La violenza delle loro madri
“Sei tu che lo provochi”.
(Le parole della madre di chi ha fatto violenza. Perché non sono solo gli uomini a farla.)
(Le parole della madre di chi ha fatto violenza. Perché non sono solo gli uomini a farla.)
L’aula è un banco del mercato. Avvocati e PM che perorano la causa del loro prodotto, nostrano, esotico, incompreso, a buon mercato. Giulia è come un calzino spaiato lì in mezzo.
Ha appena smesso di deporre, Giulia. Come un testimone qualsiasi, che non ha più una lira per costituirsi parte civile, ne’ voglia e coraggio e stomaco per affrontare altri processi. Senza nemmeno il solito avvocato in fianco, amministratore del codice penale, un numerologo che parla a citazioni di articoli, senza un briciolo di conforto umano.
Fissa l’incastro delle piastrelle sul pavimento. La sfumatura del cemento, quel cemento che le sta mangiando i piedi, le gambe, mangiandola viva, sola in una panca assieme a poveri diavoli messi assieme a casuali carnefici.
Ripassa le date, Giulia. Son passati sei anni, non ricorda i particolari Giulia. Ma li ha scritti. Uno schema storico coi riferimenti ai fatti, alle minacce, ai ricoveri, certificati medici misti a improbabili foto degli sms, referti imparati come poesie, freddezza forte addosso.
Era fredda e forte, quando se n’è andata da lui. Era fredda quando ha lasciato vestiti e sogni in quella loro casa.
Mi hai fatto male, e se potessi farti pagare il male della mia anima ti chiederei una cifra immane, ma no, quella non c’è nel codice penale.
Giulia è forte, anche di fronte al PM. Non è colpa mia, si ripeteva come un mantra, mentre l’avvocato di lui cercava di farla cadere in fallo, non son scivolata, non mi ha spinta per sbaglio, non avevo “già male prima”, non voglio vendicarmi di qualcosa. Lo sa bene Giulia, che lì sopra si rischia di sentirsi addosso la colpa di tutto, è così che funziona il gioco, da vittima ti fan vacillare, così che non ti ha picchiata, sei tu che ti sei picchiata da sola. E lì, a raccontare a un mucchio di sconosciuti, i cazzi tuoi, quelli che non racconterai nemmeno a tua madre, tanta la vergogna.
Sii lucida. Sii fredda, ma non troppo, altrimenti pensano che fingi, non mostrare il fianco. Difenditi, perchè lì in quel banco è peggio di quel giorno. E non è come nei film, nessuno ti ha accompagnata e nessuno ti consolerà.
La fuga delle piastrelle è infinita. Non sente altro che il freddo nelle ossa, rumori ovattati del mercato della giustizia intorno, e tempi morti, viavai di toghe e tacchi alti. La seduta della causa che unisce i loro cognomi, è aggiornata, tra sei mesi. Altri, sei mesi.
Si alza, infila il giaccone ed esce, anonima, in un aula che ora sa tutto della sua vita. Due passi. Ora scoppio. Tre passi, no aspetta, gira l’angolo. Non farti vedere. Quattro passi, entra in macchina, chiuditi, non c’è nessuno, non ti ha seguito nessuno.
Sei al sicuro, Giulia. Piangi, Giulia. Un poco, giusto un poco. Singhiozza, Giulia, ma non sconvolgerti. Le solite lacrime, che avevi dimenticato, bruciano il volto, uccidono la speranza di uscirne, prima o poi, e non ne hai bisogno.
Accende la macchina, controlla il viso, soffia il naso, e torna in ufficio. Come non fosse successo niente.