chiede solo 1 euro per ogni deposito di opera.

Una volta si diceva che bastava autospedirsi in raccomandata una busta con dentro i propri brani incisi, tenendola chiusa come prova. Ora si aggiunge che basta una registrazione di un live, magari pubblicato su YouTube o Vimeo o Soundcloud… Proviamo a chiarire bene la questione? Lo spauracchio del “plagio”, peraltro ben complicato da dimostrare in un tribunale, è un problema molto sentito.

  • Luca: la legge sul diritto d’autore, per quanto obsoleta in alcune cose, riconosce però la paternità della creazione (da cui il diritto dell’autore) nel momento stesso in cui nasce l’opera, senza alcuna formalità.
    E’ chiaro che però tale paternità va dimostrata, in caso di plagio. Anche la testimonianza di qualche ascoltatore potrebbe far fede. Per cui ogni strumento o testimonianza possono essere sufficienti, come anche la pubblicazione di una registrazione, di un video… ma ritengo non siano strumenti o supporti eterni: la pagina di pubblicazione del video potrebbe essere cancellata, il server di un sito potrebbe sparire…
    Per cui, ribadisco, la “marca temporale” è la migliore soluzione, agevole, sicura, economica e moderna. Anche con 1 solo euro di costo per un’opera intera. 

Aggiungo il fatto che non essere autori Siae ha una ulteriore facilitazione: suonando solo brani propri si può evitare il pagamento del borderò da parte dell’organizzatore del concerto, trattando direttamente il compenso per i propri diritti, rilasciando una certificazione che dichiari che i propri brani non appartengono al repertorio Siae

Luca, ma tu che ci bazzichi spesso ed hai il polso della situazione… com’è il clima in Siae? Davvero stanno cambiando le cose?

  • Luca: In SIAE ci sono almeno due “anime”: chi davvero sta lavorando alacremente per riformare tanti aspetti (da una più fedele ripartizione pensando ai “piccoli” autori, dal borderò elettronico all’abbassamento delle quote, ad un sistema più moderno e trasparente), e chi invece, per natura professionale o sensibilità diciamo “diversa”, pensa di più alla gestione economica della Società, attraverso investimenti immobiliari e quant’altro…
    Tra le persone emerite, vorrei menzionare Alessandro Angrisano, membro del Consiglio di Sorveglianza e Presidente Acep.
    In sostanza, qualcosa si sta muovendo, ma i tempi sono molto più lenti di quanto avviene in società più moderne e più piccole.

Okay. Attendiamo fiduciosi.

*Luca Ruggero Jacovella, musicista, consulente tecnico in Musica per il Tribunale di Roma, ha redatto un appello pubblico e relative linee guida per il riconoscimento del diritto d’autore nelle improvvisazioni jazz. Collabora con SosMusicisti

(Avete domande o volete delucidazioni? Chiedete, nei commenti, e vi sarà risposto. Guai a voi se vi lamentate di Siae, però, eh. Qui cerchiamo soluzioni, mica rissa…)

#siaenograzie – gli appuntamenti a Mestre, 12 aprile 2014

#siaenograzie – gli appuntamenti a Mestre, 12 aprile 2014

1277865_10152248080194706_2134413700_oCi siamo, sabato è il 12 aprile.

Il buon Andrea Caovini è riuscito, sbattendosi abbastanza, a fare rete, a riunire noi musici di buona volontà ed esercenti di altrettanto buona volontà per organizzare una serie di eventi, tutti appunto nella giornata del 12 aprile 2014, sotto l’egidia del diritto d’autore, come diritto degli autori e non come proprietà della Siae.

Sia chiaro. Io non ce l’ho con la Siae. Sono un’associata, figuriamoci se. Faccio solo tutto il can can possibile perché voglio provare a cambiarla. A renderla trasparente, innanzitutto, quindi facendo informazione, e poi provando a spingere, assieme a molti altri, verso una vera svolta.
Una svolta con la testa dei musicisti, quelli che lavorano nel 2014, non quelli salvificati da un successo radiofonico negli anni 60/70/80, e che ora campano con il pagamento degli altrui borderò.

Quindi: la lista dei locali e musicisti che hanno aderito e relativi eventi la trovate qui, l’evento generale su facebook da poter condividere è invece quest’altro . Ricordate, ogni condivisione, like e partecipazione fa aumentare la risonanza dell’iniziativa (indicizzando la cosa). Quindi, se non potete partecipare almeno fisicamente, fatelo coi social: facciamo girare. Facciamoci sentire.

A Mestre (casa mia insomma) due locali e molti musicisti hanno autonomamente organizzato due eventi distinti. In entrambi i casi tutto ciò che verrà suonato è esente da qualsivoglia richiesta di pagamento di diritti d’autore: sono tutti brani in common creative, o improvvisati, o della tradizione. Io mi sto attivando per partecipare ad entrambe le jam che seguiranno ai concerti principali.

Siete tutti caldamente invitati, amici musici, sul palco; pubblico sostenitore (che paga la Siae su ogni device che acquista, siamo tutti azionisti eh..) in platea a dar man forte.

 

Il primo appuntamento in ordine di tempo è dalle 18 al Palco

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“All’ora dell’aperitivo sabato 12 aprile: ad una resident band acustica, formata dal trio EVE (Elisa Vedovetto-Francesco Clera-Federico Della Puppa) e da Anna Maria Dalla Valle, si aggiungeranno via via altri musicisti che hanno già aderito all’evento, tra i quali Roberto Borghetto, Paolo Corsini, Toni Costantini, Michele Russo e altri che si aggiungeranno in una jam acustica nella quale agli echi ambient e spiritual jazz si sommeranno brani classici esclusi dal diritto d’autore, avendo superato la soglia dei 70 anni”

(cliccate sulla fotina per aderire all’evento su FB e per farlo girare)

 

 

Dalle 20 parte il secondo evento, al Palaplip di Mestre:  “ANKENO’ – Serata live per i diritti d’autore, contro i doveri d’autore”.

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20:30 –Mr. Wob & the Canes. Voodoo blues
21:30 – Salvi & Liberi Subito. Neoplasia veneta su corpi in decadimento
22:15 – Fabio Zona e i Supernova feat. Acoustic Spirit. Rock d’autore from Roma
Jam session finale

(cliccate sulla fotina per aderire all’evento su FB e per farlo girare, ve l’ho già detto prima!)

 

Condividete. Avvisate amici, stampa, chiunque possa esser utile.

Usate l’hastag #siaenograzie per dire la vostra, su twitter, su facebook.

E se passate ai due eventi qui sopra, passate a salutarmi.

 

Quando “suoni come un uomo” sembra un complimento

Quando “suoni come un uomo” sembra un complimento

Rileggevo Matteo Bordone,  stamane, come pure Alex Ross che disquisiva di un simile argomento, di quanto la musica classica (ma pure quella non classica, eh) possa essere maschilista, omofoba e quant’altro.

In verità non mi son mai sentita di affermare che ci possa essere maschilismo nel campo musicale. Ma lo penso. Eppure come tante cose, cerco di non dirle, per non avvalorarle, per non darle pubblicità, per non convincermi che ci sia solo una preferenza sessista e non effettivo valore o non valore delle persone. Se una donna non fa carriera è semmai perché non è sufficientemente brava (=coefficente di bravura maggiore di quello medio richiesto in un uomo, probabilmente), e non perché è “solo” donna.

Il problema è che ho un pochi di sassolini nelle scarpe. E capite, coi tacchi danno ancor più fastidio.

Quando studiavo in conservatorio, preparandomi per il mio primo diploma, era palese che certe carriere erano impossibili. Bordone cita i Wiener Philarmoniker, che fino al ’97 non ammettevano donne nel loro organico; io vi cito invece la Fenice di Venezia, che fino a vent’anni fa non ammetteva donne fra i fiati dell’orchestra. Quindi, se volevo fare l’orchestrale, era palese che non era il caso di sperare in una carriera nell’orchestra della mia città. Idem per Vienna, certo.  Non che la carriera di studentessa fosse stata tanto diversa: ero una ragazzetta caruccia e i dubbi su quale fosse il tipo di talento più apprezzato erano abbastanza palpabili.

E lo ammetto, crescere nel dubbio che siano gli occhioni azzurri a decretare il posto di primo flauto (o di bocciatura, in caso di commissione femminile) fa incamerare molte insicurezze. I commenti “innocui” di insegnanti o anche il solo ODIOSO “brava e anche bella” (ma cazzo mi frega del bella, ostia) sono spesso il dazio da pagare, ma accorgersi che un tal docente insiste nel fare due ore di lezione non certo perché tiene alla tua carriera, o perché “sente” il tuo talento, è una montagna che crolla in testa appena ci si confronta col mondo reale. E non sto parlando di molestie, sia chiaro.
Ma in un ambiente in cui il talento e lo studio sono fondamentali, non saper valutare se stesse perché confuse da un marpione di turno crea molti danni.

Ancora peggio se si pensa di sfruttare la propria avvenenza per far carriera: c’è sempre una più figa di te. E soprattutto c’è sempre quella più brava, che invece di perder tempo a darla via, studia, e si prende il tuo posto.

Ora, visto che gli elenchi mi piacciono e risvegliano l’attenzione dell’annoiato lettore, vi propongo una serie di frasi che mi son state rivolte negli anni. Non me ne vogliano coloro che si riconosceranno.

1. “Brava ma soprattutto bella”. E’ un complimento?? Ammettilo, l’hai detto mille volte, senza nemmeno farci caso. Difatti quando vieni ai miei concerti mi dici “vengo a vederti” mica “vengo a sentirti”. Te lo spiego: se fossi in lizza per Miss Uzbekistan capirei, ma in quest’ambito devo essere brava, ma soprattutto brava.

2.  “Bel bel pezzo, non sembra nemmeno scritto da una donna”. Pure questo è un complimento, “il brano è talmente bello che non potrebbe scriverlo una donna”. Maria Schneider (la compositrice, non quella del burro), vattela a sentire, forza.

3. (ascoltando un disco) “Ma come si chiama il flautista?” “Anna Maria D.V.” “Ma giura! Una donna? Sembra un uomo!”. Questo è peraltro stato detto da una stessa donna. E sì, voleva pure questo essere un sincero apprezzamento, come se per spaccare un woofer di energia bisogna avere per forza il pisello.

4. (A parimerito con “musicista con le palle quadrate” e “cazzuta”) “Suoni come se tu avessi il pisello”. Vabbè, questa non la commento.

Ci sarebbero molte altre infelici frasi da elencare… ma non sono specificatamente “apprezzamenti”, semmai atteggiamenti misogini e beceri, scemenze basate sul luogo comune e la paura, perché sempre quella è, delle donne.

La mia “tattica” di solito è di scordarmi di essere una femmina, col rischio di ritrovarmi in un clima alle prove che nemmeno nella peggior caserma. E’ sempre un equilibrio difficile, non devi rompere i coglioni, ma devi anche diplomaticamente tirar fuori le unghie per difendere i tuoi spazi (gli assolo ad esempio) e le tue idee (che dovranno essere decise e coraggiose).

A volte ci si mette al livello dei maschi per esser rispettata, per risultare inoffensiva, non bigotta, per farli sentire a loro agio, perché si dimentichino che c’è una femmina lì in mezzo. E il cameratismo diventa spinto, non da fanciulla di buona famiglia. Il colmo è che ci si prende anche delle critiche, perché una donna non può fare allusioni, non può nemmeno istigare volgarità, deve essere pura e candida e delicata.

Eppure, se mi devon dire che son brava, mi devono paragonare ad un uomo.
Ho una sola consolazione: sto invecchiando. Sfiorisco pian piano, e sotto rimane la mia orgogliosa tempra di musicista, sciolta da ogni corruttibile fascino fisico.
Finalmente, finalmente la resa dei conti è vicina. Presto sarò solo brava, vecchia ma brava.

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